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Esteri

Scommettere sui fallimenti

In piena crisi economica c’è chi si arricchisce investendo sulla bancarotta di società, banche e addirittura nazioni. Lo strumento che permette questa aberrazione finanziaria si chiama “cds” e sfugge ad ogni controllo Se foste nelle condizioni di scegliere tra il…

Tratto da Altreconomia 105 — Maggio 2009

In piena crisi economica c’è chi si arricchisce investendo sulla bancarotta di società, banche e addirittura nazioni. Lo strumento che permette questa aberrazione finanziaria si chiama “cds” e sfugge ad ogni controllo

Se foste nelle condizioni di scegliere tra il fallimento economico (i tecnici lo chiamerebbero “default”) di un Paese del Mediterraneo -ad esempio la Grecia- e di una grande banca d’affari internazionale, voi che cosa scegliereste di salvare? Quale dei due fallimenti vorreste evitare?
Al di là della risposta, sappiate che per gli investitori che hanno nel proprio portafoglio i credit default swap (cds) relativi alle due opzioni non fa alcuna differenza: ci guadagneranno un mucchio di denaro lo stesso. Per costoro il fallimento della Lehman Brothers, il salvataggio di Fannie Mae o di Freddie Mac, la seminazionalizzazione della Aig o della Citigroup, o di tutte le altre imprese cadute sotto i colpi della crisi di sistema del 2008, hanno avuto lo stesso inconfondibile sapore dell’arricchimento facile.
Più ancora dei famosi subprime, i credit default swap si stanno rivelando la vera icona di questa crisi economica. Sostiene l’economista Guido Rossi che “finché ci saranno in circolazione questi strumenti derivati il risparmiatore non sarà al sicuro, anche per colpa di banche poco affidabili o intermediari senza scrupoli”. Tecnicamente, si tratta di complicati strumenti di finanza derivata che assicurano gli investitori contro il mancato pagamento di un’obbligazione o contro il fallimento di una società: un operatore finanziario acquista sul mercato dei titoli -o fa un prestito- ad alto rischio e rendimento, e poi elimina il rischio di solvibilità del debitore comprando il cds relativo, un prodotto completamente separato dal punto di vista finanziario, che sopporta il costo dell’eventuale fallimento dell’operazione.
Con un mercato autonomo ed informale (lo chiamano “over the counter” e significa che non ci sono dati ufficiali perché i rapporti sono informali) i cds oggi sono diventati incontrollabili, soprattutto dopo che il governo americano nel 2000 ha completamente deregolamentato il settore con il Commodity Futures Modernization Act. Tradotto: con i cds si può scommettere e speculare sui fallimenti. E in alcuni casi contribuire alla loro realizzazione.
Ecco un esempio: in piena crisi economica, a inizio 2009 la banca d’affari Goldman Sachs ha prodotto utili per quasi 1,8 miliardi di dollari, il 20% in più sullo stesso “trimestre” del 2008. Risultati analoghi per la Bank of America. Numeri sostanzialmente riconducibili ai pagamenti dei cds effettuati da Aig, il colosso assicurativo mondiale, verso le due società. Aig è stata nazionalizzata e ora sta pagando -coi soldi dei contribuenti americani- tutti i creditori che attraverso un cds si erano assicurati contro il suo fallimento. Lo sta facendo peraltro quasi con noncuranza, e una solerzia tanto insolita che anche il procuratore generale di New York, Andrew Cuomo, avrebbe chiesto di poter prendere visione dei dati relativi ai cds della compagnia, che avrebbe venduto swaps a più di venti banche americane e straniere, commettendo “un impressionante furto” come lo ha definito Joseph Stiglitz.
Casi simili sono all’ordine del giorno, tanto che è opinione consolidata che proprio l’emissione di cds fu all’origine dei raid speculativi della fine dello scorso anno sulle banche in fallimento. Un po’ come se i cds stessero divorando, distruggendolo dall’interno, il sistema che li ha generati: Lehman Brothers aveva venduto contratti cds per circa 600 miliardi di dollari, Aig per 500. A metà del 2008 il montante totale dei cds raggiungeva i 62.000 miliardi di dollari.
I cds non sono disponibili per la clientela privata: quindi nessun italiano ne ha nel proprio portafoglio finanziario, se non attraverso prodotti che li contengono. Diverso è il ragionamento per gli enti pubblici e per le banche, che potrebbero invece avere in carico molti cds. Si tratta però di “dati undisclosed”, non registrati a bilancio, e questo spiega la mancanza di dati ufficiali sul fenomeno in Italia. Quel che è certo è che il mondo finanziario italiano è uno dei più forti compratori di protezione netti, in quanto acquirente di uno dei debiti pubblici più rischiosi d’Europa (il nostro, ovviamente). Questa protezione viene tuttora venduta dalle banche d’investimento e fondi (soprattutto hedge fund). Non è quindi così balzana l’idea che ci siano finanzieri pronti a guadagnare dal (per quanto improbabile) fallimento di un Paese a caso tra quelli che sono stati ribattezzati nel mondo finanziario Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna).
Da questo punto di vista il G20 ha prodotto solo qualche modesta presa di posizione; la novità è il comitato (Determination Comittee) instaurato negli Stati Uniti -e di cui si prevede la nascita in Europa- che deciderà su tutti gli eventi in grado di far scattare i pagamenti sui cds. Naturalmente nel comitato siedono le solite banche d’investimento, che da ora in avanti saranno controllate e controllori di se stesse, decisori del livello dei loro guadagni.

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