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La sottile trama che ha tessuto il ritorno della seta italiana

Il comparto era quasi scomparso da cinquant’anni. Oggi una rete nazionale di esperienze, dalla provincia di Vicenza a Como, rilancia la “gelsi-bachicoltura” con un modello competitivo, facilmente replicabile anche su piccola scala

Tratto da Altreconomia 211 — Gennaio 2019
Bachi del laboratorio CREA-AA di Padova © Alberto Caspani

Il rilancio della bachicoltura italiana è appeso a un filo. Di seta, naturalmente. Si dipana dal progetto Serinnovation, nato nel 2017 dalla cooperazione tra aziende agricole e imprese venete con il CREA di Padova (Consiglio per la ricerca in agricoltura e per l’analisi dell’economia agraria), al brand #bacomania ideato a Como da Francesca Paini. Come buona regola di tessitura vuole, nei varchi di questo prezioso ordito s’intrecciano trame dalle sorprendenti sfumature, che lasciano emergere immagini di giovani startup, associazioni culturali, imprenditori orafi e tessili e agronomi, ma anche di società cosmetiche o farmacologiche, ormai pronte per essere unite nello stesso disegno: un’Italia capace di proporsi come il polo più innovativo del mercato della seta, grazie alla ricostruzione della sua filiera nazionale.

Ma come? Fibre sintetiche, insetticidi e pebrina -la temutissima malattia che rende inappetente il baco Bombix Mori sino alla morte- non avevano posto già cinquant’anni fa una pietra tombale su uno dei comparti più importanti dell’economia italiana? Innegabilmente sì, visto che un laboratorio orafo di Nove (VI), “D’orica”, ha dovuto setacciare nel 2014 non solo l’intera provincia di Vicenza, ma ogni angolo della penisola, pur di trovare seta di produzione tricolore. In un piovoso pomeriggio dell’estate di quell’anno, a Pove del Grappa, i coniugi Giampietro Zonta e Daniela Raccanello ebbero infatti un’improvvisa intuizione: “E se facessimo gioielli in seta e oro?”.

L’idea è entusiasmante. Grazie al contributo di Daniela, che è una designer, viene realizzano un primo esemplare dell’innovativo monile. Decisi a sostenere una produzione 100% made in Italy, i coniugi entrano in contatto con l’ex presidente dell’Associazione bachicoltori italiani. Fernando Pellizzari coinvolge a sua volta la dottoressa Silvia Cappellozza, responsabile del laboratorio di Padova CREA-AA Agricoltura e Ambiente. Nonostante l’Italia sia quasi priva di seta, certo non mancano le conoscenze per rilanciare l’antica arte. Anzi, a Castelfranco Veneto (Treviso) si scopre addirittura una filanda industriale del 1971 che, unica in tutta l’Europa, è ancora funzionante. Col coinvolgimento della cooperativa sociale agricola Campoverde, la struttura viene infine acquistata da D’orica e per la primavera successiva si avvia la produzione dei nuovi bozzoli veneti, utilizzando per la filatura inaugurale uno stock in arrivo dalla Calabria. Merito del tecnico Aldo Roncato e dell’ingegnere dell’automazione Salvatore Gullì. Scoppia la “bacomania” italiana. All’impresa orafa veneta si aggregano cooperative, una dopo l’altra lungo il percorso, coronato nell’ottobre 2014 dall’approvazione da parte della Regione Veneto di un progetto di rete rivoluzionario. Il suo nome è quanto mai appropriato: “Rinascita della Via della Seta”.

“E rinascita è stata davvero”, conferma la ricercatrice del CREA Silvia Cappellozza. “In pochi anni abbiamo rimesso in piedi una filiera di “seta eticacompletamente italiana, senza però la pretesa di competere sul piano produttivo con colossi come Cina, Uzbekistan o India: le condizioni di mercato odierne non sono più vantaggiose, da questo punto di vista (già negli anni 70, la Cina riusciva a esportare la propria seta a 17 dollari al chilo, contro i 24 richiesti nel nostro Paese). L’Italia, invece, ha tutto da guadagnare dallo sviluppo del suo know-how. Abbiamo maturato competenze specialistiche che nessun altro Paese può oggi vantare a livello internazionale, tant’è che al CREA stiamo ricevendo dall’Asia e dall’America richieste di collaborazione sempre più pressanti. Addirittura da parte del ministero uzbeko che si occupa della produzione della seta, interessato a coinvolgerci in un progetto nazionale. Senza il supporto dello Stato italiano, però, non possiamo cogliere queste opportunità. È perciò importante che il risveglio della sericoltura -partito dal Veneto con il significativo appoggio della Regione e grazie al nostro fondamentale contributo per la messa al bando dell’insetticida fenoxicarb (letale per il baco)- non resti circoscritto a virtuose iniziative locali. Occorre trovare, adesso, una cabina di regia nazionale che permetta di lavorare in modo coordinato sull’iperspecializzazione”.

“È importante che il risveglio della sericoltura non resti circoscritto a virtuose iniziative locali. Occorre trovare una cabina di regia nazionale” – Silvia Cappellozza

Ancora una volta, è toccato al Veneto fare da apripista. Col nuovo progetto “Serinnovation” è stato infatti costituito un Gruppo Operativo di Partenariato Europeo per favorire la competitività, la sostenibilità, la biodiversità e la sicurezza alimentare in agricoltura, gettando ponti tra il mondo della ricerca, gli agricoltori, nonché le tecnologie di punta. L’iniziativa rientra nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale (2014-2020) e si fonda su un modello di agricoltura ecocompatibile, con prospettive di posizionamento in nuove nicchie di mercato: produzioni uniche, esclusive, che spaziano dall’artigianato tessile alla gioielleria, dalla moda alla cosmesi, spingendosi sino al mangimistico. Il tutto, con la garanzia di adeguate certificazioni e procedure di tracciabilità. Oggi la gelsibachicoltura e la ricerca italiana stanno dando vita a un modello economico del tutto nuovo. Un modello competitivo, facilmente replicabile e, soprattutto, remunerativo anche su micro scala.

Una vista sulla città di Como dalla terrazza panoramica di Brunate

“Per fare rete e mettere in fila tutte le esperienze che stanno fiorendo in Italia -chiarisce Francesca Paini, referente della cooperativa sociale Questa Generazione di Como- abbiamo deciso di lanciare il brand #bacomania, grazie al quale puntiamo anche a formare nuove figure professionali capaci di soddisfare le richieste del mercato odierno. A Como, che vanta ancora aziende secolari come Mantero 1902, copre il 90% delle esportazioni dei tessuti di seta dell’Unione Europea verso i mercati internazionali ed è città coinvolta nel progetto Unesco ‘The Silk Road’, sentiamo la responsabilità storica di valorizzare ogni opportunità offerta da questa rinascita. Simbolo del ritrovato slancio è un progetto che sta coinvolgendo il vicino Comune di Cassina Rizzardi, dove sino al 1980 esisteva il polo di riferimento italiano per la formazione serica e l’allevamento meccanizzato del baco. Nonostante la crisi degli scorsi decenni, sono state mantenute attive funzioni didattiche per l’esportazione in Africa della produzione del baco. Là esistono infatti le condizioni climatiche più consone per garantire l’attività sull’arco di 12 mesi. Ora l’idea è quella di tornare a investire anche sul nostro territorio, partendo dalla creazione di un gelseto, le cui foglie costituiscono la base per l’alimentazione del baco, fra i capannoni vuoti di Cassina Rizzardi”.

I cittadini di Como hanno accolto l’idea con grande entusiasmo e, grazie al supporto del Museo della Seta, è stata avviata la produzione di oltre 5mila bachi su un’area sperimentale di un ettaro. I nuovi ambiti di specializzazione non richiedono necessariamente grandi spazi o impianti industriali, perché la filiera è strutturata come rete per convogliare la produzione su obiettivi specifici, offrendo inoltre remunerazioni competitive (sul mercato di oggi la seta costa 75 euro al chilo, ottenibili sia da bozzoli di baco puro, che producono 250 metri di filo, sia da ibridi, che garantiscono sino a 1,2 metri).

“Per fare rete e mettere in fila tutte le esperienze che stanno fiorendo in Italia abbiamo deciso di lanciare a partire da Como il brand #bacomania” – Francesca Paini

I campi di specializzazione sono molteplici: dalla produzione di marmellata con le more del gelso alla realizzazione di tisane attraverso le foglie della pianta, dall’estrazione di sericina (la sostanza che serve a indurire il filo di seta) per creme cosmetiche all’utilizzo del filato per materiali fonoassorbenti o protesi neurali, come le retine sintetiche sperimentate a Lomazzo (Como). Ma non è tutto. L’impiego di grafite nella coltivazione del gelso può dar vita anche a una seta “potenziata”, rilanciando le scoperte scientifiche sulle proprietà del gelso realizzate a Como già nel ‘700 (quando Teresa Ciceri, amica dell’inventore della pila Alessandro Volta, brevettò un tipo di carta ottenuta proprio dalla pianta).

Un laboratorio artigianale per la produzione di tessili in seta, nei pressi di Bodhgaya, in India © Alberto Caspani

Esperimenti d’avanguardia sono poi condotti in Veneto sulle proprietà della gelsolina, una proteina associata all’actina e coinvolta nella mobilità delle cellule. Le foglie di gelso, ancora, contribuiscono a legare gli zuccheri nel sangue, risultando preziosissime nei trattamenti del diabete. Con un mix di seta comasca e prodotta da ragni australiani, invece, il giovane designer Luca Alessandrini ha inventato un materiale 5 volte più resistente dell’acciaio per la costruzione dei violini, dando la possibilità di soppiantare risorse non sostenibili come il truciolato e il multistrato marino, usato per la realizzazione delle casse acustiche. Ampie possibilità di investimento offre pure la seta vegana, che viene prodotta aspettando il completamento della metamorfosi del baco (anziché bollendo 3mila bruchi con l’obiettivo di ottenere poco più di 250 grammi di seta, unità minima di mercato).

“In Italia siamo ormai in grado di gestire ogni ambito della filiera della seta -aggiunge Massimo Proia, presidente dell’Associazione culturale “Sinergie”- e negli ultimi anni lo abbiamo più volte dimostrato a Inventa, il Salone della Scienza e dell’Invenzione di Zagarolo, così come all’esibizione di artigianato tessile Tramando e Tessendo. Grazie a Sinergie siamo riusciti addirittura a costruire prototipi robotizzati di macchine per la lavorazione della seta adatti all’industria 4.0. Ora stiamo pensando di perfezionarli ulteriormente nell’incubatore Lazio Innova di Roma, col supporto della Regione”. Per l’Italia, dunque, si prospettano scenari rosei nel mercato della seta, a patto che cittadini, imprese e istituzioni riescano a far convergere i propri sforzi verso il medesimo obiettivo. Nel mercato livellato dalla globalizzazione, la fame di idee innovative resta infatti enorme e il rischio che i brevetti italiani finiscano nelle mani di giganti asiatici o americani non è da escludere. E a quel punto, anziché trasformarci in farfalle leggiadre, saremmo condannati a restare bruchi per sempre.

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