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Economia / Approfondimento

In Europa la rivoluzione rinnovabile passa dai cittadini-produttori

Oltre un milione di persone ha abbracciato l’idea di una “democrazia energetica”, fatta da piccoli impianti fotovoltaici ed eolici. In Italia, la rete si rafforza con la fusione tra “Retenergie” ed “ènostra” prevista per maggio

Tratto da Altreconomia 202 — Marzo 2018
I soci della spagnola “Som Energia” ritratti durante la scuola di settembre, il grande appuntamento annuale di autoformazione per i soci della cooperativa

Un milione di euro raggiunto in meno di due ore. Diventati cinque in poco più di una settimana. Quando a metà ottobre 2017 la cooperativa energetica spagnola “Som Energia” ha lanciato la raccolta di capitale sociale volontario per il finanziamento di tre impianti fotovoltaici, non si era certo immaginata un successo tanto travolgente. E invece 1.500 soci hanno creduto e investito all’istante nella proposta, sostenendo così due progetti “verdi” nella zona di Siviglia (quelli di Matallana, 2 MW, e La Florida, 1,5 MW) e uno ad Almerìa (Tahal, 841 kW). Sommati, i tre impianti possono generare 7,2 GWh all’anno, l’equivalente del “fabbisogno elettrico” di 2.900 famiglie. Energia che si occuperanno anche di vendere. Il tutto senza dipendere da un colosso fossile ma mettendo i cittadini al centro: contemporaneamente produttori, consumatori e venditori. Quello di “Som Energia” non è un miracolo: vista dall’alto, infatti, l’Unione europea è costellata da almeno 2.400 piccole o grandi storie simili a quella della cooperativa nata a Girona, in Catalogna, nel 2010 e oggi forte di 43mila soci e 68.378 contratti luce.

Dirk Vansintjan, presidente della Federazione europea delle cooperative energetiche rinnovabili (Rescoop) con sede a Bruxelles, ne rappresenta 1.500 in tutto il continente. L’ultima arrivata è la belga CoopStroom di Bruges. In tutto si tratta di un milione di persone che condividono l’idea di una “democrazia energetica”: partecipare attivamente alla transizione dalle fonti fossili unendo gli interessi di produttori e consumatori a beneficio delle comunità. “Il trend di crescita del movimento è abbastanza impressionante -riflette Vansintjan-: negli ultimi dieci anni in Germania sono nate oltre 800 ‘comunità’. In Olanda, nel 2009, si contavano 20 cooperative eoliche. Oggi ce n’è praticamente una per ogni municipalità e non sono meno di 400”. Nel board della Federazione coordinata da Vansintjan siedono otto realtà: Ecopower (Belgio), De Windvogel (Olanda), Enercoop (Francia), Som Energia (Spagna), DGRV (Germania), Middelgrunden (Danimarca), Energy4All (Regno Unito) e ZEZ (Croazia).

Ogni soggetto ha un suo modello d’azione, anche per effetto della normativa nazionale, ma l’energia rinnovabile certificata è un tratto distintivo. I 43mila soci di “Som Energia”, ad esempio, riescono a produrre autonomamente quasi 10 GWh ogni anno -fotovoltaico in testa, seguito da idroelettrico e biogas-, coprendo fino al 10% dell’energia complessivamente venduta dalla cooperativa. “Il nostro obiettivo -spiega Francesc Casadellà- è di raggiungere il 100% di produzione propria, nonostante le enormi difficoltà che s’incontrano in Spagna per realizzare progetti rinnovabili”. Il 100% significherebbe chiudere il cerchio, come ad esempio riesce a fare oggi la francese “Enercoop” (52mila soci), che produce quasi tutta l’energia verde che poi commercializza (250 GWh all’anno su 260).

“Nei prossimi anni non assisteremo soltanto alla transizione dalle fonti fossili e dal nucleare alle fonti rinnovabili”, spiega il presidente di Rescoop. Quello è ormai un processo irreversibile. Basti pensare che nel 2017, in Europa, eolico, fotovoltaico e biomasse (escluso il contributo dell’idroelettrico) hanno prodotto più energia del carbone: 679 TWh contro 669 (si veda il grafico a pag. 52). Inoltre, lo scorso anno, sempre in Europa, su 28,3 GW di nuova potenza elettrica installata, 23,9 GW sono arrivati dalle rinnovabili (eolico su tutti), pari all’85%. “Il punto fondamentale da comprendere -riflette Vansintjan- è quindi il passaggio dalla produzione centralizzata delle grandi utilities alla produzione decentralizzata dei piccoli produttori-consumatori, i ‘prosumer’. E noi dobbiamo cogliere questa occasione”. Vansintjan ripete più volte la parola “potenziale”. Si rifà al titolo di uno studio del settembre 2016 commissionato al centro di ricerca “CE Delft” (cedelft.eu) da Greenpeace, Friends of the Earth Europe, l’European Renewable Energy Federation (EREF) e Rescoop, che s’intitola proprio “The potential of energy citizens in the European Union”. Da qui al 2050, si legge, il 45% circa dei cittadini dell’Unione potrebbe produrre la propria energia rinnovabile, e un terzo di questa deriverebbe proprio dall’attività delle cooperative energetiche.

Anche l’Unione europea sta riconoscendo questo nuovo protagonismo diffuso. In particolare il Parlamento europeo. Il 17 gennaio 2018, infatti, sono stati approvati alcuni importanti emendamenti alla direttiva sulla “Promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili” attualmente in discussione. Rispetto al testo proposto dalla Commissione, i parlamentari hanno aggiunto alcuni passaggi simbolici e strategici. Uno, ad esempio, arricchisce il “Considerando 19”. “Al fine di garantire che i cittadini siano al centro della transizione energetica -si legge-, gli Stati membri dovrebbero definire strategie a lungo termine per facilitare la produzione di energia da fonti rinnovabili da parte delle città, delle comunità produttrici/consumatrici di energia rinnovabile e dai consumatori autonomi, nell’ambito dei rispettivi piani d’azione per le energie rinnovabili”. Un altro -il “16 sexies (nuovo)”- fissa condizioni di equo trattamento tra piccoli e colossi. “Le comunità produttrici/consumatrici di energia da fonti rinnovabili, le città e le autorità locali -è il testo dell’emendamento approvato dal Parlamento- dovrebbero essere autorizzate a beneficiare dei regimi di sostegno disponibili alle medesime condizioni degli altri partecipanti di grandi dimensioni”.

Un altro ancora punta a rafforzare l’impegno comunitario nell’abbandono delle fonti fossili, portando al 35% la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia dell’Unione nel 2030. Il testo della Commissione  era fermo a un più timido 27%.

Sul fronte italiano, invece, il riconoscimento istituzionale delle comunità energetiche è più sofferto. Nelle 308 pagine della Strategia energetica nazionale (SEN) presentata nel novembre 2017 dai titolari del ministero dello Sviluppo economico e del ministero dell’Ambiente, le “comunità energetiche” compaiono una sola volta e in un passaggio abbastanza generico dedicato ai “nuovi soggetti aggregatori”, che per la SEN “richiederanno un’attenta regolazione in modo da garantire un quadro di riferimento organico e i necessari standard di efficienza e qualità in un sistema sempre più complesso e articolato”.

Gli autori della “Strategia” usano il futuro nonostante il processo sia già in corso, anche in Italia. Ai primi di febbraio di quest’anno, infatti, i soci delle cooperative energetiche “Retenergie” ed “ènostra” si sono dati appuntamento a Milano in vista dell’imminente fusione tra le due realtà, che sarà deliberata dalle assemblee nel maggio di quest’anno.

La prima, nata nel 2008, conta 1.100 soci e fino ad ora si è occupata della realizzazione, promozione e sviluppo di impianti di produzione di energia rinnovabile collettiva. La seconda, fondata nel 2014, sta fornendo elettricità ai propri soci dal marzo 2016, senza problemi. A metà febbraio 2018 ha deliberato i suoi primi 1.710 soci per circa 2mila contratti di fornitura di energia elettrica “rinnovabile, sostenibile ed etica”. La decisione di fondersi in una sola entità arriva dopo anni di collaborazione. Sul monte dell’energia rinnovabile garantita all’origine e commercializzata da “ènostra”, infatti, poco meno del 13% circa deriva dagli impianti di Retenergie (17 per 1,2MW di potenza installata).

E come Francesc di Som Energia, anche Giovanni Bert, presidente di Retenergie, punta a chiudere il cerchio e raggiungere il 100%. “Le nostre due realtà sono perfettamente complementari ma insieme possiamo affrontare meglio la sfida”. Ad oggi, infatti, il parco impianti di Retenergie è rimasto su una taglia più ridotta. La fusione tra le dimensioni della produzione, del consumo e della fornitura apre a scenari nuovi. “Retenergie ed ènostra hanno dimostrato di poter stare in piedi -riflette Gianluca Ruggieri, ricercatore all’Università dell’Insubria, attivista energetico, socio fondatore di ènostra e Retenergie, autore per Altreconomia del libro ‘Civiltà solare’-. Ora è necessario un salto di scala che renda più comunicabile il progetto della ‘comunità energetica’ e contestualmente faciliti la realizzazione di nuovi impianti di taglia significativa, 1-2 MW per l’eolico, ad esempio, rispettando tutti i criteri di grande attenzione ambientale che ci contraddistinguono da sempre”.

L’esempio cui guardare è quello di Som Energia e della leva che si può attivare grazie alla raccolta di capitale tra i soci (che sottoscriverebbero contratti pluriennali di utilizzo dell’energia) e dalla limitazione del finanziamento bancario (che significa emanciparsi da operatori finanziari che determinerebbero i termini dell’investimento). Per una pala eolica da 1 MW, Davide Zanoni, presidente di ènostra, immagina un “investimento compreso tra gli 800mila e 1,5 milioni di euro”. A fusione perfezionata -l’iter procedurale dovrebbe compiersi ad agosto di quest’anno- partirà la prima campagna tra i soci e chi ancora non conosce questo modello di “cooperazione energetica”. “È in questo modo che contribuiamo effettivamente a cambiare le cose -spiega Ruggieri- perché non andiamo più soltanto a comprare elettricità ‘buona’ ma facciamo sì che ci sia un impianto rinnovabile in più e uno fossile in meno. È una bella impresa, tutta da costruire”. I segnali sono positivi, come ha dimostrato l’assemblea congiunta di febbraio: nella sede milanese di ènostra in via Ampère sono intervenute più di 120 persone. A giugno arriverà anche Rescoop, che ha scelto non a caso Milano per la propria assemblea annuale.

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