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Diritti

Scricchiolii e dubbi: il punto sui soldi militari (senza dubbi per l’Italia)

Multa UE ad AgustaWestland, i dubbi di un ministro britannico, soldi alle armi piuttosto che alla lotta al cambio climatico. Una rassegna su quanto succede in giro per il mondo nell’ambito delle spese militari.

“Chiaramente le spese militari hanno subito un taglio, ma è difficile definirla una crisi quando stiamo comunque parlando di 550 miliardi di dollari”. Parola di un funzionario del budget del Pentagono.
Ed è proprio così che sta succedendo in questo inizio di 2011: anche i bilanci militari e delle armi (in tutto il mondo, ma in particolare nei paesi leader di questo ambito) hanno subito delle contrazioni e dei tagli, ma già si lavora per mantenere alto il lucro di questo comparto industriale.

pericolo armiAnche se la pressione dell’opinione pubblica sta facendo in modo che alcune scelte politiche, storicamente sempre a vantaggio dell’industria armiera, vedano soccombere le industrie di armi. Come la presa di posizione della Commissione UE contro l’italiana Agusta Westland, che dovrà rimborsare al governo italiano aiuti di stato ricevuti per due progetti militari che hanno avuto anche applicazioni civili. sovvenzioni da restituire.
L’impresa ha ricevuto aiuti per due progetti: l’elicottero A139 e il convertiplano BA609, che hanno anche avuto versioni civili. In seguito alle trattative fra l’Italia e la Commissione, Augusta Westland provvederà a restituire un totale di 25 milioni di euro per il progetto A 139, la cui versione civile è già sul mercato, e un importo annuale progressivo per ogni versione civile del convertiplano BA 609, ancora in fase di sviluppo.
Il Commissario UE responsabile della concorrenza, Joaquin Almunia, ha rilevato che ”è la prima volta che la Commissione adotta una decisione riguardante lo spostamento sul settore civile degli aiuti finanziari concessi a progetti militari. A norma del trattato UE gli aiuti ai progetti militari non rientrano nelle norme europee sugli aiuti di Stato. Ma è anche ovvio che, in caso di possibile ristorno dei fondi sul settore civile, occorre evitare un’eventuale distorsione della concorrenza cooperando con gli Stati membri”.
Da notare quindi che il comparto militare è ancora comunque super-protetto e le aziende che vi operano sono comunque avvantaggiate nel loro business (e nei loro profitti vertiginosi) da aiuti e sostegni di Stato. Non per nulla l’intreccio di interessi tra politica, gerarchie militari ed industria è tra i più grossi grumi di privilegio presenti in ogni paese industrialmente avanzato.

Queste prime decisioni avverse il complesso militare-industriale nascono con forse una nuova consapevolezza politica: nei giorni scorsi il Ministro del Commercio del Regno Unito, Lord Green of Hurstpierpoint, ha tentennato “per ragioni etiche” sul suo possibile ruolo di sostegno commerciale e di promozione della industria armiera di Sua Maestà. Il tutto si è risolto con un compromesso (anche per diverse pressioni governative ed economiche: in UK l’industria delle armi vale 35 miliardi di sterline e impiega 300mila addetti) ma il fatto che per la prima volta un esponente di governo si sia posto degli interrogativi a riguardo è importante. A ciò avrà probabilmente contribuito anche la posizione della Chiesa di Inghilterra che rifiuta gli investimenti nel settore armiero anche per voce del suo massimo vertice, l’Arcivescovo di Canterbury, da molto critico verso il commercio di armi che secondo lui “facilita il, fenomeno dei bambini soldato”.

military climateUn tipo di scrupolo che dalle nostre parti non è certo molto praticato dato che in tutto il Governo, dal presidente del Consiglio in giù, da tempo ci si pone volentieri e con orgoglio nel ruolo di “agenti di commercio per l’industria militare”. Bisognerebbe capire se spingere commercialmente questo tipo di produzione sia veramente tra i ruoli previsti ed opportuni da parte di ministri e sottosegretari.
Altre dovrebbero essere le priorità della classe politica in questi frangenti, si ada l punto di vista economico che ambientale. Uno studio annuale dell’Institute for Policy Studies (di cui abbiamo già parlato per i risultati dello scorso anno) uscito a Novembre 2010 ancora una volta ha messo in relazione le spese militari con quelle per contrastare i problemi climatici. Anche gli Stati Uniti, negli ultimi due anni, hanno riconosciuto come la questione climatica sia un “moltiplicatore di minaccia” anche sul lato militare: ciò ha fatto cambiare anche il rapporto tra gli investimenti nei due settori. Se nel 2008 per ogni dollaro speso per il clima ne venivano spesi 94 per le spese militari, nell’anno fiscale 2011 tale differenza si taglia giungendo ad un rapporto di 1 a 41 dollari. Una tendenza che è il risultato più del budget federale sul cambio climatico più che raddoppiato che del taglio delle spese militari (incidenza di solo l’1%). Soprattutto ci troviamo di fronte ad una risposta parziale e nemmeno in linea con quella di altri grandi paesi: la Cina (che pure ha un budget militare piuttosto opaco) spende solo 2 o 3 dollari – dipende dalle stime – per ognuno di quelli impiegati nella lotta ai cambiamenti climatici. Lo studio è scaricabile nella versione integrale qui a lato.
 

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