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Diritti / Opinioni

I movimenti popolari e il riscatto degli esclusi dalla Storia

© Walimai Photo-Flickr

I soggetti popolari, civili, sociali, culturali e di economia alternativa che promuovono democrazia su scala territoriale e transnazionale stanno disegnando, tra mille ostacoli, il profilo di un mondo abitabile umanamente ed ecologicamente. Non è “terzo settore”, è settore avanzato. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 227 — Giugno 2020

Problemi più grandi di noi? Sono i problemi che non trovano ancora soggetti adeguati ad affrontarli per consapevolezza, capacità di azione e dimensioni. Ormai è esplosa la contraddizione tra la scala globale delle contraddizioni e la ridotta portata d’azione dei migliori soggetti in campo. Di fronte alle conseguenze sociali ed ecologiche del capitalismo, al potere delle oligarchie e dei dittatori, alle forze sovraniste, razziste, neofasciste e mafiose diffuse in molte parti del mondo, gli attori istituzionali che devono costruire risposte positive hanno proporzioni locali, raramente nazionali, mai continentali e mondiali.

Possiamo avere alcuni Comuni virtuosi, ma è già molto difficile trovare Regioni governate con saggezza. Se guardiamo ai governi nazionali e alle unioni continentali, come ad esempio l’Unione europea, cadono le braccia. Non solo per la loro inettitudine, ma anche per il fatto che li troviamo collocati sul versante dei fattori negativi anziché su quello dei protagonisti del riscatto della democrazia. L’Onu, che pure resta un organismo mondiale irrinunciabile, è sempre più screditata e inefficace.

Il dato altamente positivo è il fatto che il vuoto di iniziativa democratica è stato in parte occupato, in questi anni, dalle associazioni del volontariato politicamente consapevole, dalle organizzazioni non governative, dai movimenti popolari transnazionali. Etichettare questi soggetti come “terzo settore” è segno di miopia, sia perché significa ghettizzarli come l’ultimo settore (dopo il mercato e dopo lo Stato), sia perché non si capisce che invece essi sono semmai il settore avanzato. Lo sono perché vanno ad agire sulla frontiera delle contraddizioni globali. Ed è pretestuoso additare il caso di quanti usano queste sigle per loschi interessi: comportamenti illegittimi ci sono in tutti i campi e questo non scalfisce la credibilità degli autentici soggetti di democrazia dal basso.

I soggetti popolari, civili, sociali, culturali e di economia alternativa che promuovono democrazia su scala territoriale e transnazionale stanno disegnando, tra mille ostacoli, il profilo di un mondo abitabile umanamente ed ecologicamente. Essi hanno valore propulsivo perché coltivano il rinnovamento da entrambi i lati della loro azione. I movimenti transnazionali sollecitano gli Stati a collaborare nel processo di gestazione di un nuovo ordine mondiale democratico. I movimenti regionali e territoriali, a loro volta, soprattutto se coordinati tra loro, possono promuovere un diverso rapporto tra la politica locale e quella nazionale. I governi e i partiti oggi, con rare eccezioni, sono soggetti di pura autoconservazione. Invece gli attori sociali e civili di democrazia dal basso sono soggetti della trasformazione epocale che serve all’umanità e al mondo. Lo sono perché elevano l’azione collettiva all’altezza delle sfide del nostro tempo, lottando ovunque sulla frontiera tra l’umano e il disumano e mettendosi, come diceva Albert Camus, “dalla parte delle vittime e non dei flagelli”.

Il banco di prova di questo impegno sta nell’incontro con gli esclusi della storia. La svolta nasce sempre a partire dall’azione per liberare la condizione di quanti sono trattati come non-persone, quasi fossero scarti da eliminare. Come si possono rivendicare i propri diritti, l’efficienza dei servizi, la vicinanza delle istituzioni, la trasparenza nella gestione della cosa pubblica e anche l’avvento di un’economia sostenibile, se poi non ci si interessa della moltitudine di persone che a forza sono escluse dallo spazio delle tutele costituzionali? Penso alle situazioni più inaccettabili: la condizione dei cittadini e delle cittadine straniere in Italia (sia migranti sia nati/e nel nostro Paese), la condizione dei senza reddito e senza dimora, la condizione delle persone detenute, la condizione dei salariati sfruttati, la condizione di chi è troppo giovane o troppo anziano per essere rispettato. Chi lotta insieme a loro sta riaprendo il futuro per tutti e per tutte.

Problemi più grandi di noi? Sono i problemi che non trovano ancora soggetti adeguati ad affrontarli per consapevolezza, capacità di azione e dimensioni. Ormai è esplosa la contraddizione tra la scala globale delle contraddizioni e la ridotta portata d’azione dei migliori soggetti in campo. Di fronte alle conseguenze sociali ed ecologiche del capitalismo, al potere delle oligarchie e dei dittatori, alle forze sovraniste, razziste, neofasciste e mafiose diffuse in molte parti del mondo, gli attori istituzionali che devono costruire risposte positive hanno proporzioni locali, raramente nazionali, mai continentali e mondiali.

Possiamo avere alcuni Comuni virtuosi, ma è già molto difficile trovare Regioni governate con saggezza. Se guardiamo ai governi nazionali e alle unioni continentali, come ad esempio l’Unione europea, cadono le braccia. Non solo per la loro inettitudine, ma anche per il fatto che li troviamo collocati sul versante dei fattori negativi anziché su quello dei protagonisti del riscatto della democrazia. L’Onu, che pure resta un organismo mondiale irrinunciabile, è sempre più screditata e inefficace.

Il dato altamente positivo è il fatto che il vuoto di iniziativa democratica è stato in parte occupato, in questi anni, dalle associazioni del volontariato politicamente consapevole, dalle organizzazioni non governative, dai movimenti popolari transnazionali. Etichettare questi soggetti come “terzo settore” è segno di miopia, sia perché significa ghettizzarli come l’ultimo settore (dopo il mercato e dopo lo Stato), sia perché non si capisce che invece essi sono semmai il settore avanzato. Lo sono perché vanno ad agire sulla frontiera delle contraddizioni globali. Ed è pretestuoso additare il caso di quanti usano queste sigle per loschi interessi: comportamenti illegittimi ci sono in tutti i campi e questo non scalfisce la credibilità degli autentici soggetti di democrazia dal basso.

I soggetti popolari, civili, sociali, culturali e di economia alternativa che promuovono democrazia su scala territoriale e transnazionale stanno disegnando, tra mille ostacoli, il profilo di un mondo abitabile umanamente ed ecologicamente. Essi hanno valore propulsivo perché coltivano il rinnovamento da entrambi i lati della loro azione. I movimenti transnazionali sollecitano gli Stati a collaborare nel processo di gestazione di un nuovo ordine mondiale democratico. I movimenti regionali e territoriali, a loro volta, soprattutto se coordinati tra loro, possono promuovere un diverso rapporto tra la politica locale e quella nazionale. I governi e i partiti oggi, con rare eccezioni, sono soggetti di pura autoconservazione. Invece gli attori sociali e civili di democrazia dal basso sono soggetti della trasformazione epocale che serve all’umanità e al mondo. Lo sono perché elevano l’azione collettiva all’altezza delle sfide del nostro tempo, lottando ovunque sulla frontiera tra l’umano e il disumano e mettendosi, come diceva Albert Camus, “dalla parte delle vittime e non dei flagelli”.

Il banco di prova di questo impegno sta nell’incontro con gli esclusi della storia. La svolta nasce sempre a partire dall’azione per liberare la condizione di quanti sono trattati come non-persone, quasi fossero scarti da eliminare. Come si possono rivendicare i propri diritti, l’efficienza dei servizi, la vicinanza delle istituzioni, la trasparenza nella gestione della cosa pubblica e anche l’avvento di un’economia sostenibile, se poi non ci si interessa della moltitudine di persone che a forza sono escluse dallo spazio delle tutele costituzionali? Penso alle situazioni più inaccettabili: la condizione dei cittadini e delle cittadine straniere in Italia (sia migranti sia nati/e nel nostro Paese), la condizione dei senza reddito e senza dimora, la condizione delle persone detenute, la condizione dei salariati sfruttati, la condizione di chi è troppo giovane o troppo anziano per essere rispettato. Chi lotta insieme a loro sta riaprendo il futuro per tutti e per tutte.

 Problemi più grandi di noi? Sono i problemi che non trovano ancora soggetti adeguati ad affrontarli per consapevolezza, capacità di azione e dimensioni. Ormai è esplosa la contraddizione tra la scala globale delle contraddizioni e la ridotta portata d’azione dei migliori soggetti in campo. Di fronte alle conseguenze sociali ed ecologiche del capitalismo, al potere delle oligarchie e dei dittatori, alle forze sovraniste, razziste, neofasciste e mafiose diffuse in molte parti del mondo, gli attori istituzionali che devono costruire risposte positive hanno proporzioni locali, raramente nazionali, mai continentali e mondiali.

Possiamo avere alcuni Comuni virtuosi, ma è già molto difficile trovare Regioni governate con saggezza. Se guardiamo ai governi nazionali e alle unioni continentali, come ad esempio l’Unione europea, cadono le braccia. Non solo per la loro inettitudine, ma anche per il fatto che li troviamo collocati sul versante dei fattori negativi anziché su quello dei protagonisti del riscatto della democrazia. L’Onu, che pure resta un organismo mondiale irrinunciabile, è sempre più screditata e inefficace.

Il dato altamente positivo è il fatto che il vuoto di iniziativa democratica è stato in parte occupato, in questi anni, dalle associazioni del volontariato politicamente consapevole, dalle organizzazioni non governative, dai movimenti popolari transnazionali. Etichettare questi soggetti come “terzo settore” è segno di miopia, sia perché significa ghettizzarli come l’ultimo settore (dopo il mercato e dopo lo Stato), sia perché non si capisce che invece essi sono semmai il settore avanzato. Lo sono perché vanno ad agire sulla frontiera delle contraddizioni globali. Ed è pretestuoso additare il caso di quanti usano queste sigle per loschi interessi: comportamenti illegittimi ci sono in tutti i campi e questo non scalfisce la credibilità degli autentici soggetti di democrazia dal basso.

I soggetti popolari, civili, sociali, culturali e di economia alternativa che promuovono democrazia su scala territoriale e transnazionale stanno disegnando, tra mille ostacoli, il profilo di un mondo abitabile umanamente ed ecologicamente. Essi hanno valore propulsivo perché coltivano il rinnovamento da entrambi i lati della loro azione. I movimenti transnazionali sollecitano gli Stati a collaborare nel processo di gestazione di un nuovo ordine mondiale democratico. I movimenti regionali e territoriali, a loro volta, soprattutto se coordinati tra loro, possono promuovere un diverso rapporto tra la politica locale e quella nazionale. I governi e i partiti oggi, con rare eccezioni, sono soggetti di pura autoconservazione. Invece gli attori sociali e civili di democrazia dal basso sono soggetti della trasformazione epocale che serve all’umanità e al mondo. Lo sono perché elevano l’azione collettiva all’altezza delle sfide del nostro tempo, lottando ovunque sulla frontiera tra l’umano e il disumano e mettendosi, come diceva Albert Camus, “dalla parte delle vittime e non dei flagelli”.

Il banco di prova di questo impegno sta nell’incontro con gli esclusi della storia. La svolta nasce sempre a partire dall’azione per liberare la condizione di quanti sono trattati come non-persone, quasi fossero scarti da eliminare. Come si possono rivendicare i propri diritti, l’efficienza dei servizi, la vicinanza delle istituzioni, la trasparenza nella gestione della cosa pubblica e anche l’avvento di un’economia sostenibile, se poi non ci si interessa della moltitudine di persone che a forza sono escluse dallo spazio delle tutele costituzionali? Penso alle situazioni più inaccettabili: la condizione dei cittadini e delle cittadine straniere in Italia (sia migranti sia nati/e nel nostro Paese), la condizione dei senza reddito e senza dimora, la condizione delle persone detenute, la condizione dei salariati sfruttati, la condizione di chi è troppo giovane o troppo anziano per essere rispettato. Chi lotta insieme a loro sta riaprendo il futuro per tutti e per tutte.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Filosofia della salvezza. Percorsi di liberazione dal sistema di autodistruzione” (EUM, 2019) 

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