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Se anche Ratzinger parla di sobrietà – Ae 91

Ratzinger il papa vicino ai no-global. Così lo presentava il Tg2 nel giorno dell’Epifania. Proprio lui, il papa fondamentalista, della crociata contro l’aborto e l’eutanasia, durante l’omelia ha usato parole dure e inaspettate contro questa globalizzazione economica e i suoi…

Tratto da Altreconomia 91 — Febbraio 2008

Ratzinger il papa vicino ai no-global. Così lo presentava il Tg2 nel giorno dell’Epifania. Proprio lui, il papa fondamentalista, della crociata contro l’aborto e l’eutanasia, durante l’omelia ha usato parole dure e inaspettate contro questa globalizzazione economica e i suoi effetti sociali. “La globalizzazione non è stata, purtroppo, sinonimo di benessere generalizzato. Anzi, nel mondo globalizzato si è accentuata la disperazione tra le popolazioni meno abbienti e più bisognose”.
Ed ha aggiunto: “Anche oggi resta vero quanto diceva il profeta Isaia: nebbia fitta avvolge le nazioni. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro”. Ed il discorso del papa è proseguito in maniera consequenziale mettendo in evidenza che “i conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime, rendono difficile il lavoro di quanti, a ogni livello, si sforzano di costruire un mondo più giusto e solidale”. Da qui l’invito a credenti e non di lavorare insieme ed operare scelte di vita “che permettano di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi ed alla miseria di molti”. Infatti, sostiene il pontefice romano, “è ormai evidente che solo adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dall’impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo più giusto”. Ma, ed è questo il punto fondamentale, per cambiare così radicalmente l’ordine economico bisogna essere sostenuti da “una grande speranza” che, ricorda Benedetto XVI citando la sua recente enciclica, “può essere solo Dio, e non un dio qualsiasi, ma quel Dio che possiede un volto umano”.

Un discorso importante che i mass media, soprattutto i quotidiani, hanno pressoché ignorato o marginalizzato, mentre quando il papa parla di aborto, embrioni o eutanasia c’è sempre la prima pagina pronta. Un discorso con cui bisogna fare i conti perché rappresenta quello che vivono, sentono e credono una gran parte dei cattolici impegnati nel sociale, e anche nella costruzione di un’altra economia.  

Molte delle frasi che abbiamo riportato le avrebbe tranquillamente sottoscritte Francuccio Gesualdi, o Wolfgang Sachs, o anche il padre della “decrescita”, Serge Latouche: i danni di questa globalizzazione si superano attraverso una presa di coscienza e un cambiamento nei comportamenti della propria vita quotidiana.

È in fondo questa la base etica su cui sono nate e cresciute il fair trade e le altre forme di economia solidale. È una analisi e una proposta alternativa a quella dello “sviluppo sostenibile” tanto strombazzato, che cerca di conciliare l’inconciliabile, di volere la crescita economica, e quindi lo sviluppo capitalistico, senza i danni sociali ed ambientali che questo comporta, che crede che basti la tecnologia, un po’ più

di rinnovabili e di risparmio energetico per salvare il pianeta.

Ma questo approccio ha un limite preciso. Si basa infatti su una visione del cambiamento come sommatoria di scelte individuali ed ignora il conflitto sociale, le gerarchie del potere e la capacità del capitalismo di rigenerarsi ed aggredire tutti i beni della Terra. Insomma, è come se si volesse risolvere il problema della “monnezza” a Napoli con un invito ai cittadini napoletani a consumare di meno e produrre quindi meno rifiuti, o almeno differenziarli. Quando sappiamo che ci sono grandi interessi, di politici e camorristi, uniti nel business della gestione dei rifiuti così com’è.

E, d’altra parte, come conciliamo il richiamo a una vita più sobria con la giusta richiesta di un salario più alto per i lavoratori dipendenti impoveriti da questo modello di sviluppo? E, infine, come è possibile immaginare il superamento di questo modo di produzione iniquo e devastante senza l’orizzonte mobilitante di quella che il papa chiama la “grande speranza”? I grandi cambiamenti nella struttura sociale indotti dal movimento dei lavoratori durante i secoli precedenti non avevano alla base una “grande speranza”, un “sol dell’avvenire” per cui hanno speso la loro vita milioni di persone? Insomma, se ne esce solo con le lotte sociali, le resistenze territoriali ed il conflitto generalizzato? O se ne esce con una grande conversione di massa, una rivoluzione culturale, una presa di coscienza collettiva?

Credo che Altreconomia sia la sede giusta perché si apra un grande dibattito a partire da questa utile provocazione ratzingeriana.

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