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Diritti / Attualità

Le riammissioni illegali dei migranti sul confine tra Italia e Slovenia

© Gianfranco Schiavone

Dalla metà di maggio le autorità italiane hanno intensificato “rintracci” e “riammissioni informali” verso la Slovenia, esponendo le persone a trattamenti inumani e degradanti lungo la rotta balcanica. Richiedenti asilo inclusi. Secondo la prefettura di Trieste l’indicazione giungerebbe dal Viminale. Una pratica contro i diritti umani, denuncia l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Dalla metà di maggio 2020 le autorità italiane hanno intensificato gli allontanamenti dei migranti verso la Slovenia, compresi i richiedenti asilo, esponendo le persone a trattamenti inumani e degradanti lungo la rotta balcanica. Una pratica, quella delle “riammissioni informali”, giudicata di “estrema gravità” dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che sul punto, il 5 giugno 2020, ha rivolto una lettera aperta al ministero dell’Interno, alla questura e alla prefettura di Trieste oltre che alla sede italiana dell’UNHCR, chiedendone l’immediata interruzione.

L’ulteriore stretta deriverebbe, secondo quanto riconosciuto dalla stessa prefettura di Trieste, da “precise direttive” del ministero dell’Interno guidato da Luciana Lamorgese relative, sempre per usare le parole dell’ufficio del governo, ai “rintracci di migranti che utilizzano quella direttrice (la rotta balcanica, ndr) per arrivare illegalmente in territorio nazionale”, in particolare cittadini afgani e pakistani. Prefettura e questura traducono in pratica ordini dell’esecutivo. Dopo una “interlocuzione” risalente ai primi giorni di maggio tra i ministeri dell’Interno di Italia e Slovenia, infatti, sarebbe stato concordato un “nuovo impulso” alle procedure di “riammissione informale”, secondo quelle che le autorità italiane definiscono “le vigenti disposizioni pattizie con la Slovenia e in sintonia con la normativa europea in tema di protezione internazionale”. Quella che per l’autorità è pura “sintonia”, per i giuristi di Asgi è invece palese violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Lo dimostrano i fatti messi in fila dall’associazione nella sua lettera aperta. “Il 20 maggio 2020 la questura di Pordenone ha comunicato sul proprio sito web di aver riammesso in Slovenia due cittadini afgani, trovati nascosti in un camion tra bancali di legna. I due cittadini, di 20 e 21 anni, sono stati riaccompagnati alla frontiera di Gorizia e da là consegnati alle autorità slovene, in quanto entrati irregolarmente in Italia e provenienti dalla Slovenia”.
Pochi giorni dopo, il 26 maggio, il segretario generale provinciale della Federazione sindacale di Polizia, già UGL, “ha dichiarato che in due giorni, a fronte di 90 arrivi, erano riusciti a respingere solo 12 persone, lamentando un risultato che appariva loro esiguo a causa dei limiti intrinsechi all’accordo di riammissione con la Slovenia”, riporta l’Asgi.

I “rintracci” hanno coinvolto anche richiedenti asilo, come confermato a fine maggio dal prefetto di Trieste Valenti. “Il migrante riammesso non viene privato della possibilità di fare richiesta d’asilo, in quanto la Slovenia fa parte dell’ambito europeo”, è il virgolettato riportato da Triesteprima.

C’è confusione sulla fonte normativa da cui deriverebbero le pratiche di riammissione anche a danno dei richiedenti protezione internazionale. A metà maggio infatti la prefettura di Trieste aveva sostenuto di poterle operare in forza delle “vigenti disposizioni pattizie con la Slovenia” -un accordo firmato a Roma il 3 settembre 1996-, poi ha cambiato parzialmente registro, sostenendo di attuarle a integrazione del Regolamento Dublino.
Non è così, sottolinea Asgi, che dalla sua parte ha anche un precedente riconoscimento della questura di Trieste. “Come riconosciuto dalla stessa questura in occasioni precedenti nelle quali erano state denunciate da I.C.S. (Consorzio Italiano di Solidarietà) casi di riammissioni di richiedenti asilo in Slovenia, a poter essere riammessi sono solo i migranti che ‘hanno espresso al personale della Polizia di Stato la volontà di non richiedere asilo politico’”.

Le autorità italiane, pur facendolo nella prassi, non potrebbero voltarsi dall’altra parte, denuncia l’Asgi. “Le persone riammesse in Slovenia, sulla base dell’accordo bilaterale del 1996, sono poi soggette ad una successiva riammissione dalla Slovenia alla Croazia e da qui, troppo spesso dopo inaudite violenze perpetrate di fatto dalle autorità di polizia croata, sono ulteriormente riammesse in Serbia o in Bosnia, dunque lasciate in condizioni di abbandono morale e materiale”. Dati UNHCR alla mano, tra gennaio e settembre 2019 sono state circa 4.868 le persone respinte dalla Croazia in Bosnia o in Serbia. Una situazione sottostimata. Ad almeno 9.500 persone sarebbe stato infatti impedito l’accesso al territorio croato e nei primi sei mesi dello stesso anno il ministro dell’Interno sloveno avrebbe riferito di aver “trasferito 3.459 stranieri in Croazia secondo gli accordi esistenti tra Croazia e Slovenia”.
Lungo la rotta balcanica il ricorso alla violenza da parte della polizia croata è ormai un fatto acclarato. “Tra gennaio ed ottobre del 2019 -ricorda l’Asgi- i volontari del Border Monitoring Violence Network hanno raccolto 770 testimonianze di persone respinte da ufficiali della polizia croata con l’uso di armi a scopo intimidatorio ma anche offensivo; altrettanto frequente è l’impiego di cani per aggredire i migranti”.
È questo il destino che attende i bersagli “rintracciati” su indicazione del Viminale. E non sorprende che nei comunicati prefettizi la parola “diritti” non compaia mai.

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