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Economia / Opinioni

La rivincita della finanza e il ruolo delle banche centrali

Nella zona dell’euro, a partire dal 2009, l’incremento del Pil è stato pari al 16% mentre gli utili delle imprese quotate in Borsa sono cresciuti nello stesso periodo di circa il 40%. Negli Stati Uniti la sperequazione è stata ancora più pesante: il Pil è cresciuto del 18% a fronte di un’esplosione degli utili delle società quotate nelle Borse USA del 130%. Com’è stato possibile? L’analisi di Alessandro Volpi

Appare chiaro, sulla base delle evidenze numeriche, che dalla più grave crisi del Novecento molteplici economie mondiali stanno sia pur con qualche fatica per uscire, registrando però, al contempo, una pronunciata accentuazione delle disuguaglianze sociali ed economiche. Si tratta di un dato paradossale perché l’avvio del superamento dei nefasti effetti della recessione iniziata nel 2008 sta avvenendo con un peggioramento delle condizioni delle fasce medio-basse della popolazione e con un sensibile arricchimento dei segmenti più alti. I numeri parlano chiaro in tal senso.

Nella zona dell’euro, a partire dal 2009, l’incremento del Pil è stato pari al 16% conoscendo dunque una ripresa decisamente contenuta, mentre gli utili delle imprese quotate in Borsa sono cresciuti nello stesso periodo di circa il 40%. Negli Stati Uniti la sperequazione è stata ancora più pesante in quanto il Pil a stelle e strisce è salito del 18% a fronte di una esplosione degli utili delle società quotate nelle Borse USA di poco inferiore al 130%. Gli indici borsistici hanno moltiplicato ulteriormente questo fenomeno: l’Eurostoxx 50, il principale indice europeo, è cresciuto del 99% e il Dow Jones addirittura del 263%. Semplificando molto il processo in corso, l’impressione che se ne ricava consiste in una palese rivincita della finanza, capace di sconfiggere i vincoli normativi e le regole dell’austerità utilizzando a proprio vantaggio l’enorme fiume di liquidità generata dalle banche centrali per permettere la ripresa dell’economia reale. Esiste, fra le altre, un’espressione particolarmente efficace di questa distorta dinamica economica, rappresentata dal forte incremento dei prezzi dei beni di lusso che hanno conosciuto un’inflazione galoppante a differenza di quanto avvenuto per la stragrande maggioranza dei beni di largo consumo. Federico Fubini, giornalista del “Corriere della Sera”, ha ricordato il caso della borsa da donna Chanel Reissue 2.55 taglia 27 che nel 2009 costava 3.095 dollari e nel novembre del 2017 veniva venduta a 6.400, con un’inflazione dell’11,8% annuo, oltre 10 volte superiore all’inflazione “ufficiale”, misurata sul prezzo dei beni contenuti nei panieri standard, relativi alla maggioranza dei consumatori.

Negli scenari post-crisi, dunque, i prodotti indirizzati ai super ricchi diventano assai più richiesti e, di conseguenza, più costosi mentre la capacità di acquisto della gran parte della popolazione si riduce in maniera drastica, facendo precipitare l’inflazione nel suo complesso. Solo per citare un altro interessante confronto è utile ricordare che l’indice generale Istat dei prezzi, nel caso italiano, ha registrato un incremento dal 2010 dell’1,08% a fronte di un aumento dei prezzi del comparto della gioielleria, contenuto nel medesimo indice, pari al 41,7%.
C’è poi un secondo aspetto rilevante che ha concorso all’emergere di disuguaglianze in diversi Paesi. Come accennato per fronteggiare la crisi, le banche centrali hanno fatto ricorso alla creazione artificiale di carta moneta che, oltre ad aver alimentato la finanza, ha garantito la copertura a tassi negativi dei debiti pubblici negli Stati Uniti e in alcune realtà europee. Tali debiti sono lievitati in molteplici circostanze per salvare sistemi bancari sull’orlo del baratro, in altre, invece, come nel contesto italiano, hanno continuato a crescere per effetto dei pesanti oneri pregressi e per un andamento del Pil decisamente asfittico. In altre parole, le banche centrali hanno messo i governi nella condizione di produrre politiche economiche, rompendo o almeno forzando i parametri dell’austerità e derogando al compito di “custodia” della stabilità delle monete.

Tali politiche, tuttavia, in molti casi, non sono riuscite a ridurre le disuguaglianze ma, anzi, hanno finito, come ricordato, per aggravarle. Anche da questa prospettiva dunque sta consumandosi un altro paradosso; le strategie di liquidità facile, nate per risolvere la crisi, hanno consentito politiche di cui hanno beneficiato principalmente i segmenti già ricchi della popolazione e molto “finanziarizzati” con ricadute assai modeste sulla più complessiva ripresa delle economie nazionali appesantite da una depressione dei consumi diffusi. Non è con le borse di Chanel che si ripristina la giustizia sociale.

Università di Pisa

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