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Diritti / Approfondimento

Se dico Rom. Al Naga la ricerca la fanno i volontari

Monitorando 9 testate giornaliste nazionali da giugno 2012 a marzo 2013, l’associazione milanese mostra come esista un legame sistematico "dei rom con fatti negativi che non li vedono direttamente coinvolti", e chiede all’Ordine dei giornalisti e alla Federazione nazionale della stampa di intervenire. Scarica e leggi il rapporto 

Da giungo 2012 a marzo 2013 i volontari del Naga di Milano hanno preso in mano 9 testate giornalistiche nazionali e locali e hanno messo sotto la lente gli articoli che parlavano di rom e sinti. Le testate sono Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 ore, Il Giornale, Libero Quotidiano, La Padania, La Prealpina, Leggo.
Il risultato dell’indagine quantitativa era abbastanza prevedibile: ne emerge un’immagine per lo più negativa. Natascia Curto, una delle volontarie che ha curato la ricerca, racconta che non c’è stata solo visibilità marcata per episodi negativi.
“Dall’analisi svolta -spiega Natascia Curto- emerge anche l’associazione sistematica dei rom con fatti negativi che non li vedono direttamente coinvolti. Si può affermare che inserire i rom in articoli che parlano di fatti negativi è un’abitudine molto diffusa, in tutti i giornali, e relativamente a differenti tipologie di fatti. Spesso queste associazioni raggiungono livelli discriminatori e vengono fatte ricorrendo a dichiarazioni riportate tra virgolette. Inoltre, un’altra modalità riscontrata nel trattamento dei rom nella stampa è quella di creare una separazione,un noi e un loro, i ‘cittadini’ e i rom: due gruppi divisi, diversi ontologicamente, che non si intersecano e il cui benessere è alternativo".

Secondo le volontarie del Naga, il 30% degli articoli presenta dichiarazioni che si possono considerare discriminatorie. "La maggiore frequenza di articoli che parlano di rom -commentano Cristina Ferloni e Fanny Gerli, due volontarie che hanno lavorato alla ricerca quantitativa- è riconducibile alle testate nazionali, con una significativa prevalenza per il Corriere della Sera e la Repubblica, seguiti da Libero nella sua edizione milanese. Le dichiarazioni discriminatorie analizzate rimandano in prevalenza a racconti di intolleranza sociale e discriminazione (37,2%), seguiti da quelli che fanno emergere una differenziazione tra un "noi" e un "loro" (32,3%)".

"Leggendo i giornali -spiegano le volontarie- ci siamo rese conto che le affermazioni discriminatorie nei confronti dei rom vengono lasciate scorrere senza che suscitino alcuna reazione né personale né collettiva. Evidentemente il pregiudizio verso i rom è talmente radicato nella cultura nella quale viviamo da non essere neanche più riconosciuto e da aver raggiunto il livello ontologico: è sufficiente essere rom per essere qualcosa di negativo, non serve compiere nessuna azione."

"L’indagine -afferma la presidente del Naga Cinzia Colombo- ha messo in luce il ruolo che la stampa ha nel costruire e confermare l’immagine sociale dei rom e come, a prescindere dalle intenzioni, il trattamento che essa fa dei rom possa contribuire a creare nell’opinione pubblica un’idea negativa di queste persone, rinforzando così le barriere che impediscono la piena fruizione dei diritti civili e sociali da parte dei rom. Questo è l’effetto, ed è un effetto discriminatorio. Ma la stampa può essere non solo strumento di esclusione, ma anche di conoscenza e avvicinamento".

L’invito del Naga ai singoli giornalisti, all’Ordine dei giornalisti, ai titolisti, alla Federazione nazionale della stampa (Fnsi) e agli editori è quello rispettare le Linee guida per l’applicazione della Carta di Roma; di firmare l’appello “I media rispettino il popolo Rom”, lanciato da Giornalisti contro il razzismo; dare voce ai cittadini rom e sinti, raccogliere le loro voci, interpellarli e ascoltarli come fonti.
Il Naga chiede anche ai singoli cittadini di farsi portatori di una rappresentazione diversa dei cittadini rom e sinti. “Ciascuno di noi infatti -conclude Colombo- nel suo quotidiano, nelle conversazioni con gli amici, negli scambi di battute sul lavoro, nei discorsi in famiglia, ha l’occasione di confermare o contrastare tanti piccoli stereotipi che circolano su rom e sinti. È un lavoro culturale che non può essere compiuto da un singolo, cittadino o associazione, ma che ha bisogno di un impegno capillare e costante di ciascuno”.

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