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I Centri per l’impiego sotto la lente della Corte dei Conti. Il bilancio è problematico

A fine settembre la magistratura contabile ha pubblicato i risultati di un’indagine sull’attività di quelli che dovrebbero essere i principali soggetti pubblici delle politiche attive per il lavoro. I risultati mostrano profonde differenze nell’organizzazione, nelle dotazioni strumentali e nell’impiego delle risorse umane dei Cpi

© Sora Shimazaki da Pexels

In Italia i Centri per l’impiego (Cpi) necessitano di interventi più chiari e centralizzati. È quanto emerge dalla relazione della Corte dei Conti che a fine settembre ha pubblicato i risultati dello studio sul funzionamento dei Cpi nell’ottica dello sviluppo del mercato del lavoro. Lo scopo del monitoraggio era verificare l’efficienza dei principali soggetti pubblici delle politiche attive per il lavoro, il loro finanziamento, le risorse assegnate alle Regioni, il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni del sistema Regione-autonomie locali, gli obiettivi prefissati e quelli raggiunti. Nel documento, la delibera n.16/2021/G, si è fatto riferimento al triennio 2019-2021 e i risultati emersi hanno mostrato profonde differenze nell’organizzazione, nelle dotazioni strumentali e nell’impiego delle risorse umane dei Centri per l’impiego distribuiti su tutto il territorio nazionale.

La relazione ha messo in evidenza diverse criticità. Innanzitutto risulta ancora difficile il completamento del Sistema informativo unitario (Siu), il portale unico che permetterebbe ai Cpi di lavorare in modo coordinato. Ad occuparsi del progetto è l’Anpal, ente pubblico per la promozione di politiche attive del lavoro. Sebbene siano stati effettuati una serie di interventi migliorativi e sia proseguito lo sviluppo della Piattaforma digitale utile ai beneficiari del reddito di cittadinanza, dalle rilevazioni di Anpal appare una chiara inadeguatezza delle dotazioni informatiche e un collegamento in rete non adatto alle nuove funzioni dei Cpi. Secondo le stime del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, il 36% dei Centri per l’impiego non possiede i mezzi per le nuove interconnessioni: 48 strutture al Nord, 39 del Centro e 108 nel Sud e nelle Isole presentano un collegamento ad internet definito “critico”. L’1% dei Cpi in Italia lavora completamente offline.

Anche nella raccolta dei dati manca una metodologia condivisa di misurazione e rilevazione dei servizi e questo ha comportato forti carenze nell’attività di reporting. Nel 2020, ad esempio, non tutte le Regioni hanno inviato l’aggiornamento dei dati e per questo motivo l’elaborazione dei risultati appare lacunosa in alcuni suoi punti. Nell’aggiornamento che la magistratura ha richiesto ad Anpal, relativo al funzionamento dei Cpi dopo il 2017, inoltre, è stato rilevato un grado di puntualità ed esaustività assolutamente non soddisfacente e una trascuratezza che ha ulteriormente complicato l’analisi e il corretto confronto dei dati.

Dai dati forniti dalle Regioni, la rete pubblica dei Centri per l’impiego risulta composta, nel 2019, da 739 strutture (ridotte a 624 per il 2020) le cui prestazioni sono articolate in otto aree, distinte per funzione e ulteriormente suddivise in singole attività (da un minimo di cinque a un massimo di otto). Il ministero ha chiarito che, nel complesso, la percentuale di attivazione delle otto aree funzionali si attesta oltre il 90%, con due eccezioni riferibili al rinvio alla formazione professionale e all’offerta di servizi specialistici (65,2%) e alla creazione d’impresa (59,4%).

Per quanto riguarda le singole attività, invece, solo il 71,1% dei Cpi ha attivato almeno cinque delle sei previste nell’ “orientamento di II livello” (che si occupa del bilancio delle competenze e del supporto all’utente nella progettazione di un piano di azione personale) mentre nell’”accompagnamento al lavoro” è solo la metà delle strutture (51,4%) ad aver attivato sei attività su sette previste.

Secondo la magistratura l’attività di intermediazione che va dalla “presa in carico” dell’utente alla ricerca e supporto di servizi specialistici appropriati appare, dunque, poco incisiva. A condizionare queste difficoltà funzionali sarebbe la scarsità numerica del personale impiegato, delle figure professionali di riferimento (orientatori, psicologi, esperti in consulenza aziendale, mediatori culturali e informatici) e delle strutture e infrastrutture logistiche e informatiche. Questo si riflette anche nel giudizio degli utenti dei Cpi che, in un’indagine Anpal sul grado di soddisfazione dei centri, si dichiarano prevalentemente “insoddisfatti” dei servizi ricevuti (53,3%).

La situazione descritta dalla Corte dei Conti si inserisce in un contesto di ottica del rilancio delle politiche attive del lavoro e di riforma dei servizi che già nel 2017 ha portato lo Stato a destinare 235 milioni di euro per l’assegnazione definitiva del personale a tempo indeterminato e nel 2019 ha previsto l’adozione di un Piano straordinario di potenziamento dei Cpi. Indirizzo dei finanziamenti: il rinnovamento delle strutture (403,1 milioni di euro nel 2020), l’incremento degli organici (160 milioni di euro nel 2020) e la crescita professionale degli operatori. Ora, le amministrazioni interessate hanno sei mesi di tempo per comunicare alla Corte e al Parlamento le misure adottate per rispondere alle mancanze messe in evidenza dalla relazione.

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