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Riammissioni in Slovenia: accolto il ricorso del Viminale. Ma la prassi resta illegittima

Un ragazzo pakistano siede accovacciato in una zona del campo di Lipa (Bosnia ed Erzegovina) che è stata risparmiata dalle fiamme dell’incendio scoppiato il 24 dicembre 2020. Gennaio 2021 - © Michele Lapini, Valerio Muscella

Per il Tribunale di Roma non sarebbe stata fornita la prova dell’effettivo respingimento informale verso la Slovenia di un giovane cittadino pakistano. Schiavone (Asgi): “Le persone vengono trasformate in fantasmi, non ci sono procedimenti che certifichino la prassi. Eppure a questi fantasmi si chiede di provare la propria esistenza”

Non ci sarebbero prove che Ahmed -nome di fantasia del giovane pakistano che ha denunciato di essere stato respinto in Slovenia dalla polizia italiana- sia effettivamente entrato nel nostro Paese, ma le riammissioni dei migranti al confine tra i due Paesi restano una prassi illegittima. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma accogliendo il ricorso presentato dal ministero dell’Interno contro l’ordinanza emessa dallo stesso Tribunale il 18 gennaio 2021 che aveva riconosciuto il diritto di Ahmed a presentare domanda di asilo in Italia.

La sentenza, però, non smentisce l’illegittimità delle procedure di riammissione tra Italia e Slovenia: “Il Tribunale ha affrontato solo la questione relativa all’ingresso o meno di Ahmed in Italia -spiega l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) in un comunicato-. Non ha invece in alcun modo smentito la ricostruzione del giudice di prime cure circa i profili di illiceità delle procedure di riammissione attuate in forza dell’accordo stipulato in forma semplificata tra Italia e Slovenia e che nel 2020, secondo i dati ministeriali, hanno interessato oltre 1.300 persone”.

La vicenda denunciata da Ahmed risale al luglio 2020, quando l’uomo, insieme ad altri quattro connazionali, giunge a Trieste. Qui viene soccorso da un gruppo di volontari e successivamente fermato dalla polizia ma, nonostante avesse dichiarato la sua intenzione di richiedere asilo in Italia, sarebbe stato portato in una stazione di polizia e foto-segnalato con i suoi compagni di viaggio. A tutti vengono sequestrati i cellulari e vengono costretti a firmare documenti in italiano. Al termine della procedura, il gruppo viene caricato su un furgone e con la promessa di essere condotti in un centro d’accoglienza: ma la vera destinazione sono i boschi attorno a Trieste dove il gruppo viene obbligato a camminare fino a superare il confine con la Slovenia. Meno di 48 ore dopo, per effetto della catena di respingimenti più volte documentata lungo la “rotta balcanica”, Ahmed si trovava in Bosnia ed Erzegovina.  Il 18 gennaio 2021 il Tribunale di Roma aveva accolto il ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla e ordinato il rilascio di un visto per garantire ad Ahmed l’ingresso in Italia e presentare domanda d’asilo.

“L’accoglimento del ricorso da parte del Tribunale non riguarda la questione della legittimità delle riammissioni. Non è vero, come sostengono alcune testate, che è stata sconfessata la decisione di primo grado. Il collegio giudicante ha scelto di non esaminare tutta questa parte, ma si è limitato alla questione procedurale per verificare se il richiedente asilo aveva effettivamente fatto ingresso in Italia”, spiega Gianfranco Schiavone di Asgi.

Nel dispositivo della nuova sentenza, il Tribunale di Roma afferma che “non è stata fornita la prova, nemmeno nei limiti della cognizione sommaria propria del procedimento cautelare, che il reclamato (Ahmed, ndr) abbia personalmente subito un respingimento informale verso la Slovenia in forza dell’accordo italo-sloveno”. Ahmed, infatti, non ha potuto fornire prove del suo ingresso in Italia: né un documento di avvenuto respingimento (che avrebbe dovuto essere rilasciato dalla polizia italiana), né una testimonianza che potesse confermare le sue parole.

“Quello che ci lascia perplessi in questa lettura da parte del Tribunale è che forse non ha tenuto in debito conto che tutto questo è avvenuto in circostanze del tutto straordinarie -spiega ancora Schiavone-. Il ministero stesso ha ammesso di agire senza attuare nessuna attività procedurale. È come se le persone che vengono respinte, di fatto, non esistessero: vengono trasformate in fantasmi, non ci sono procedimenti che certifichino la prassi di riammissione. Eppure a questi fantasmi si chiede di provare la propria esistenza”.

A chi “non esiste” agli occhi delle istituzioni si chiede dunque di fornire una prova del proprio ingresso in Italia. Come, ad esempio, un decreto di riammissione, che avrebbe dovuto essere emesso proprio dalla polizia di Trieste. “Il fatto che non ci fosse un decreto di riammissione da impugnare ha reso necessario il provvedimento d’urgenza basato solo sulla ricostruzione dei fatti del ricorrente -spiega Schiavone-. In alternativa avrebbe dovuto produrre un testimone, ma questo significa basarsi su elementi fortuiti e casuali. E non sistematici come sarebbe stato nel caso di un corretto provvedimento di riammissione”. Basti ricordare, come documentato da Altreconomia, che il ministero dell’Interno non terrebbe traccia di quanti richiedenti protezione giunti a Trieste o a Gorizia sarebbero stati respinti in Slovenia nel 2020.

“La mancata consegna di un formale provvedimento di riammissione in Slovenia da parte delle autorità italiane agli interessati comporta una violazione dei diritti degli interessati, tra cui quello di ottenere effettivamente giustizia attraverso la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria”, conclude ASGI nel suo commento alla vicenda.

L’associazione inoltre auspica che i respingimenti dei migranti e richiedenti asilo lungo la rotta balcanica (al momento sarebbero sospesi) non vengano ripresi e che la magistratura italiana possa fare piena luce “sui plurimi e gravi profili di illegittimità della prassi delle riammissioni informali attuate dal governo italiano nei confronti dei cittadini stranieri ai quali è stato impedito di esercitare il diritto costituzionalmente tutelato di presentare domanda di asilo”.

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