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Altre Economie

Rivoluzione ciclica – Ae 90

La bicicletta non è solo per il tempo libero o per chi ama lo sport. È una concreta soluzione di mobilità urbana, tutto l’anno, a patto che le istituzioni ne favoriscano l’uso. All’estero le esperienze sono consolidate, ma anche in…

Tratto da Altreconomia 90 — Gennaio 2008

La bicicletta non è solo per il tempo libero o per chi ama lo sport. È una concreta soluzione di mobilità urbana, tutto l’anno, a patto che le istituzioni ne favoriscano l’uso. All’estero le esperienze sono consolidate, ma anche in Italia ora qualcosa si muove


Quando tento di districarmi in bicicletta sulle strade di questa “civile” città del Settentrione italiano, con le macchine che mi fanno pelo e contropelo, il pensiero scivola inesorabilmente alle protettive piste ciclabili del Nord Europa. Poi, in genere mi consolo: almeno a Trento qualche percorso sicuro è spuntato anche in centro, per chi usa la bici negli spostamenti quotidiani (non solo lungo il fiume per la gita domenicale o le vacanze a pedali). Ma anche qui l’esperienza resta da brividi, se il tuo tragitto non segue le poche traiettorie previste dagli avari tecnocrati urbani: incroci a rischio, marciapiedi impraticabili, niente segnaletica. Certo, molto meglio di Napoli, dove la bicicletta urbana non è contemplata, come è facile constatare tentando di raggiungere a pedali, da Posillipo, niente meno che la stazione Centrale. Va poco meglio a Roma, ma pedalando lungo viale Angelico la striscia rossa per le bici finisce bruscamente inghiottita dal tipico paesaggio metropolitano di clacson-lamiere-smog che catapulta a tradimento nel buco nero nazionale della ciclabilità negata.

Altrove, in Europa, si investe sulla bicicletta, non tanto perché sono tutti ecologisti ma per semplice pragmatismo: la maturità dell’opinione pubblica è tradotta in risultati concreti e corrispondenti agli interessi generali. Infatti, come testimoniano numerose indagini europee e nordamericane, puntare sulla bicicletta nella mobilità urbana si riflette positivamente sul fronte del consumo energetico e dell’inquinamento, sulla salute collettiva e naturalmente sulla qualità degli spostamenti (nel raggio di 5-10 chilometri la bicicletta è in grado di battere anche sul tempo l’automobile, costretta a velocità medie “reali” da pedone). Altre ricerche, dall’Australia alla Scandinavia, hanno dimostrato le ricadute sulla salute per chi è passato alla due ruote: meno rischi cardiocircolatori, rafforzamento del sistema immunitario, benessere generale. Se si aggiungono il calo degli incidenti automobilistici e l’effetto di prevenzione sanitaria dato dalla riduzione dell’inquinamento atmosferico, si può intuire facilmente quanto siano bene utilizzati i denari pubblici per

le infrastrutture viarie e altri strumenti della ciclabilità urbana.

La consapevolezza degli amministratori locali di varie città italiane cresce; tuttavia nella pratica si procede a macchia di leopardo e a passo di tartaruga mentre all’estero si corre per rendere la bici un’alternativa seria di mobilità.

In Italia è preziosa la pressione sociale prodotta da un variegato arcipelago di associazioni, gruppi e movimenti, a cominciare dalla Federazione italiana amici della bici e dallo spontaneismo “organizzato” delle critical mass (le manifestazioni che reclamano spazi urbani da sottrarre alle automobili, vedi Ae 49). Accanto a nuovi progetti infrastrutturali per le biciclette (itinerari protetti, parcheggi eccetera) nasce un fermento sociale che si concreta anche in pratiche dimostrative, come la sperimentazione di tragitti sicuri per scolari affiancati al divieto di raggiungere in automobile le scuole (in genere assai pericolose per ciclisti e pedoni, perché assediate da genitori in ansia motoristica).

A proposito di studenti, è interessante il caso di Brescia, città ad altissima densità automobilistica, che negli ultimi anni ha investito molto sulla bici: “Il Comune e il liceo scientifico Copernico hanno dato corso a un’esperienza di progettazione partecipata di itinerari ciclabili nelle zone limitrofe alla scuola e della promozione della mobilità ciclistica (slogan, fumetti, grafica pubblicitaria). I risultati sono stati presentati, nel novembre scorso, alla Conferenza nazionale della bicicletta”, spiega Massimo Braghini, dalla locale associazione affiliata Fiab, che ha collaborato all’iniziativa. Il Comune ha redatto una lista di interventi sulla base del progetto studentesco e ha già realizzato il sottopasso ciclopedonale e la nuova segnaletica.

A Brescia, dal 2001 a oggi la rete ciclabile è cresciuta da 33 a 115 chilometri e l’obiettivo è arrivare a quota 200. Si sono adottate misure di moderazione del traffico, migliorano i parcheggi per le bici, si è avuto il primo censimento dei ciclisti in centro. L’attivismo degli Amici della bici ha dato vita anche alla singolare iniziativa “Paciclica”: nell’ottobre scorso una comitiva bresciana ha raggiunto l’Umbria in bici per partecipare alla marcia Perugia-Assisi coniugando la promozione della pace e quella della ciclabilità (www.paciclica.org). La città lombarda sta portando a termine anche il progetto di “bike sharing”, sulla falsariga di Parigi.

Un servizio simile funziona già da qualche tempo a Parma, dove si chiama “Punto Bici” ed è un’iniziativa del Comune con la sua controllata Infomobility Spa. Il sistema è identico al modello francese: si acquista (anche dal tabaccaio) la tessera magnetica (dieci euro di cauzione, 25 di quota annuale) con la quale si può sganciare la bici da una delle undici postazioni presenti in città (quattro delle quali con tettoie fotovoltaiche che assicurano l’illuminazione notturna); si pedala gratis per sessanta minuti, poi costa ottanta centesimi ogni mezz’ora e un euro ogni ora dopo la terza.

Parma, che presenta anche cinque colonnine per la ricarica delle bici elettriche, sta rapidamente sviluppando la rete ciclabile, che viaggia verso i novanta chilometri.

A confermare che in presenza di politiche serie la cittadinanza risponde, ecco un’indagine del 2005, diffusa dal Comune: indica che un parmigiano su cinque effettua spostamenti in bicicletta nei giorni feriali. Sempre a Parma, vincitrice del premio “Città amiche della bicicletta” 2006, è appena partito il progetto “Bici sicura”: una targa e un libretto come deterrenti dei furti.

Un altra piccola avanguardia della ciclabilità è San Donato Milanese, Comune di 30 mila abitanti che in breve ha sviluppato i percorsi protetti, lanciato il “bike sharing” e realizzato una stazione delle bici (al capolinea della metropolitana), parcheggi, interventi per la sicurezza negli incroci con la viabilità a motore (linea d’arresto avanzata per i ciclisti, corsia riservata in rotatoria, etc.) la cui velocità risulta ridotta dalla destinazione alle bici di una parte della carreggiata. Nel giro di qualche anno gli spostamenti quotidiani a pedali sono così passati dal 3% al 12% del totale. Peccato che nel consiglio comunale del 19 settembre scorso

la nuova giunta abbia annunciato la cancellazione -già avviata- di cinque chilometri di piste ciclabili, compromettendo largamente la rete disponibile per la mobilità pulita.

Non è l’unico caso di “controtendenza”, ma le reazioni popolari di fronte a simili arretramenti lasciano sperare in rapide inversioni. A pedali, s’intende.



Parigi va a pedali


La bicicletta come bene comune della città, sempre a disposizione di tutti, gratuitamente, in molteplici punti di ritiro e restituzione. Benvenuti nel magico mondo del “bike sharing”.

Per anni il servizio della “bici pubblica” è stato una peculiarità del Nord Europa, ma ora sta prendendo velocemente piede un po’ dappertutto e la notizia ha cominciato a circolare sui media nostrani quando la pedalata facile è stata offerta da grandi città quali Parigi, Lione o Barcellona, con decine di migliaia di biciclette disponibili in centinaia di stazionamenti. La bici condivisa, può essere attuata con varie modalità, più o meno flessibili e comode per l’utilizzatore.

Nel caso della capitale francese il servizio “Velib” (bici in libertà) è stato varato l’estate scorsa dal municipio guidato dal socialista Bertrand Delanoë e cresce a vista d’occhio: ormai si contano quasi 1.500 stazioni e ventimila biciclette. Straordinaria l’attrattiva sulla popolazione: nel giro di un paio di mesi dall’esordio si è arrivati a una quota di fruitori pari a circa il 10% dei residenti. I punti di forza del modello “Velib” sono numerosi, soprattutto se confrontati con la rigidità di alcune esperienze italiane di bici condivisa.

A Parigi il progetto è orientato senza compromessi a giocare un ruolo centrale nella politica della mobilità metropolitana: da qui la capillarità delle stazioni (in media sono a 300 metri una dall’altra, dunque raggiungibili rapidamente da tutti gli oltre due milioni di abitanti),

la semplicità del sistema e l’enorme lavoro di gestione e informazione permanente (400 dipendenti, dai meccanici ai ragionieri). Nel sito web si può verificare la disponibilità di mezzi in ogni punto di ritiro di cui è disseminata la città e se invece si arriva a uno temporaneamente inutilizzabile lo si può “interrogare” per sapere dove andare (nel frattempo, se il problema era l’assenza di bici, starà probabilmente già arrivando il pick-up con rimorchio che depositerà il “rifornimento”).

Ma come funziona “Velib”? Per poter salire in sella alle eleganti due ruote parigine (con cambio a tre velocità e freni a disco) basta acquistare un abbonamento annuale (29 euro), settimanale (cinque euro) o giornaliero (un euro): la tessera ricaricabile che viene rilasciata consente di prelevare la bici alle stazioni (è richiesta anche la disponibilità di una cauzione di 150 euro).

Se l’utilizzo è inferiore ai trenta minuti, non si paga nulla (e in mezz’ora si va davvero lontano). Se si supera questo limite si paga un euro per la prima mezz’ora, due per la terza e quattro per ognuna delle successive: insomma, il concetto è far girare il più possibile ogni bici in tragitti relativamente brevi, rendendola così disponibile a molti utilizzatori.

La sostenibilità del servizio è assicurata da un appalto affidato alla Jcdecaux, un gigante della pubblicità, che copre la gestione di “Velib” ottenendo come contropartita l’esclusiva dell’advertisement negli spazi disponibili nell’intero ambito dell’arredo urbano.



Il commento

“Elogio della lentezza”

di Emilio Rigatti*

Un inglese che amò straordinariamente l’Italia e Venezia capì ed enunciò che la velocità è d’ostacolo alla percezione profonda della bellezza: quella interiore che rivela quella esteriore e viceversa.

E non è solo per una questione di sicurezza passiva e preventiva, quella che riduce i rischi in caso d’impatto con un albero. C’è sicurezza più profonda che ci viene dalla lentezza, una calma che predispone lo sguardo a cogliere, nel leggero stringersi della pupilla, la piccola apparizione che è presente in ogni secondo della nostra giornata. È la mano che ci permette di cogliere il frutto.

C’è una sicurezza particolare che ci viene dalla lentezza, che non è solo quella che il nostro mezzo è più sicuro per noi e per gli altri. Nella velocità, quella che ci viene imposta dall’esterno, quasi girassimo tutti su una giostra impazzita, tutto si spezzetta, diventa un trailer eccitante e vuoto. La lentezza ci dà la sicurezza che salva –o ricostruisce– quell’indicibile rapporto che c’è tra noi e la bellezza.

Ci dà la sicurezza dello sguardo, che è diverso dall’arbitrarietà della vista.

Lo spazio e il tempo sono variabili che subiscono significative alterazioni non solo alla velocità della luce, ma anche alla lentezza dell’andare piano. Il piccolo fiotto di luce che penetra le nostre pupille non avrà viaggiato per nulla dal sole a noi. Se il viaggio vero è sempre, come dice qualcuno, un modo –o un pretesto?- per conoscere noi stessi attraverso le sue suggestioni, si può viaggiare anche stando fermi, come suggeriscono tra gli altri Pascal, Confucio, Flaiano, De Maistre. O spostandosi poco. O molto.



Chissà quanto conta, nel nostro assumere una determinata posizione, la posizione degli altri. Può darsi che a salire sul sellino della bici mi abbiano costretto una serie di circostanze, i fucili puntati della necessità. Insomma, mi dico, potrebbe non essere una scelta di libertà, ma una specie di zattera del Medusa, a bordo delle quale mi degusto intemperie e fame.

Più stiamo fermi o quantomeno andiamo piano più il paesaggio ci lascia delle impronte in quello strano non–luogo che è l’anima, la psiche.

La velocità delle automobili riduce l’immagine di ogni angolo del nostro ambiente a un istante fuggitivo. L’unica cosa che ci appare ferma è la macchina in cui siamo seduti, la sua tappezzeria, i suoi comandi, lo stereo. E come gli anatroccoli abbiamo una sorta di imprinting: ci innamoriamo della macchina e notiamo perfino se un po’ di polvere si è depositata sul cruscotto. Ma se il bosco davanti cui sfrecciamo tutte le mattine viene tagliato non ce ne accorgiamo.

E se sì, lo notiamo come un accidente che non ci riguarda. Per cui la complessità del mondo si riduce alle poche cose che si sottraggono alla fugacità della dinamismo esasperato: l’automobile, l’appartamento, la televisione, l’armadio guardaroba. Credo che il brutto in cui stiamo precipitando abbia qualche legame con la velocità.



* Ciclista e scrittore. Il suo ultimo libro è “Italia fuorirotta. Viaggio a pedali attraverso la Penisola del tesoro”, Ediciclo 2007



Intermodalità, un sogno

La possibilità di interazione della bici con i mezzi di trasporto collettivo è essenziale, anche perché è in grado di ricreare, nell’immaginario sociale, un modello di spostamento rapido “porta a porta” più efficiente dell’automobile. Bisogna poter facilmente raggiungere le stazioni e caricare la bici su bus, metropolitane e treni oppure parcheggiarla in ricoveri protetti. L’esempio viene dall’Europa del Nord: a Copenaghen i vagoni metropolitani sono attrezzati con rastrelliere per bici che, se non utilizzate, lasciano spazio al seggiolino per i passeggeri.

In Italia l’intermodalità resta un punto dolente. A Milano è concesso ai ciclisti l’utilizzo della metropolitana solo dopo le 20 nei giorni feriali, dalle 10 il sabato e tutto il giorno la domenica: siamo alla cosmesi. Se Milano non ride, Roma piange: si accettano le biciclette solo nei festivi sulla Metro B e sulla linea Roma-Lido di Ostia. Quanto a Trenitalia, l’efficienza è lontana: bici accettate solo su una parte dei convogli.



Anche in salita…

Una città tutta in salita non è necessariamente nemica della ciclabilità. Per dare una spintarella a chi pedala in luoghi collinari e non vuole fare troppa fatica, si possono attuare vari interventi, sia pure senza arrivare alla creatività estrema del “bici-lift” realizzato a Trondheim, in Norvegia. Qui funziona da quindici anni un prototipo che offre al ciclista la possibilità di farsi portare lungo una ripida salita di 130 metri (www.trampe.no).

Le esperienze, peraltro discontinue, di alcune città italiane vedono l’utilizzo di un carrello portabici agganciato ad alcuni degli autobus per la collina. Fuori dal servizio urbano (dove la vera soluzione è una seria intermodalità), si hanno molti casi legati al turismo, come nel servizio “Bike’n’Bus” sulle Dolomiti

a Belluno (www.dolomiti-inbici.com) o sul lago di Garda.



… e pure in inverno


La bicicletta è uno strumento prezioso nella mobilità urbana dodici mesi all’anno: pioggia, freddo e neve si possono affrontare facilmente, in un contesto viario sicuro. Ma affinché tutto fili liscio, l’accortezza individuale nell’attrezzare la bici e nella scelta dell’abbigliamento adeguato deve affiancarsi all’impegno pubblico per garantire la fruibilità di ciclopiste e marciapiedi.

In Norvegia, ad esempio, da un’indagine rivolta a un focus group di “pendolari” in bicicletta è emerso che un terzo degli intervistati pedala tutto l’anno e la maggioranza lo fa anche d’inverno almeno tre volte la settimana.

Fanali efficienti, gilet catarifrangenti, casco e gomme chiodate sono gli equipaggiamenti principali. Quanto al fondo stradale, nelle procedure adottate da molti villaggi e città del Nord Europa per lo sgombero della neve e gli interventi antigelo, le più importanti piste ciclabili urbane (percorsi casa-lavoro/scuola) rientrano fra le arterie con priorità d’intervento notturno.



La prima conferenza

La prima Conferenza nazionale della bicicletta in Italia si è svolta a Milano, nel novembre scorso. È stata promossa dal ministero dell’Ambiente. L’obiettivo di fondo dei tre giorni di dibattiti e seminari era delineare un percorso per dar corpo anche in Italia a una politica seria sulla ciclabilità, in un Paese gravemente ritardatario (in Scandinavia i primi piani nazionali delle piste ciclabili risalgono agli anni Trenta). La prospettiva strategica aperta dalla Conferenza è un coordinamento concreto di tutte le forze in campo, dalle istituzioni alla vivacissima rete dei movimenti che si battono per la mobilità pulita, dal mondo delle imprese ai tecnocrati pubblici.

Nel sostanziale disinteresse dei grandi media, si è delineato l’orizzonte, per ora solo teorico, di una mutazione profonda, che porterebbe il Paese fra le avanguardie mondiali. www.bici2007.it

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