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Ritorno a una normalità “differente”

Tra crisi di linguaggio e di forme politiche, la disaffezione è partita dalle periferie. Il “commissariamento” europeo e il governo dei tecnici hanno fatto il resto. La soluzione dei problemi concreti, necessariamente circoscritta e localizzata, dovrà combinarsi con una lettura complessiva dei fenomeni sociali che si origina dagli stili di vita in un’ottica di civismo europeo e globale.

Stiamo assistendo alla crisi del linguaggio e delle forme politiche che hanno caratterizzato la storia italiana negli ultimi anni, in particolare dalla frattura del 1992-94. Come allora siamo di fronte ad una nuova faglia; in quel drammatico torno di anni la crisi ha attraversato i partiti muovendo dal centro, delegittimandoli sul piano ideologico e svuotandoli di consenso reale, oggi lo sconquasso parte anche dalla periferia, dai territori e dalla sempre più marcata afonia amministrativa.

Il centro destra è imploso per la fine del collante berlusconiano che ha incarnato un modello sociale ed un immaginario collettivo travolti in larga misura proprio dalla crisi; l’ottimismo forzato e il partito della riduzione delle tasse si sono scontrati con la recessione e con il muro del disastro dei conti pubblici, brutalmente aggravato dal taglio dell’Ici sulla prima casa e dalla impennata del conto interessi sul debito sovrano. Il pensare positivo del berlusconismo si è rivelato un mantra vuoto mentre gli italiani si impoverivano troppo rapidamente.

Ma a nuocere forse ancora di più al centro destra nel suo insieme è stato il fallimento del federalismo, uno dei pochi capisaldi, attorno cui la Lega aveva costruito la propria rappresentazione nei termini del buon governo del territorio. Uno dei presidi nei confronti dell’antipolitica è stato spazzato via dagli scandali del cerchio magico e dall’impoverimento insostenibile della finanza locale. Senza possibilità di agire localmente e con vertici screditati anche i sindaci leghisti hanno pagato pegno. Dai territori è partita la disaffezione nei confronti di visioni salvifiche che le ricadute tangibili della crisi hanno dimostrato troppo approssimative; i drammi della piccola impresa  in costante affanno per i mancati pagamenti imposti dal Patto di stabilità, la scomparsa dell’accesso al credito, il peso del carico fiscale cresciuto proprio con il governo di centro destra che aveva promesso di ridurlo hanno volatilizzato i consensi ben oltre il tracollo degli schemi ideologici e del senso di appartenenza al partito.

Il “commissariamento” europeo e il governo dei tecnici hanno fatto il resto: la lettera di Draghi e Trichet (nella foto), i vincoli dettati dalla Commissione europea, la dipendenza dalla Bce per la copertura del debito pubblico del paese, e quindi persino per il pagamento degli stipendi, l’esigenza di un primo ministro garante rispetto alle rasoiate degli spread e la sostanziale dismissione del parlamento, popolato da una poco credibile maggioranza trasversale, hanno rafforzato l’impressione diffusa che le consuetudini della politica “tradizionale” fossero del tutto inutili, se non addirittura dannose, dati gli altissimi costi di tali consuetudini.

Alla luce di un simile quadro, che si è innestato sul tronco malato degli scandali, l’unica ripartenza possibile è stata isolata nelle soluzioni molto locali, intrise di un pragmatismo diverso, contraddistinto dai caratteri della novità, personale e amministrativa, dietro il quale si pone una prospettiva fondata su modelli di vita piuttosto che su costruzioni programmatiche complessive. Sono emersi vocabolari composti di punti molto dettagliati, quasi tecnici, ispirati però ad una dimensione della politica come luogo dell’esistenza comune, senza eccessi e senza effetti speciali; un ritorno ad una normalità “differente”, ben consapevole dei limiti di tempo e di spazio che animano la realtà quotidiana a cui troppa parte della politica ha smesso di guardare, attratta da narrazioni e immaginari fumosi.

Affidare ai tecnici la soluzione dei problemi concreti è stata percepita come la conferma che la politica tradizionale non sapeva elaborare una propria classe dirigente in grado di uscire dagli schematismi e dai sistemi di interesse eccessivamente invasivi. Da questo declino della politica, le vie di uscita sono state quelle dell’astensionismo dilagante e di un rinato civismo che il Movimento 5 stelle è stato capace di interpretare prima di altri e con cui ora dovrà misurarsi in termini concreti. Ma si tratta di una dimensione civica cha hanno capito anche altri soggetti per i quali la faticosa ricostruzione della politica passa proprio da una lungimirante quotidianità, che deve avere la capacità di fare i conti con il troppo rapido esaurirsi delle risorse pubbliche e con la caduta definitiva dei totem identitari.

La soluzione dei problemi concreti, necessariamente circoscritta e localizzata, dovrà combinarsi con una lettura complessiva dei fenomeni sociali che si origina dagli stili di vita in un’ottica di civismo europeo e globale.

*Università di Pisa 

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