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Riso transgenico dilemma cinese – Ae 59

Numero 59, marzo 2005Cotone e pomodoro geneticamente modificati vengono già coltivati,la prossima frontiera potrebbe essere il riso: una rivoluzione con conseguenze globali. Ma governo e comunità scientifica restano divisi La Cina passa al riso ogm? Da alcuni mesi giornali e agenzie…

Tratto da Altreconomia 59 — Marzo 2005

Numero 59, marzo 2005

Cotone e pomodoro geneticamente modificati vengono già coltivati,
la prossima frontiera potrebbe essere il riso: una rivoluzione con conseguenze globali. Ma governo e comunità scientifica restano divisi

 
La Cina passa al riso ogm? Da alcuni mesi giornali e agenzie di stampa (il China Daily, la Reuters e il Corriere della sera, per citarne alcuni) danno per imminente in questo Paese l’autorizzazione alla coltivazione di riso transgenico (cioè ottenuto con la tecnica dell’ingegneria genetica, che permette di trasferire il gene di una specie in un’altra diversa). Gli organismi geneticamente modificati (o ogm) sono da tempo oggetto di studi da parte di enti di ricerca cinesi, ma finora sono stati autorizzati solo cotone (in collaborazione con la multinazionale Monsanto) e, in minima misura, pomodori.
La produzione transgenica cinese è attualmente modesta se confrontata con quella di altri Paesi: infatti rappresenta solo il 4% del totale contro il 59% degli Usa e il 20% dell’Argentina; in termini di ettari, data l’estensione dei terreni agricoli cinesi, si tratta di una percentuale irrisoria.
Ma potrebbe aumentare significativamente se il Ministero dell’Agricoltura autorizzasse, a partire dal 2006, la coltivazione del riso geneticamente modificato, considerato che la Cina è il principale produttore di questo cereale.
Secondo gli scienziati cinesi che da circa sei anni stanno studiando e sperimentando alcune varietà di riso rese resistenti agli insetti e ad alcune malattie, i risultati sono molto promettenti e, durante un meeting svoltosi a Pechino alla fine dell’anno scorso, hanno sollecitato il governo ad autorizzare al più presto la coltivazione su larga scala di queste varietà transgeniche.  Ma altri studiosi hanno messo in luce anche i rischi di simili coltivazioni; il professor Zhu Xinquan, componente del comitato governativo per la sicurezza degli alimenti transgenici e presidente della società cinese di agrobiotecnologia, ha affermato: “Non dobbiamo aver fretta: sarebbe molto irresponsabile, e potremmo pentircene nel futuro”. Dal canto suo il professor Xue Dayuan del Nanjing Institute of Environmental Science sottolinea che se si andasse incontro a una contaminazione ogm delle varietà di riso selvatiche “sarebbe un disastro. L’inquinamento genetico danneggerebbe la biodiversità: bisogna essere estremamente cauti nell’introduzione di novità di questo rilievo”.
Ma quali sono le norme che regolano gli ogm in Cina? Già nel 2001 il governo cinese ha adottato misure di controllo sugli ogm, limitandone il rilascio in campo aperto e prevedendo un sistema di etichettatura tanto per gli alimenti quanto per i semi. Secondo la normativa cinese, gli ogm sono classificati in quattro categorie in base alla gravità del loro potenziale impatto sull’ambiente e sugli organismi viventi. La sperimentazione e il rilascio devono essere approvati direttamente dal governo. L’etichettatura e’ obbligatoria in tutti gli alimenti e semi geneticamente modificati, e la loro vendita è illegale se non viene segnalata la presenza delle modificazioni. Inoltre, come chiarito nel 2002, tutte le compagnie estere che esportano ogm in Cina devono ottenere un certificato di sicurezza che assicuri la non-pericolosità (ad esseri umani, animali o all’ambiente) dei prodotti importati.
La situazione cinese è, in realtà, stretta tra il pragmatismo di una parte del governo, supportato dai ricercatori del settore transgenico, che spinge verso colture che dovrebbero aumentare la produttività e la preoccupazione dei ministri dell’Ambiente e della Sanità, di una parte del mondo scientifico e di gran parte dell’opinione pubblica che ritengono rischiosa la diffusione delle piante transgeniche. Ma i dubbi di una parte del governo sono anche legati al timore di perdere l’accesso ai mercati di esportazione europei, che non vedono di buon occhio i prodotti transgenici. Inoltre, secondo Greenpeace, da un sondaggio condotto in Cina risulta che l’87% degli intervistati chiede che venga riconosciuto il proprio diritto di scelta, mentre il 40% sceglierebbe alimenti senza ogm e il 24% opterebbe per prodotti alternativi. Proprio questi ultimi sembrano suscitare l’interesse anche di settori economici e recentemente sono state presentate proposte governative per regolamentare l’esportazione di prodotti “ogm free” e la coltivazione e commercializzazione di prodotti biologici.
È difficile prevedere se nel corso di quest’anno prevarranno le ragioni di chi è a favore degli ogm o le preoccupazioni di chi teme per la biodiversità naturale e agricola della Cina. Sicuramente le esperienze già fatte in altri Paesi dovrebbero indurre il governo cinese a molta cautela. Infatti il rischio di contaminare sia le varietà originarie del riso cinese che alcune piante spontanee in grado di incrociarsi con il riso coltivato è tutt’altro che remoto. Ricercatori cinesi hanno evidenziato che il polline di riso può spostarsi per oltre 100 metri ed in tal modo una pianta transgenica può trasferire il gene estraneo in piante di riso tradizionale ed in piante spontanee, comprese alcune infestanti del riso coltivato, contaminandole. Si tratta di una contaminazione già accertata per piante di colza e di mais in varie parti del mondo e in particolare per il Messico, dove il mais è stato per la prima volta selezionato e dove esistono ancora le piante spontanee da cui deriva.
D’altra parte i dati degli Stati Uniti indicano che le piante transgeniche, nel corso degli anni, perdono la loro iniziale produttività a causa della resistenza che inducono nelle piante infestanti o negli insetti dai quali dovrebbero essere protette grazie ai geni artificialmente inseriti. Lo stesso problema si sta verificando anche in Cina con il cotone transgenico: Liu Xiaofeng, un ricercatore della regione di Henan, ha dichiarato che tra sei o sette anni il prodotto transgenico sarà totalmente inefficace. Ma incrementi di produttività e soprattutto produzioni in particolari aree interessate da siccità o da altre condizioni climatiche avverse più che con gli ogm si possono ottenere con tecniche innovative ma non pericolose per l’ambiente e la salute, come dimostra il caso del riso “Nerica” (vedi box ap. 14). Ma come succede negli Usa e in Europa, probabilmente anche in Cina gli ogm non si diffondono tanto per i discutibili vantaggi che offrirebbero, quanto per le pressioni degli apparati industriali legati al settore biotecnologico, che anche là si sono ben sviluppati: proprio in Cina -come sottolineava il quotidiano francese “Le Monde” già nel 1999- ha sede la Sinogen fondata nel 1993 dal professor Zhangliang Chen, che oggi è una delle più importanti aziende biotecnologiche d’Asia e ha ricevuto importanti collaborazioni e investimenti di denaro da parte di aziende statunitensi.
 
*Gianni Tamino è docente di Biologia e di Diritto ambientale all’Università di Padova e membro del gruppo di lavoro sugli ogm del ministero delle Politiche agricole e forestali.
Ha scritto “Ladri di geni. Dalle manipolazioni genetiche ai brevetti sul vivente” (con Fabrizia Pratesi, Editori Riuniti), “Il bivio genetico. Salute e biotecnologie tra ricerca e mercato” (Edizioni Ambiente) ed “Etica, biodiversità, biotecnologie, emergenze ambientali” (con Gino Ditadi e Margherita Hack, Isonomia).
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“Nerica”, è in Africa l’alternativa naturale
Finora le multinazionali del settore biotecnologico si sono limitate ad inserire nelle piante transgeniche geni che dovrebbero difenderle dagli insetti (piante Bt, cioè con la tossina del Bacillus thuringensis) o che le rendono tolleranti ai diserbanti (prodotti dalle stesse aziende che vogliono commercializzare le piante modificate). Ma queste piante hanno dimostrato scarsa capacità di mantenere la produttività promessa a causa dei fenomeni di resistenza che inducono negli insetti o nelle piante infestanti. Ma le aziende “biotech” nulla hanno fatto per rendere le piante in grado di adattarsi a climi particolari (aridi, freddi, ecc.).
Altre tecnologiche innovative, ma non transgeniche, sono invece riuscite a raggiungere questi obiettivi. È il caso del riso “Nerica” (sigla che deriva da “New rice for Africa”), sviluppato nei laboratori dell’Associazione per lo sviluppo della risicoltura in Africa occidentale, con sede nella Costa d’Avorio.
Si tratta di un riso ottenuto mediante una biotecnologia che non inserisce geni estranei, ma che rende possibile l’incrocio tra due specie di riso che in condizioni naturali non sono incrociabili: la specie normalmente coltivata, oryza sativa, con la specie africana, oryza glaberrina, resistente a climi e suoli più aridi e meno ospitali. Il risultato delle coltivazioni in pieno campo indicano che il Nerica produce il doppio del normale, resiste alla siccità e alle malerbe, non richiede l’impiego di sostanze chimiche e soprattutto non è nelle mani di multinazionali. Il riso Nerica è stato messo gratuitamente a disposizione degli agricoltori dell’Africa occidentale in differenti varietà, in modo da adattarlo alle diverse condizioni ambientali dei diversi territori coltivati.
 
Semina transgenica, in Italia ora si può
Via libera alla semina ogm. Almeno sulla carta: è stato da poco approvata la legge che consente la semina di piante transgeniche sul territorio italiano. Il provvedimento prevede severe restrizioni e non fissa di fatto un termine per la moratoria in corso (tanto che Assobiotec, l’associazione delle industrie biotecnologiche, l’ha definita una “legge oscurantista”). La legge riconosce il diritto alla coesistenza di colture diverse, transgeniche, “tradizionali” e biologiche. Per questo non si potranno coltivare piante ogm nelle regioni che non si siano dotate di un apposito piano di coesistenza e sono previste sanzioni aspre per chi non rispetta le regole, con multe dai 5 mila ai 50 mila euro (erano la metà nel precedente decreto) e la reclusione fin a due anni.
Soddisfazione da parte di Coldiretti: “Un importante atto di responsabilità del Parlamento nei confronti della grande mobilitazione di imprese e cittadini”, ha detto il presidente Paolo Bedoni. Mobilitazione che ha portato sotto le insegne della campagna Coldiretti “Liberi da ogm” ben 1.949 Comuni, 31 Province, 35 Comunità montane e 35 Regioni: tutti hanno approvato (o stanno per farlo) delibere in cui si dichiarano ogm free. Intanto, Aiab, Baule Volante, Icea e NaturaSì hanno lanciato la nuova campagna “Cibo ogm? No grazie”, che riprende lo storico slogan contro il nucleare per sostenere il cibo biologico contro quello transgenico. Info:
www.ciboogmnograzie.it
 
Ecco la rete europea delle Regioni anti-ogm
Europa anti ogm: è quella che si è riunita a Berlino a fine gennaio e, in seconda battuta, il mese scorso a Firenze per dare vita alla “Rete delle regioni europee contro gli ogm”. Una ventina di realtà (qui sopra) insieme per affermare il diritto delle regioni europee di “scegliere la propria forma di coltivare, mangiare, trasformare e vendere il cibo e di proteggere l’ambiente e il paesaggio, la propria cultura e tradizione, le proprie sementi”. A Firenze è stata poi firmata una “Carta delle regioni” per promuovere “specifici piani di coesistenza, con la possibilità di tutelare le coltivazioni convenzionali e biologiche dagli ogm su vaste aree”.
 
E la laguna sostiene il bio
Nessun ogm in Laguna: Venezia è uno quasi 2 mila Comuni ad aver aderito alla campagna anti-ogm di Coldiretti con una delibera in cui dichiara “il territorio comunale libero da ogm, nel rispetto del principio di precauzione”. Il documento impegna tra l’altro il Consiglio comunale attivarsi sul fronte del “controllo di qualità degli alimenti agricolo-forestali e di allevamento dei prodotti nel territorio”, a richiedere ai fornitori di alimenti per le mense pubbliche una dichiarazione di “non utilizzo di alimenti contenenti ogm e a prevedere una specifica clausola vincolante in tal senso in occasione delle prossima fare d’appalto di ogni mensa pubblica”. Tra gli obiettivi anche l’istituzione di un tavolo di confronto tra produttori e industrie del settore alimentare. Sul fronte informativo, il Comune ha avviato un programma di iniziative (fino al 2007) sull’educazione ambientale e sulla promozione dell’agricoltura biologica; per tutto il progetto è stato stanziato un contributo di 600 mila euro. Info: www.ambiente.venezia.it/home.asp

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