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Ambiente / Opinioni

Se la Politica agricola comunitaria rimane agli anni Sessanta

© Alex Wogan - Unsplah

Ai negoziati di Bruxelles sulla nuova Pac 2023-2027 hanno prevalso vecchi interessi, opposti al Green Deal. Ora la palla passa agli Stati. La rubrica della “Rete Semi Rurali” a cura di Riccardo Bocci

Tratto da Altreconomia 232 — Dicembre 2020

La Politica agricola comunitaria (Pac) è storicamente il bilancio più importante dell’Unione europea e ha modellato i nostri sistemi agricoli e relativi paesaggi. Nata per sostenere la modernizzazione dell’agricoltura europea e il reddito delle aziende, oggi la Pac si trova schiacciata tra il vecchio che non cambia e il nuovo che non riesce a imporsi. Infatti il nuovo modello agricolo frutto delle positive interazioni tra produttori e cittadini, basato su biologico, biodinamico, agroecologia, filiere corte, riscoperta e valorizzazione della diversità coltivata fa fatica a emergere nelle politiche. Ristrutturare le filiere agroalimentari non è impresa facile e soprattutto non è indolore. La Pac potrebbe svolgere un ruolo positivo nell’accompagnare la transizione verso un modello agroecologico ma per farlo sarebbe necessaria una maggiore consapevolezza degli attori in gioco (sindacati agricoli, Stati membri, mondo scientifico) che ancora non si intravede all’orizzonte.

Negli anni Cinquanta e Sessanta quando la Pac ha cominciato a essere negoziata, l’emergenza produttiva post-bellica, la necessità di garantire un’uscita programmata di forza lavoro verso il crescente settore industriale e, allo stesso tempo, di avere prezzi bassi al consumo, hanno permesso di creare quello che a oggi è stato il più ambizioso patto sociale del continente europeo: un’alleanza tra cittadini e agricoltori per garantire un settore economico particolare come quello agricolo. Allora era semplice mettere d’accordo i vari attori, tutti puntavano alla stessa cosa: modernizzare l’agricoltura in un’ottica produttivista. Politica e corpi sociali (i sindacati) avevano questo obiettivo comune, e scienza e tecnica fornivano gli strumenti con cui attuare il passaggio dal mondo contadino a quello industriale.

365 miliardi di euro è il budget che avrà a disposizione la prossima Pac 2023-2027, pari a circa il 29% del futuro bilancio complessivo dell’Unione europea

Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. Abbiamo visto produzioni in eccedenza andare al macero, lo spreco alimentare crescere a dismisura, agricoltori pagati anche se non producevano più, le esportazioni europee causare concorrenza sleale nei Paesi del Sud del mondo. L’esplosione delle biotecnologie e l’avvento degli Ogm, inoltre, hanno cambiato e decostruito il ruolo della scienza nelle nostre società, non considerando più il fare scienza come un processo neutrale e predeterminato. Insomma, il quadro si è complicato, siamo diventati una società complessa dove la stessa funzione dell’agricoltore si è evoluta mettendo in crisi il sistema delle rappresentanze.

Purtroppo i negoziati a Bruxelles nei mesi di ottobre e novembre 2020 volti a costruire la Pac 2023-2027 ci raccontano che la politica non ha ancora imparato a gestire questa complessità e considera l’agricoltura un tema meramente settoriale. Le innovazioni contenute nella strategia Farm to Fork, nel programma Green Deal della Commissione e nella strategia europea per la biodiversità al 2030, infatti, non sono diventate strumenti operativi della nuova Pac. La visione di una nuova agricoltura si è impantanata nella palude dei vecchi interessi che puntano a rispondere alla crisi ambientale, economica e sociale dei sistemi agroalimentari nel solito modo come se fossimo sempre negli anni Sessanta: aumentare l’intensificazione a livello tecnologico, economico, produttivo e sociale. Ora la partita verrà giocata a livello degli Stati membri per elaborare i futuri piani strategici nazionali. Saremo capaci in Italia di immaginare un nuovo patto sociale tra mondo agricolo e società nel suo insieme in grado di costruire una politica alimentare e non solo agricola basata sull’interrelazione tra diversità, agricoltura, dieta e salute?

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola

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