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Cultura e scienza

Salute digitale: ecco chi scommette sulle app, puntando ai dati personali

Dalla frequenza cardiaca alle ore di sonno: le informazioni biometriche fai-da-te si diffondono e il mercato si adatta. Technogym, Nokia, Runtastic e fitbit, ma anche assicurazioni che propongono sconti a chi indossa braccialetti smart

Tratto da Altreconomia 183 — Giugno 2016

"Pulse Ox” è il prodotto di punta dell’azienda francese Withings: stretto attorno al polso, traccia le attività fisiche, monitorando la frequenza cardiaca e l’ossigenazione del sangue; durante la notte, controlla il sonno. Costa 99,95 euro. A fine aprile Nokia ha annunciato un investimento da 170 milioni di euro per l’acquisto di Withings: “La ‘salute digitale’ è per noi un’area d’interesse strategico” ha spiegato Rajeev Suri, president & CEO di Nokia. Il 3 maggio 2016, Technogym s’è quotata alla Borsa di Milano: in dieci giorni il valore dell’azienda cesenate è cresciuto del 10,7 per cento. Technogym è nata producendo attrezzature sportive, ma oggi cresce soprattutto grazie alla diffusione di strumenti “connessi”, un’offerta digitale che prende il nome di “Technogym Ecosystem” e che permette agli utenti di raccogliere e “portare sempre con sé” i dati relativi ai propri esercizi (e alle risposte del proprio corpo). Tra il 2013 e il 2015, l’azienda è cresciuta in media dell’11% all’anno, passando da 410 a 511 milioni di euro di fatturato.     

Quelli di Nokia e Technogym solo appena due esempi di un segmento di mercato che è conosciuto come “m-Health”: la emme sta per mobile, e indica smartphone, applicazioni e specifici dispositivi (o device) indossabili (wearable), come gli orologi che misurano le funzioni vitali o le macchine wellness, a costituirne lo scheletro. La vendita di prodotti e servizi nel 2020 potrebbe arrivare a valere fino a 62 miliardi di dollari, anche se il cuore di questo mercato sono i nostri “dati”, quelli che mettiamo -gratuitamente- a disposizione dei soggetti proprietari delle applicazioni che misurano i parametri vitali: il loro valore è, ad oggi, incalcolabile. Secondo la società di consulenza Pricewaterhouse Coopers (PwC), che ha indagato il settore del m-Health nell’ambito di una ricerca sui “megatrend” globali, “My life connected” (pwcmegatrends.co.uk/mylifeconnected), la crescita stimata del mercato dei dispositivi è del 37% all’anno tra il 2014 e il 2020, fino a 14 miliardi di dollari. Quarantacinque miliardi di dollari potrebbe arrivare a fatturare, invece, il settore dei servizi legato alla “salute digitale”, categoria che raccoglie anche l’area del wellness. Di cui oggi è campione assoluto “Runtastic”, cioè una famiglia di applicazioni sviluppate dall’austriaca Runtastic GmbH. “Abbiamo circa 85 milioni di utenti registrati in tutto il mondo e circa 6 milioni in Italia” spiega ad Altreconomia l’ufficio stampa per l’Italia. Che però sceglie di rispondere in modo evasivo alle altre due domande poste dalla nostra redazione, e relative alla privacy: nel momento in cui accetta termini e condizioni di utilizzo delle applicazioni di Runtastic, quale libertà di utilizzo di dati inerenti la propria “salute” garantisce all’azienda l’utente? Se i dati possono essere ceduti, a chi vengono ceduti?; nel momento in cui sceglie di condividere le proprie informazioni anche con Facebook, quali ulteriori facoltà di utilizzo di dati inerenti la propria “salute” raccolti da Runtastic concede l’utente a questo soggetto? “Dipende dalle impostazioni della privacy di ogni utente, che può decidere quali informazioni condividere e modificarle in qualsiasi momento. Purtroppo non abbiamo una risposta più specifica”. Anche Enrico Manaresi, di Technogym, pone l’accento sul ruolo del “consumatore”: “I dati sono di proprietà della persona. L’utente può decidere (se ritiene) di acconsentire la condivisione dei propri dati con la palestra o con partner terzi per accedere a servizi o a programmi wellness”.

Il Norwegian Consumer Council, intanto, ha accusato la App “Runkeeper” di tracciare i dati degli utenti anche quando questi non svolgono un’attività fisica, aprendo un ulteriore fronte. 
Nel caso delle App, come evidenzia Emanuele Lettieri, professore di Management sanitario al Politecnico di Milano e senior advisor dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, “i cittadini tendono a non soffermarsi su ‘termini e condizioni’ del servizio, avendo fretta di accedervi: tale comportamento deve essere messo in discussione quando si parla di App ‘sanitarie’ ed è auspicabile che la maturità e la consapevolezza crescano. Le aziende sono consce di questa necessità e stanno sviluppando risposte adeguate”. A inizio maggio, Lettieri ha presentato a Milano i dati relativi a una ricerca, promossa dall’Osservatorio in collaborazione con DoxaPharma, che ha coinvolto un campione di 1.000 cittadini rappresentativo della popolazione, per analizzare l’utilizzo di strumenti digitali per il monitoraggio degli stili di vita. “C’è grande interesse da parte dei cittadini -spiega Lettieri-: uno su dieci ne fa uso; se guardiamo invece a quanti manifestano un interesse, parliamo di un cittadino su 4. Precisiamo che parliamo di cittadini e non di ‘pazienti’, quindi una popolazione tendenzialmente sana” sottolinea Lettieri, che evidenzia un altro aspetto: “Le prestazioni degli strumenti digitali stanno migliorando sensibilmente, ma attenzione a distinguere tra due mercati diversi: quello prettamente ‘sanitario’ e quello ‘del benessere’ la cui finalità principale è la tranquillità dell’utilizzatore; in questo secondo caso gli strumenti non sono dispositivi medici”. 
Quei dati, però, hanno un potenziale valore economico: l’industria delle assicurazioni, ad esempio, può collegarvi previsioni di scontistica in merito a una polizza sulla salute. Un primo esempio è quello di RBM Salute in partnership con iHealth (la campagna si chiama “Sempre connesso alla tua salute”, rbmsalute.it/ihealth.html). Secondo Giulio Salvadori, analista dell’Osservatorio Internet of Things (internet delle cose) del Politecnico di Milano, “nei prossimi 4 o 5 anni dovrà essere affrontato il tema dell’analisi del dato raccolto, per il quale servono competenze che molte aziende non hanno, e risulta un aspetto fondamentale specie in un ambito critico come quello della salute. Gli attori della filiera devono trovare il modo giusto per utilizzare questi dati in forma anonima, ma -spiega Salvadori- al momento mancano indicazioni normative adeguate”. Nel frattempo, così, capita che il trattamento di dati sensibili -come lo sono tutti quelli che riguardano la salute e la misurazione dei parametri vitali- venga affidato ai “termini e condizioni” di utilizzo delle App, “senza richiedere il consenso scritto, una firma autografa, come prevede la legge” sottolinea l’avvocato Raffaele Zallone, fondatore dell’omonimo studio legale e vice-presidente di Lexing, una rete di studi che operano nel campo delle nuove tecnologie. Secondo Zallone sarebbero molto carenti e inadeguate tanto la politica di Technogym (l’azienda si riserva il diritto di condividere informazioni anche con i propri partner commerciali), Garmin (partner di Citroen, offre un dispositivo Fitness Band Vívofit a chi acquista una C1) e fitbit (partner, tra l’altro, di Wind). Il consenso -spiega Zallone- “non può essere desunto, puramente e semplicemente, da una attività (attivare l’App) se non è preceduto da un’informazione completa ed adeguata”. Secondo l’avvocato, nemmeno il nuovo Regolamento europeo sulla privacy di aprile 2016 fornirebbe strumenti per intervenire. Vi si legge: “In fase di sviluppo, progettazione, selezione e utilizzo di applicazioni, servizi e prodotti basati sul trattamento di dati personali […], i produttori […] dovrebbero essere incoraggiati a tenere conto del diritto alla protezione dei dati”. 
Dovrebbero, l’uso del condizionale -in questi casi- è d’obbligo. 


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