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Ambiente

Se il Comune fa cassa con i fiumi

I piccoli impianti idroelettrici possono essere più dannosi dei grandi. L’analisi del Centro italiano per la riqualificazione fluviale

Tratto da Altreconomia 153 — Ottobre 2013

"Se vogliamo ridurre il consumo di suolo, dobbiamo impedire di usare gli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente degli enti locali. Allo stesso modo, i sovracanoni, le risorse oggi destinate ai Comuni che ospitano centraline idroelettriche, non possono essere uno strumento per far cassa: che diventino uno strumento di compensazione ambientale”.
Andrea Goltara
è il direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf, www.cirf.org), che in collaborazione con l’Università di Udine e la Provincia di Sondrio, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Fondazione Cariplo, sta studiando “una nuova formula di calcolo dei canoni idroelettrici, che non sia più basato sulla potenza installata ma sull’impatto sugli ecosistemi acquatici”.
Tra i parametri considerati ci saranno, ad esempio, l’alterazione idrologica, cioè della portata del corso d’acqua, e l’alterazione morfologica, relativa all’effetto dell’opera di presa sullo spostamento dei sedimenti.
“L’idea di una compensazione dei danni ha portato, in Svizzera, alla creazione di un fondo cui tutti i produttori idroelettrici devono contribuire, versando una frazione del valore di ogni kWh venduto, un fondo obbligatorio e federale”.
I danni cui fa riferimento Goltara non riguardano solo il grande idroelettrico: “Oggi si interviene su piccole aste fluviali, sempre più ad alta quota, spesso su ecosistemi più sensibili e meglio conservati. A queste condizioni, anche un piccolo impianto può avere un grande impatto. E in più dobbiamo tener presente che anche se venissero realizzati centinaia di impianti di mini-idroelettrico la nuova potenza installata inciderebbe per pochi punti percentuali sul contributo dell’idroelettrico alla produzione energetica italiana -spiega Goltara-. Anche per questo dobbiamo ‘rivedere’ i parametri in base ai quali consideriamo l’energia ‘pulita’. Un paio d’anni fa il Cirf ha concluso un progetto europeo, Ch2oice, grazie al quale abbiamo prodotto una metodologia di certificazione (si chiama Certification for HydrO: Improving Clean Energy, www.ch2oice.it, ndr), e ci siamo chiariti su un aspetto essenziale: il piccolo idroelettrico non è necessariamente ‘buono’ e i grandi impianti non sono per forza ‘cattivi’. A livello comunicativo è importante sottolinearlo: a centinaia di impianti, corrispondono centinaia di siti impattati. E l’energia prodotta, spesso, non vale il degrado”. 
Anche perché, a breve, potrebbe essere Bruxelles a chiedere conto all’Italia.
“La Commissione europea potrebbe definire entro pochi mesi le sanzioni a carico di quei Paesi che non rispetteranno, nel 2015, la Direttiva quadro sulle acque, la 2000/60. E tra gli articoli della Direttiva ce n’è uno, il 4, secondo cui gli Stati membri non possa degradare, quindi peggiorare, le condizioni di un corpo idrico rispetto a quando è stata approvata. Spesso, tuttavia, le nuove prese che vanno ad alimentare impianti di mini-idroelettrico non sono nemmeno sottoposte a valutazione d’impatto ambientale, e più in generale nessuno valuta la compatibilità di questi interventi con gli obiettivi relativi alla qualità dell’acqua. Per di più, andrebbe considerato l’effetto cumulativo, invece gli impianti che insistono su uno stesso corso d’acqua vengono valutati uno per uno”. —
 

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