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Salvatore Palidda. La riforma necessaria della polizia

Il sociologo Salvatore Palidda analizza lo stato di salute delle forze dell’ordine in Italia, sempre più repressive. E spiega perché, 20 anni dopo Genova, andrebbero riformate

Tratto da Altreconomia 237 — Maggio 2021
La polizia antisommossa durante una manifestazione organizzata da attivisti anarchici per le strade di Milano nel maggio 2018 © www.shutterstock.com

Sono passati quarant’anni dalla riforma della polizia di Stato, ma sono i venti trascorsi dal G8 di Genova, con lo choc che comportò, a segnare i rapporti tra corpi di polizia e cittadinanza. Rapporti ancora difficili, in Italia e ancor più in Paesi come la Francia e gli Stati Uniti, teatro di movimenti sociali che contestano apertamente i frequenti abusi e i pregiudizi se non il razzismo delle forze dell’ordine. Salvatore Palidda, sociologo, tra i pochi studiosi delle polizie, autore nel 2000 di “Polizia postmoderna” (Feltrinelli), ha da poco pubblicato “Polizie, sicurezza e insicurezze” (Meltemi Editore) nel quale dedica grande attenzione alle insicurezze sociali, spesso gestite con strumenti repressivi.

Professor Palidda, qual è lo stato di salute democratica delle polizie? Dopo il G8 di Genova, è cambiato qualcosa?
SP Più che un cambiamento c’è stata l’accentuazione della deriva sicuritaria che s’è imposta un po’ in tutti i Paesi e che consiste nel prevalere della gestione violenta anziché di quella pacifica rispetto a qualsiasi anomalia dal punto di vista dell’ordine economico, sociale e politico e in particolare nel campo dell’ordine pubblico. Ma va ricordato che il governo della sicurezza e tutte le polizie sono da sempre caratterizzati dalla coesistenza di queste due modalità di governo del disordine e dell’ordine. La riforma del 1981 fu parziale e peraltro mai del tutto applicata (come del resto la nostra eccellente Costituzione). Carabinieri e Guardia di Finanza rimasero corpi militari e non è mai stato avviato un minimo processo di razionalizzazione democratica della sicurezza e delle polizie. No, dopo Genova non è cambiato praticamente nulla. Anzi, per diversi aspetti la situazione è peggiorata, vedi il numero di morti “nelle mani delle polizie” o lasciati morire in carcere.

Perché la politica si interessa così poco delle polizie?
SP Le polizie hanno sempre goduto di ampia autonomia e di fatto il controllo politico su di esse non c’è mai stato, tranne che come scambio fra fedeltà al potere politico e appunto autonomia. La scomparsa dei partiti della cosiddetta “prima Repubblica” ha aumentato il peso delle polizie rispetto al potere politico.

Nel suo libro insiste sulla necessità di introdurre sistemi di controllo e monitoraggio delle forze di polizia, imitando altri Paesi. A che punto siamo?
SP A livello parlamentare non è mai stata posta la questione di un controllo da parte di un’autorità indipendente sull’operato delle polizie. Ancora peggio è che non esiste alcun monitoraggio, controllo e prevenzione dei frequenti casi di reati e talvolta crimini gravi commessi da operatori delle polizie. L’impunità è stata sempre garantita e rari sono i casi di espulsione di operatori autori di reati anche gravi. Nell’attuale contesto liberista, le polizie si sono adattate a gestire la tolleranza degli illegalismi praticati dai dominanti a livello nazionale e locale (abusivismo, frode fiscale e contributiva, lavoro semi-nero e nero fino alle neo-schiavitù, collusioni con le mafie e in generale ibridazione fra legale e illegale). Questa pratica di tolleranza degli illegalismi si sovrappone e si combina con le devianze e la criminalità nei ranghi delle polizie (corruzione, reati simili a quelli dei caporali e altri connessi alla gestione dell’illecito).

“Dopo Genova non è cambiato praticamente nulla. Anzi, per diversi aspetti la situazione è peggiorata, vedi il numero di morti ‘nelle mani delle polizie’ o lasciati morire in carcere”

Gli abusi di polizia sono al centro di movimenti di protesta molto forti in Paesi come la Francia e gli Stati Uniti. In Italia non esiste niente del genere. Qual è il motivo?
SP Allo stato attuale le polizie italiane sembrano lontane dalla deriva ultra-violenta che prevale negli Stati Uniti e in Francia (tra i Paesi cosiddetti democratici). Ma questa apparenza non deve ingannare. Essa è dovuta al fatto che in Italia la conflittualità economica, sociale e politica è di fatto molto erosa. Il trionfo del liberismo in Italia sembra più forte che altrove e il primo effetto è proprio l’erosione dell’agire collettivo, sebbene ci siano forme di resistenza straordinarie, perfino eroiche, come i movimenti No Tav, No Muos, No grandi opere, per citarne alcuni. Ma questa erosione c’è da tempo e la pandemia non ha fatto altro che accentuarla. Inoltre in Italia non abbiamo le banlieues né un movimento antirazzista, antissessista e antifascista come negli Stati Uniti. Tutto ciò non vuol dire che le polizie non potrebbero tornare a una gestione violenta in caso di ripresa del conflitto sociale. Basta pensare che fino all’avvento di Sarkozy e soprattutto di Valls, il suo ministro dell’Interno, la polizia francese non s’era mostrata più violenta di altre polizie; ma da Valls in poi e soprattutto con la presidenza Macron e i suoi ministri Castaner e Darmarin la polizia francese è stata dotata di mezzi e modalità operative che ne fanno la polizia più violenta d’Europa.

Salvatore Palidda, sociologo, è studioso delle polizie. Nel 2000 ha pubblicato “Polizia postmoderna”

Che ruolo svolge in questo contesto l’Unione europea?
SP A livello europeo sta avanzando un processo di sicurezza comune sia militare sia di polizia che non promette nulla di buono. Il fatto è che non esiste un processo europeo di democratizzazione delle polizie, nonostante qualche atto positivo da parte del Comitato per i diritti umani e da parte della Corte europea. Basti pensare che il cosiddetto codice etico delle polizie europee è rimasto come un simulacro dentro un tabernacolo ben chiuso.

2 sono i poliziotti, condannati per il G8 di Genova, nominati vicequestori

A 40 anni dalla riforma della polizia di Stato, che cosa resta dell’idea di una polizia di cittadini per i cittadini? È stata un’illusione?
SP Come ho scritto nelle conclusioni del mio libro, chiedersi se può esistere una polizia democratica è come chiedersi se possa esistere un governo democratico che garantisca effettiva equa redistribuzione della ricchezza, con priorità assoluta della res publica, quindi dei beni comuni, un governo che dia priorità alla prevenzione dei rischi di disastri sanitari, ambientali ed economici. In teoria può esistere, nella pratica è difficile. Le polizie, nel contesto del capitalismo liberista, saranno sempre segnate dalla coesistenza di gestione pacifica e di gestione violenta dell’ordine, ma quest’ultima tende a prevalere poiché il liberismo è dominio violento e quindi si impone con la violenza. Abbiamo polizie che non proteggono lavoratrici e lavoratori sfruttati al nero o al semi-nero, mentre si smantellano i servizi di prevenzione in tutti i campi (ispettorati del lavoro e delle Asl, servizi sociali per tossicodipendenti e marginali e così via). Il modello liberista impone meno prevenzione e più repressione: alla fine diminuiscono di molto tutti i reati e in particolare quelli più gravi ma aumentano gli arresti e i detenuti.

“Le polizie hanno sempre goduto di ampia autonomia e di fatto il controllo politico su di esse non c’è mai stato, tranne che come scambio fra fedeltà al potere politico e appunto autonomia”

In che modo andrebbero riformate le forze di polizia? Lei che cosa proporrebbe?
SP L’elenco delle possibili rivendicazioni è lungo. Provo a indicarne alcune. L’istituzione di un Comitato di personalità effettivamente indipendenti per il monitoraggio e il controllo dell’operato delle polizie, con potere di suggerire all’autorità giudiziaria eventuali misure sanzionatorie. Un programma di razionalizzazione democratica di tutto il comparto sicurezza, con netta riduzione degli operatori, dei mezzi e delle strutture, peraltro spesso inutilmente sovrapposte. La smilitarizzazione di carabinieri e Guardia di Finanza. L’abolizione delle armi in dotazione alle polizie locali. L’esclusione, nella gestione dell’ordine pubblico, di mezzi e modalità potenzialmente letali. L’immediata sospensione dal servizio degli operatori responsabili di reati. La garanzia di effettiva protezione ai segnalatori di illeciti (il cosiddetto whistleblowing). La libertà d’accesso senza preavviso, per il Garante dei diritti dei detenuti, alle carceri e anche ai luoghi di detenzione provvisoria . Tutto ciò in parallelo a un aumento considerevole dei servizi sociali e delle agenzie di prevenzione e controllo e a un efficace ed effettivo risanamento delle economie sommerse e delle situazioni a rischio di disastri sanitari e ambientali.

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