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Rifiuti europei esportati all’estero. Il 2022 sarà un anno chiave

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Nel 2020 i Paesi dell’Unione europea hanno spedito oltre 33 milioni di tonnellate di rifiuti verso Stati extra Ue (più 75% rispetto al 2004). La Commissione ha presentato a fine 2021 un pacchetto di norme in tema per allinearsi agli obiettivi “circolari”. Se ne discuterà quest’anno. Secondo l’European environmental bureau è un passo ancora insufficiente

Nel 2020 l’Unione europea ha esportato oltre 33 milioni di tonnellate di rifiuti verso Paesi extraeuropei, con un aumento del 75% rispetto al 2004. Secondo Roberta Arbinolo –comunication officer dello European environmental bureau (Eeb), rete di associazioni ecologiste europee- “l’esportazione di rifiuti da parte della Ue non è solo una delega ingiusta dei nostri doveri ma è anche un’occasione persa per affrontare seriamente la gestione degli scarti e per diventare leader nel campo dell’economia circolare”. Anche se la Commissione europea ha presentato nel novembre 2021 una proposta di revisione della “Waste Shipment Regulation”, un pacchetto norme per favorire il riciclo, combattere il traffico illegale di sostanze pericolose e assicurare il corretto smaltimento dei materiali esportati, la Eeb ritiene che non siano sufficientemente rigide. “La regolamentazione non renderà più difficile l’esportazione e non garantirà che le risorse preziose contenute nei rifiuti rimangano all’interno della Ue. L’iniziativa sarà discussa nel corso del 2022 dal Parlamento europeo, ma gli interessi degli Stati membri potrebbero sminuirne ulteriormente l’efficacia”.

Nel 2020 il principale importatore di rifiuti “europei” è stata la Turchia, con 13,7 milioni di tonnellate, seguita da India con 2,9 milioni di tonnellate e Regno Unito con 1,8 milioni di tonnellate. Infine Svizzera, Norvegia, Indonesia e Pakistan hanno ricevuto all’incirca la stessa quantità di carico, tra 1,6 e 1,4 milioni di tonnellate.

Il motivo dietro questa massiccia esportazione starebbe nel risparmio per le aziende incaricate nella gestione dei rifiuti. Queste -ricorda Eeb- hanno interesse nel ridurre i costi di smaltimento ma lo fanno esportando verso Paesi dove gli standard sono molto meno restrittivi con un conseguente danno sociale e ambientale. “In alcuni casi -ricorda Arbinolo- il carico risulta non riciclabile in quanto contaminato da sostanze che non avrebbero dovuto esserci e che sono finite lì a causa di una scorretta etichettatura o di un traffico illegale”.

I materiali più esportati nel 2020 sono stati principalmente ferro e acciaio di cui sono state spedite 17,4 milioni di tonnellate, carta e cartone con 6,1 milioni e plastica per 2,4 milioni. “Non conosciamo con precisione il volume del traffico illegale ma sappiamo che è molto alto”. Non è un fatto recente, prosegue Arbinolo: “Secondo un rapporto Interpol, nel 2010 1,3 milioni di tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) avrebbero lasciato la Ue senza essere tracciati”. Sono proprio i Raee a costituire una buona parte del traffico illecito; secondo le norme Ue non potrebbero venire esportati al di fuori dei Paesi appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). È proprio per la presenza di questo traffico che, secondo la Eeb, è difficile stabilire le responsabilità dei singoli membri Ue: “Per quanto riguarda invece i carichi tracciati che seguono un iter legale, possiamo considerare come maggiori produttori i grandi Paesi dell’Europa centrale come Francia, Germania e Italia, che è il secondo responsabile per la plastica di scarto”. La regolamentazione europea non proibisce lo scambio di materiali pericolosi all’interno della Ue e nel 2018 ha riguardato 8 milioni di tonnellate.

Secondo le associazioni ecologiste l’esportazione di materiali di scarto “alimenta il luogo comune secondo il quale per sbarazzarsi dei rifiuti basta mandarli ‘altrove’, ma questo ‘altrove’ è un posto reale che viene danneggiato dalla nostra negligenza”. Inoltre si perde l’occasione di trasformare gli scarti in risorse. La possibilità di recuperare materiali, in particolare dai rifiuti elettronici, consentirebbe all’Europa di riciclare preziose risorse e ridurre così la propria dipendenza da Paesi esteri, come Russia o Cina, fino a diventarne un esportatore. Questo permetterebbe anche di ridurre gli effetti sull’ambiente dovuti alla loro estrazione. “Nonostante le navi utilizzate per il trasporto producano notevoli emissioni -sostiene Arbinolo- si tratta solo di una piccola parte del mercato della logistica. L’impatto ambientale per il trasporto di un carico è inferiore a quello causato da un suo scorretto smaltimento”.

La “Waste Shipment Regulation” consiste in una serie di regole per rendere migliore il tracciamento di rifiuti, disincentivare il traffico illecito e favorire un’economia sostenibile. Una migliore sorveglianza permetterebbe di monitorarne in modo corretto la gestione sia da parte delle aziende sia dei Paesi importatori per prendere iniziative in caso le norme ambientali non fossero rispettate. Inoltre le aziende dovranno rendere conto di come vengono trattati i rifiuti e sottoporsi a indagini indipendenti. Una migliore classificazione eviterebbe che materiali pericolosi siano trasportati illegalmente venendo etichettati come sicuri.

Per incentivare l’economia circolare l’European environmental bureau propone di ridurre il traffico al di fuori dai Paesi Ocse, in particolare per quanto riguarda i carichi destinati a discariche o inceneritori. In più chiede di ridurre la “green list” dei materiali considerati a basso rischio e quindi facilmente esportabili. Per combattere le spedizioni illegali, il network avanza inoltre la richiesta di un incremento delle pene per i trasgressori e maggiori controlli sulla regolarità delle spedizioni. “La proposta è ambiziosa ma esistono diversi modi di aggirarla -conclude Arbinolo-, noi avevamo chiesto un totale divieto di esportazione al di fuori dell’aerea Ocse ma abbiamo dovuto assistere al compromesso di una ‘forte riduzione’”. La discussione non è ancora iniziata: la forte opposizione di alcuni Stati membri è da mettere in conto. “Fino a quando la questione non verrà esaminata -conclude Eeb- non sapremmo con precisione chi si oppone all’iniziativa. Quello che temiamo è che i politici europei inizino una serie di compromessi che finiranno per ridurre l’efficacia della regolamentazione”.

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