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Ambiente / Attualità

La Sardegna si libera dalla plastica: appunti da un viaggio “zero waste”

È davvero possibile una vacanza “plastic free”? Pur partendo ben attrezzati, è facile incontrare degli ostacoli. Un racconto dall’isola che ha la maggiore estensione regionale di coste d’Italia. “Per ridurre l’inquinamento è necessaria la cooperazione tra istituzioni, aziende, associazioni e cittadini”, dice Legambiente Sardegna

Una foto tratta dalla mostra “Pesce fuor d'acqua”, il progetto fotografico di Carla de Gioannis e Gaetano Mura @Carla de Gioannis

Nascosto dietro a un sasso nella sabbia bianca, un insetto nero dalle lunghe antenne mi guarda dal basso verso l’alto. Ci metto qualche secondo a realizzare che è di plastica. Siamo partiti per la Sardegna attrezzati per un campeggio zero waste: nello zaino borraccia, ciotole, bicchieri infrangibili, posate di metallo, tovaglioli, sacchetti di cotone- proprio come suggerisce Elisa Nicoli nelle pagine di “Plastica addio” dedicate ai “viaggi sostenibili”. Ma è davvero possibile, nell’agosto 2019, fare una vacanza plastic free?
Alcune plastiche sono state per noi inevitabili: così, abbiamo deciso di raccoglierle tutte e riportarle a casa. Abbiamo pensato, come palliativo, che un sacchetto di due settimane di rifiuti di plastica potesse essere, se non altro, spunto per una riflessione sui nostri consumi. Contiene: quattro bottiglie d’acqua, tre pellicole che ricoprivano delle riviste, una confezione che conteneva degli auricolari, la confezione di uno spazzolino (più lo spazzolino), sei confezioni di altrettanti ghiaccioli, quattro confezioni di crackers, due vasetti di yogurt, un cucchiaino, una cannuccia e due bicchierini del caffè. Oltre a una formina rosa fluo e l’insetto nero a pois che abbiamo trovato sulle spiagge.

Dannate bottigliette a parte -purtroppo non sempre è stato possibile riempire le borracce, avere l’acqua in bicchiere o in bottiglie di vetro-, la nostra principale fonte di rifiuti sono stati i gelati. Ne abbiamo consumati di due marche: Motta (del gruppo Nestlé) e Algida (Unilever). Curioso, perché entrambi questi colossi hanno da poco annunciato grandi cambiamenti nella gestione degli imballaggi. Ma con calma, la “rivoluzione” non si vedrà prima del 2025. Stiamo parlando di altri sei anni: non è poco tempo, di questi tempi.
Lo scorso gennaio, Nestlé ha definito la propria “visione per un futuro senza rifiuti”, annunciando una serie di azioni specifiche per riuscire a rendere entro il 2025 il 100% dei propri imballaggi riciclabili o riutilizzabili, entro il 2025. Nestlé si è anche dichiarata consapevole che “la riciclabilità al 100% non è sufficiente per affrontare con successo il problema dei rifiuti di plastica” ed è allo studio su altri “materiali riciclabili e compostabili a base di carta e polimeri biodegradabili” (come questi che stanno già sperimentando in Giappone per il KitKat). D’altra parte, la multinazionale è al lavoro con l’azienda Loop “per sviluppare imballaggi riutilizzabili”, con cui Nestlé stima di eliminare oltre 40mila tonnellate di plastica già nel 2019. I primi esperimenti con i gelati (a oggi solo negli Usa) sono stati i contenitori riutilizzabili in acciaio a doppia parete, per i prodotti a marchio Häagen-Dazs.
Mentre scartavamo un altro gelato Algida, invece, la multinazionale del gruppo Unilever era in tour (l’“Algida time”) con WWF Italia attraverso 400 stabilimenti balneari “per imparare, in modo divertente, quali sono i comportamenti più sostenibili da tenere in spiaggia per far sì che mare e coste siano sempre belli e puliti anche grazie a piccoli gesti”, come si legge nella presentazione dell’evento. Un altro marchio Unilever, il gelato Carte d’Or, aveva già collaborato con WWF lanciando sul mercato, lo scorso aprile, una nuova confezione “compostabile e riciclabile che potrà essere smaltita sia nel contenitore della carta, sia nella raccolta differenziata dei rifiuti organici”, a seconda delle norme comunali. È infatti realizzata in carta certificata PEFC, accoppiata con uno strato di PLA (acido polilattico, una bioplastica derivata dal mais). Il risultato è l’eliminazione di 520 tonnellate di plastica in un anno, per 11 milioni di vaschette “ripensate” in chiave ecologica.
Con la sua strategia internazionale, anche Unilever sta provando a ridurre la quantità di plastica prodotta, ad esempio proponendo ai supermercati i nuovi Solero nella confezione senza involucro di plastica. “Entro il 2020 l’impatto dei rifiuti sarà dimezzato -dichiara la multinazionale-; entro il 2025 tutti i packaging dei prodotti Unilever presenti nel mondo saranno completamente riutilizzabili, riciclabili o compostabili e sarà convertito il 25% degli imballaggi in plastica in materiali riciclati o in PCR (la reazione a catena della polimerasi, ndr)”.
Ma se ci si trova in Sardegna, per chi ne ha la possibilità, la scelta migliore è andare nella pasticceria i Fenu, a Cagliari (dove sta nascendo anche la food coop Mesa Noa): oltre a usare solo materie prime di stagione, i premiati Fabrizio e Maurizia hanno eliminato il polistirolo e le coppette di plastica in favore di materiali biodegradabili.
Nella settimana di ferragosto un’alternativa era aderire all’iniziativa dell’azienda di gelati sardi Bolmea che, in cambio di un secchiello colmo di rifiuti raccolti sulle spiagge di Valledoria (SS), Trinità d’Agultu e Vignola (SS), Porto Rotondo (OT) e Porto Istana (OT) -nel Nord dell’isola- e Tortolì (OG), a Est, offriva la “coppetta del riciclo”, preparata con ingredienti 100% sardi.

Ma sono anche altre le sorprese dalla Sardegna libera dalla plastica. Scendendo a Sud, ad esempio, la sindaca di Pula (CA), Carla Medau, -prendendo a modello la Regione Abruzzo- ha concretizzato un percorso partecipativo per ridurre il consumo di plastica. Lo scorso luglio è stato firmato il protocollo d’intesa “Pula insieme per l’ambiente”, con l’intento di “passare dall’imposizione di un obbligo stabilito da un’ordinanza (che era stata fatta in precedenza per vietare le plastiche monouso e ridurre il consumo di plastica, ndr), alla condivisione partecipata, dove tutti sono protagonisti attivi e consapevoli della tutela del proprio territorio”, ha spiegato Medau. Il protocollo, primo in Sardegna, è il risultato di un percorso condiviso da cittadini, commercianti, associazioni e istituzioni locali per eliminare la plastica monouso non solo dalle spiagge, dai locali e dalle manifestazioni pubbliche, ma anche dalle mense scolastiche e dalle strutture socio-sanitarie del Comune.

Anche Legambiente Sardegna ha aderito al protocollo d’intesa di Pula, confermando il proprio impegno a favore della riduzione della plastica e dei rifiuti. “Quest’anno l’associazione è stata partner dell’azienda sarda produttrice di birra, l’Ichnusa (gruppo Heineken), per la campagna #ilnostroimpegno durante la quale -insieme anche a Cagliari Calcio e Dinamo Sassari- abbiamo raccolto in varie tappe rifiuti abbandonati sull’isola”, spiega Annalisa Colombu, la presidente sarda di Legambiente.
Ichnusa è un’azienda sensibile alla tutela del territorio: tra le sue ultime iniziative c’è il “Vuoto a buon rendere”. Si nota per il tappo verde con il disegno della Sardegna sulle bottiglie, che saranno recuperate dall’azienda riducendo così di oltre un terzo le emissioni di gas effetto serra.
Oltre che con le aziende, Legambiente sta collaborando con diverse istituzioni regionali -tra cui l’Arpas con la sua marine strategy per la tutela delle acque, il Cnr di Oristano, l’Università di Cagliari e le cooperative di pescatori- per ridurre l’impatto ambientale sull’isola. “Siamo inoltre vicini ai Comuni che vogliono essere plastic free –dice Colombu-. Il primo nel 2018 è stato Domus de Maria (CA), a cui ora se ne sono uniti molti altri. Non sono solo Comuni costieri e i più piccoli si sono organizzati in Unioni e Comunità per raggiungere insieme l’obiettivo”.
Con l’indagine “Beach Litter” 2019, Legambiente Sardegna ha confermato che i rifiuti in plastica (in particolare usa e getta) continuano a invadere i litorali. Nelle cinque spiagge sarde monitorate, su circa 9mila metri quadrati, sono stati trovati in media 1.237 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia: il 94% era plastica (dato significativamente maggiore rispetto all’81% della media nazionale). “Non dimentichiamo che la nostra è la Regione italiana con la maggiore estensione di coste: essere operativi per ridurre l’inquinamento da rifiuti sarebbe un vantaggio per tutti. Ma per farlo è necessaria la cooperazione tra istituzioni, aziende, associazioni e cittadini”, conclude Colombu.


Altre iniziative culturali “plastic free” in Sardegna

La mostra “Pesce fuor d’acqua”, il progetto fotografico di Carla de Gioannis e Gaetano Mura. Quest’anno, l’Acquario di Cala Gonone (NU) ha incentrato la sua proposta didattica sull’inquinamento da plastica in mare, coinvolgendo  oltre 4mila alunni nel laboratori di riciclo “Il riciclaquario”: recuperando i rifiuti in plastica, gli studenti hanno creato delle piccole opere d’arte. 

“Basta con la plastica” è stato il primo evento organizzato in Italia, in collaborazione con il Parco Nazionale di La Maddalena ed Ecoshaker, dedicato al problema della plastica nel mare.

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