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Diritti / Attualità

Respingimenti “a catena” lungo la rotta balcanica. Una sentenza inchioda l’Austria

Il punto di confine tra Austria e Slovenia a Korensko Sedlo © wikimedia commons

Il caso di un giovane di 21 anni fermato nel settembre 2020 nella Stiria meridionale e deportato illegalmente prima in Slovenia e poi in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina. A luglio 2021 una corte amministrativa austriaca gli ha riconosciuto il diritto di vedere esaminata la domanda di protezione. E ha rivolto pesanti accuse al ministero dell’Interno in tema di diritti umani

I respingimenti di migranti e richiedenti asilo come strumento sistematico di controllo del confine austriaco-sloveno. Lo scrive nero su bianco, per la prima volta, la Corte di un tribunale regionale austriaco chiamata a pronunciarsi sul caso di Ayoub N., un giovane di 21 anni, che aveva denunciato di essere stato illegalmente deportato prima in Slovenia e poi “a catena” in Croazia e così in Bosnia ed Erzegovina. La sentenza, oltre a riconoscere il diritto del giovane a vedere esaminata la sua richiesta di protezione sul territorio austriaco, suggerisce che i respingimenti siano “a volte metodicamente usati dalle autorità austriache”. Una pesante accusa, indiretta, al ministero dell’Interno, responsabile della gestione dei confini.

L’accaduto risale al 28 settembre 2020. Ayoub e altre sette persone vengono fermate dalla polizia nella Stiria meridionale, una Regione austriaca al confine con la Slovenia. Il gruppo dopo una “vera e propria caccia all’uomo”, secondo quanto scritto dal giudice, nonostante le “richieste udibili di asilo” viene preso in custodia dagli agenti della polizia locale. A nessuno dei trattenuti viene fornito un pasto, nonostante la loro richiesta. Ayoub N. viene costretto a spogliarsi e inginocchiarsi, senza alcun motivo. Nonostante i tentativi dei giovani di manifestare la propria volontà di richiedere protezione, i funzionari procedono all’accompagnamento verso il confine sloveno. “C’è stato un evidente pregiudizio degli agenti contro il denunciante -si legge nella sentenza-, perché la perquisizione fisica è stata sproporzionata, non è stato fornito cibo e il coinvolgimento di un interprete è stato omesso nonostante le evidenti difficoltà linguistiche e l’uso della parola ‘asilo'”. La sentenza, non ancora definitiva, sottolinea che “il fatto che la polizia slovena abbia apparentemente preso in consegna le persone respinte senza ulteriori interrogatori si spiega con la successiva deportazione a catena in Croazia e infine in Bosnia ed Erzegovina”. In altri termini, un giudice cristallizza in una sentenza quella pratica denunciata da diversi anni e da diverse organizzazioni per i diritti umani che operano sulla rotta balcanica: riportare i migranti indietro, almeno fino in Bosnia, al di là dei confini dell’Unione europea. Border violence monitoring network, nel report riferito al 2020, ha segnalato che 176 persone, migranti e richiedenti asilo sono state accompagnate forzatamente dalla polizia austriaca al confine sloveno e poi deportate verso Bosnia o Croazia. Un numero presumibilmente al ribasso, vista la difficoltà nell’intercettare testimonianze.

Lo stesso tribunale amministrativo riconosce che “vista la procedura descritta” i respingimenti sono “a volte metodicamente usati in Austria”. Un passaggio importante perché svela, ancora una volta, l’utilizzo dei respingimenti, contrari alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come vero e proprio strumento di gestione dei confini esterni dell’Unione europea. “Se la polizia presume di decidere chi può accedere alla procedura d’asilo -spiega l’avvocato Clemens Lahner- questo è chiaramente illegale. Ed è un chiaro avvertimento al ministero dell’Interno che deve porre fine al più presto al sistematico disprezzo dello stato di diritto”.

La direzione della polizia provinciale della Stiria, invece, tramite il suo portavoce Markus Lamb, ha “fermamente respinto” le accuse del tribunale mentre il ministero dell’Interno austriaco, fino ad ora, non ha rilasciato nessuno commento. “Il pesce puzza dalla testa -spiega Lukas Gahleitner-Gertz, del Coordinamento asilo Austria-. È completamente inimmaginabile che questa procedura avvenga all’insaputa e contro la volontà espressa dal ministero dell’Interno e dei suoi funzionari: si sta parlando di violazioni sistematiche dei diritti umani, di trattamenti contrari la dignità e di ignorare i principi dello stato di diritto”. Fa eco a Gertz anche Monika Vana, capo delegazione dei Verdi austriaci al Parlamento europeo: “Spero che questa sentenza impedisca che questa pratica continui ad essere messa in atto. La dignità umana deve essere rispettata anche sulle nostre frontiere che non sono uno spazio senza legge”.

La decisione del tribunale arriva in un momento delicato a Bruxelles. Dall’inizio di luglio 2021 la Slovenia ha cominciato i sei mesi di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Proprio a ridosso dell’insediamento, il ministero dell’Interno, Aleš Hojs ha annunciato che il governo di Lubiana stanzierà un finanziamento extra di 2,5 milioni di euro a 32 Comuni per aumentare il controllo dei confini. Non solo. Hojs ha dichiarato che, per i prossimi sei mesi, verranno dispiegati circa mille agenti di polizia in più su “varie zone” del territorio. Non è dato sapere quali siano. Un messaggio chiaro ai partner europei: la militarizzazione e l’aumento del controllo delle frontiere resta una priorità. Con la speranza che le autorità slovene, figure centrali nei respingimenti a catena che interessano le persone che percorrono la rotta balcanica, tengano conto di quanto scritto, nero su bianco, dai giudici austriaci: i respingimenti sono illegali.

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