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Rotta balcanica senza diritti per i migranti: in Bosnia sgomberato il campo di Bira

Il campo di Lipa. Le fotografie sono state scattate da un'operatrice umanitaria che lavora nei campi di Lipa, Miral e Sedra

A fine settembre è stato chiuso il “centro” per richiedenti asilo e rifugiati in transito nella periferia di Bihać, nel cantone di Una-Sana. Una decisione illegittima del governo cantonale, come denuncia Silvia Maraone di Ipsia. Dall’Italia sta per partire un’iniziativa solidale promossa da “Rivolti ai Balcani”

Il 30 settembre è stato sgomberato il campo di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati di Bira, nella periferia della città di Bihać, capoluogo del cantone Nord-occidentale della Bosnia ed Erzegovina Una-Sana. A quanto si apprende, la decisione di sgomberare il centro gestito dall’Oim (l’Organizzazione per le migrazioni delle Nazioni Unite) e trasferire i migranti che vi trovavano alloggio nei pressi di un altro campo è stata presa in maniera unilaterale da parte del governo cantonale, senza il coinvolgimento dell’ente internazionale né del governo centrale di Sarajevo e senza nemmeno comunicare all’organizzazione per le migrazioni la decisione. L’Unione europea ha condannato le “azioni inaccettabili intraprese dalle autorità del cantone di Una-Sana, che ha trasferito con la forza rifugiati e migranti dal centro di accoglienza temporanea ‘Bira’ a Bihać fuori dal centro di emergenza di Lipa, che è già a pieno regime”.

Non solo il campo di Lipa è già a pieno regime, ma a differenza di quello di Bira (aperto nell’ottobre 2018, di fatto una vecchia fabbrica all’interno della quale lo spazio era organizzato in container che ospitavano sei posti letto ciascuno) è un campo di emergenza costituito da sole tende, aperto nell’aprile 2020 a seguito dell’aumento del numero di arrivi di migranti nella zona, tutti in attesa di tentare il “game”, l’attraversamento del confine con la Croazia, per poi raggiungere il resto d’Europa. Lipa, racconta chi ha potuto vedere il campo in questi mesi, ha una capienza di mille posti, ma già prima dello sgombero di Bira ospitava circa 1.200 persone. Anche l’Onu ha preso parola, invitando a garantire rapidamente soluzioni alternative: “Le Nazioni Unite richiamano l’attenzione sul fatto che il campo tendato di Lipa è già pieno e non attrezzato per l’alloggio invernale. Le capacità di accoglienza a Sarajevo sono piene. Con l’avvicinarsi dell’inverno e il calo delle temperature, centinaia di rifugiati, migranti e richiedenti asilo in Bosnia ed Erzegovina non hanno accesso ad alloggi sicuri, anche nella loro forma più elementare. Le Nazioni Unite sono particolarmente preoccupate che queste azioni minino le capacità di isolamento del Covid-19 e le misure preventive, con conseguente aumento dei rischi per la salute di rifugiati, migranti, richiedenti asilo e della cittadinanza in generale”.

Il campo per richiedenti asilo e rifugiati di Lipa, in Bosnia ed Erzegovina

Per Silvia Maraone della ong Ipsia e che si trova attualmente nel cantone di Una Sana, lo sgombero di Bira è una “azione illegale”. “Stiamo parlando di richiedenti asilo regolarmente registrati nel Paese -spiega-. È come se una Regione in Italia decidesse autonomamente di chiudere un campo di accoglienza e abbandonasse le persone fuori dalla porta dicendo: ‘arrangiatevi’. Il governo di Una-Sana si è mosso senza concordare alcunché col governo di Sarajevo. La risposta dal centro è stata quindi quella di convocare nella capitale il governatore del cantone e il sindaco, proponendo loro fondamentalmente un’unica cosa, cioè di riaprire il campo di Bira. Sia il sindaco sia il governatore hanno però detto che loro non lo faranno riaprire, per cui in questo momento è in corso un braccio di ferro tra il cantone e il governo centrale che non porta da nessuna parte”.

È in atto quindi uno scontro fra poteri locali, governo centrale e organismi internazionali in Bosnia ed Erzegovina sul tema dei migranti, in una condizione di divisione interna al governo bosniaco (già sostanzialmente tripartito fra Bosnia, Erzegovina e Repubblica Srpska), che non ha mai accettato in questi anni di assumersi la responsabilità della gestione dei flussi migratori, demandando tutto all’intervento internazionale delle Nazioni Unite. Nel frattempo, la propaganda anti-migranti in questi mesi ha visto una escalation fra la popolazione di Bihać e di tutto il cantone, con i social network utilizzati per aizzare la caccia al migrante.
A fare le spese delle scelte politiche dei diversi attori in gioco sono però centinaia o addirittura migliaia di migranti in attesa di giocarsi la carta del “game” e sperare di raggiungere gli Stati dell’Unione europea. Quello che registrano i pochi volontari presenti nel cantone, dopo lo sgombero, è il forte effetto che questo ha avuto sulle persone, come racconta ancora Maraone: “I ragazzi migranti dentro i campi si trovano a vivere in condizioni disagiate e disumane. Vanno a incrementare una folla di persone che già vive fuori dai campi e che già vive in condizioni estreme, mentre con l’arrivo dell’inverno fa sempre più freddo e alle persone fuori dei campi che non hanno niente si uniscono le persone respinte dalla Croazia che tornano senza niente dai cosiddetti ‘pushback’, i respingimenti. Non ci sono volontari e non ci sono associazioni locali che possano provvedere ai fabbisogni di queste persone. Chi è stato spostato dal Bira fuori da Lipa si sente appunto trasportato come un pacchetto postale”. Nonostante questo “le attività a sostegno di questa popolazione migrante così osteggiata vanno avanti qui nel cantone di Una Sana come a Sarajevo, mentre purtroppo questo Paese sta dimostrando di avere sempre meno anima e meno coraggio”.

Il campo per richiedenti asilo e rifugiati di Miral, in Bosnia ed Erzegovina

Intanto, dall’Italia sta prendendo forma una risposta in solidarietà ai migranti lasciati senza un tetto, seppur precario, nel cantone, lungo la rotta balcanica. La rete “Rivolti ai Balcani” sta per avviare una campagna di raccolta fondi per garantire l’acquisto di beni di prima necessità (si parla di cibo, ma anche di sacchi a pelo, scarpe e coperte) per tutte quelle persone che non hanno più accesso ai campi a seguito dello sgombero di Bira. Nei prossimi giorni verrà pubblicato un manifesto per lanciare il crowdfunding per la raccolta fondi, e successivamente prenderà forma la fase più direttamente operativa, per recapitare i beni alle persone. Questo passaggio tuttavia potrebbe rivelarsi di non facile realizzazione, dato che chi aiuta i migranti espulsi dai campi e non registrati in altre strutture in territorio bosniaco rischia di trovarsi a operare in una situazione, nei fatti, di illegalità. Nel gioco dei rimpalli delle responsabilità politiche, infatti, chi mette in pratica forme di solidarietà attiva corre il rischio di diventare un bersaglio.

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