Diritti / Attualità
“Rifugiati in rifugio”, incontrarsi in montagna per approfondire il fenomeno delle migrazioni

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e l’Università Cattolica organizzano da luglio fino a ottobre quattro incontri in altrettanti rifugi per confrontarsi sul tema dell’asilo e della protezione internazionale. Un’occasione per far emergere i punti di contatto tra la montagna e le migrazioni in un contesto fuori dai soliti schemi. Francesca De Vittor, docente alla Cattolica ed esperta di Diritto internazionale del mare, racconta genesi e obiettivi del percorso
“Rifugiati in rifugio” è il titolo scelto per la serie di quattro incontri organizzati di sabato in rifugi di montagna dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore con l’obiettivo di promuovere la conoscenza dei fenomeni migratori e creare momenti di dialogo tra diverse esperienze.
Il primo incontro si terrà il 5 luglio nel rifugio Tita Secchi di Breno in Val Camonica. L’iniziativa proseguirà poi il 23 agosto presso il rifugio Pellarini, sulle Alpi Giulie, il 20 settembre al Settimo Alpini sulle Dolomiti Bellunesi e infine il 4 ottobre al rifugio Jervis in Val Pellice.
Come nasce l’idea di portare in montagna le tematiche della migrazione e in particolare dell’asilo e della protezione internazionale, lo racconta ad Altreconomia Francesca De Vittor, docente dell’Università Cattolica, esperta di Diritto internazionale del mare, che ha pensato e organizzato l’iniziativa insieme a Silvia Canciani, Giovanni Barbariol e Alberto Guariso.
“Quando si parla di diritto dell’immigrazione o dei rifugiati e di protezione internazionale, si rischia di rivolgersi sempre alle stesse persone, ovvero quelle che partecipando a un convegno o una conferenza su queste tematiche tendenzialmente si trovano più o meno già d’accordo con quello che hanno deciso di andare ad ascoltare. Non c’è dunque un vero contraddittorio. La prima domanda che ci siamo fatti è stata dunque dove possiamo incontrare persone che non siano a priori concordi con noi o comunque che non abbiano già una sensibilità sul tema? I rifugi di montagna sono dei luoghi in cui incrociare persone che si trovano lì per altri motivi, principalmente per riposare la sera e proseguire lungo la via alpinistica il giorno dopo. Forse queste, ci siamo detti, non sarebbero venute apposta a sentirci ma se si trovano davanti all’occasione di dibattere, magari decidono coglierla. Il principio è quindi quello di andare noi verso la gente, invece che aspettare che la gente venga verso di noi”.
Oltre all’intuizione per cui i rifugi possono essere dei luoghi dove fare divulgazione, l’idea è stata avvalorata dai numerosi spunti di riflessione che la montagna offre e soprattutto dai punti di contatto con i temi che verranno trattati tanto che, come racconta De Vittor, “gli incontri si sono quasi costruiti da soli”.
“Il rifugiato è colui che cerca rifugio dalle persecuzioni o da una qualsiasi ragione che lo spinge alla fuga e i rifugi di montagna si chiamano così perché nascono come luoghi in cui chi è in difficoltà può trovare un tetto sotto cui ripararsi. Questo legame che parte dall’etimologia delle due parole che sono state accostate per comporre il titolo si è rafforzato ancora di più nel momento in cui siamo andati a cercare quanti elementi in comune ci sono, ad esempio, per quanto riguarda la normativa internazionale in materia di soccorso in mare e quella in montagna”.
Il titolo del primo incontro è infatti “La tutela della vita umana in ambienti ostili: gli obblighi di soccorso”. In mare così come in montagna questa “idea morale” prima ancora che giuridica dell’obbligo di soccorso, spiega De Vittor, nasce infatti dal principio per cui la vita umana vada tutelata sempre e comunque ed emerge nei racconti di chi frequenta il mare quanto nei resoconti di chi invece la montagna, “alpinisti che magari stanno percorrendo una via difficilissima per la quale si sono preparati per anni a cui però sono pronti a rinunciare perché la priorità è andare a soccorrere chi si trova in difficoltà”.
Il secondo appuntamento, “In viaggio tra le montagne: tutti gli ostacoli della rotta balcanica”, sarà dedicato al racconto della rotta che più attraversa le montagne. “Una rotta lungo la quale agli ostacoli di un ambiente che può essere ostile o pericoloso anche per l’escursionista, si sommano tutte le violazioni dei diritti dell’uomo che sono connesse al controllo delle frontiere, alle barriere e impedimenti che ha creato”.

Un altro fenomeno il cui impatto sta avendo importanti conseguenze tanto sulle montagne quanto sulla vita delle persone che sono costrette a migrare è il cambiamento climatico, su cui si focalizzerà infatti il terzo evento dal titolo “Quando adattarsi e impossibile: persone e riscaldamento globale”.
“Il cambiamento climatico sta costringendo le persone che vivono in montagna a cambiare vita. Riscaldamento globale significa infatti stazioni sciistiche che non funzionano più, scioglimento dei ghiacciai e di conseguenza lo sregolamento della quantità di acqua disponibile e quindi la siccità nei boschi che si incendiano o vengono infettati dai parassiti. In altre zone del mondo, questo è così dirompente da costringere la gente a scappare. Ed è il tema di cui, non a caso, parleremo sulle Dolomiti dove l’uomo, in occasione delle Olimpiadi, sta causando abbondanti danni all’ambiente”.
L’ultimo ritrovo, “Percorsi di resistenza e solidarietà: l’umanità criminalizzata”, si svolgerà in una zona di resistenza partigiana, la Val Pellice, e in un rifugio intestato a un partigiano che lì è stato fucilato dai fascisti, Guglielmo Jervis, detto Willy. “Resistenza è un concetto molto legato all’asilo, tipicamente chi fugge dalle persecuzioni fugge dall’aver dovuto resistere a qualcosa. Parleremo anche di quella resistenza che passa attraverso la solidarietà che faceva sì che i partigiani aiutassero gli antifascisti a passare aldilà dalla frontiera e che oggi una buona parte della società civile mostra nei confronti dei migranti, aiutandoli a costo di subire un processo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Affronteremo inoltre anche tutto il tema della sua criminalizzazione”.
Un aspetto che caratterizza “Rifugiati in rifugio” è il fatto che ogni incontro, che si terrà in forma di dibattito intorno a due relazioni centrali tenute da accademici o avvocati, sarà introdotto da un primo “relatore” che sarà sempre un rifugiato “ascolteremo nel rifugio chi del rifugio ha avuto bisogno e che porta una testimonianza di un’esperienza che ha a che fare con il tema centrale nell’incontro” e terminerà con un momento emozionale artistico sempre collegato con l’oggetto di discussione della giornata.
E così che ad aprire l’appuntamento del 5 luglio sarà Abdessamad Bellamkaddem, originario del Marocco che in Italia ha scoperto la passione per la montagna, “la stessa che abbiamo noi”, afferma De Vittor; e a chiudere Chiara Patronella, cantautrice, classificata nel 2019 seconda al premio Amnesty per la musica per i diritti umani ma anche educatrice sociale e musicale e musicoterapeuta.
A introdurre il secondo ritrovo sarà invece il racconto di Shahzad Manzoor, partito a 13 anni dal Pakistan, in fuga da una faida, e arrivato in Italia a 16 anni, “un viaggio di tre anni lunga la ‘rotta balcanica’ con tutte le violazioni che un ragazzo così giovane può subire. Ma anche una storia a lieto fine perché adesso Shahzad fa il cuoco all’hotel il Cervo, proprio a Tarvisio dove si trova il rifugio Pellarini, ed è diventato una risorsa per la popolazione che lo ha accolto”. Mentre il momento finale è affidato a Nicole Coceancig, cantautrice friulana, vincitrice del Premio Ciampi 2024 con il disco Zohra in cui racconta la storia di una ragazza pakistana che percorrere la stessa rotta di Shahzad travestita da uomo. Un’opera scritta in friulano, mettendo insieme le diverse esperienze di tanti giovani arrivati in Italia e incontrati da Coceancig.
Le testimonianze delle persone fuggite dal loro Paese per motivi ambientali e dell’Associazione Popoli insieme apriranno il terzo incontro che in chiusura vedrà Stefano Collizzolli e Paolo Ghisu, autori de “Il canto del ghiaccio”, mostrare la loro raccolta di immagini e far ascoltare i suoni registrati per la realizzazione del loro documentario sullo scioglimento del ghiacciaio Làres, del gruppo dell’Adamello, al confine tra Trentino e Lombardia.
Infine, l’ultimo incontro sarà aperto da Ahmed Dawoodi testimone della resistenza Hazara e chiuso da Luca Chiavinato, liutista che ha studiato per molto tempo la musica palestinese che è anche attivista di Walking Arts, una Ong che attraverso i linguaggi artistici e musicali diffonde la coesione sociale tra differenti comunità presenti in Iraq. “Quindi è tutto costruito per essere coerente -conclude De Vittor-. E perché aspetti che sembrano lontani in realtà rivelino elementi di intreccio incredibili”.
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