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“Autonomia”: sotto gli slogan, niente

Di come si useranno le presunte risorse in più per il Nord nessuno parla. La questione, di nuovo, è culturale. La rubrica di Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 197 — Ottobre 2017

Ottobre è il mese dell’autonomia: Lombardia e Veneto vanno al referendum. Anche se con ciò non si otterrà automaticamente più autonomia, ma solo si chiederà al Governo di discutere per una maggior autonomia, come dice l’art. 116 della Costituzione. Detto tra noi, la cosa era fattibile anche senza referendum, ma nell’era dei “like” è la conta che conta. Aprire le urne costerà decine di milioni di euro ai cittadini, visto che non pagano i partiti che sostengono questa ideuzza usando i loro risparmi. Pagano tutti, anche quelli che non voteranno, quelli che erano per una soluzione negoziale e quelli che proprio non ne sentivano il bisogno perché la crisi suggerirebbe di fare altro. Solo in Lombardia ognuno, bimbi compresi, sborserà almeno 5-7 euro per mettere una X. La democrazia costa, si sa. Ma non parliamo di soldi, suvvia, non è elegante. Andiamo al sodo. Parliamo di autonomia e chiediamoci cos’è e che ce ne facciamo. È quel che ci serve? Ci manca? Per le cose urbanistiche e ambientali che conosco, mi pare che di autonomia Regioni e Comuni ne abbiano tanta e forse pure troppa: infatti l’hanno difesa bocciando il referendum costituzionale del 4 dicembre scorso (anche se qualche sindaco che era per il Sì allora è, bizzarramente, per l’autonomia ora). Con l’abbondanza di autonomia che hanno oggi i comuni, possono fare del suolo quel che vogliono (e si vede). Le Regioni idem: possono legiferare su quanto cementificare il territorio (e ne abbiamo raccontato i guai). Se vogliono fare una strada o un’autostrada, la fanno. Se vogliono istituire nuovi parchi regionali, possono farlo (ma non lo fanno).

(1,363+22+24) + (1,2+14): fate la somma e saprete il costo (minimo) dei referendum per l’autonomia lombarda e veneta (il numero con la virgola si riferisce alle campagne pubblicitarie pre-referendum)

Se vogliono proteggere l’ambiente con limitazioni, vincoli e più sorveglianza, possono farlo (e non lo fanno). Se due o più comuni vogliono unirsi per semplificare e risparmiare, lo possono fare (ma non lo fanno). Se vogliono fare più aree pedonali e togliere auto dai centri storici, lo possono fare (ma manca coraggio). Se vogliono pubblicare i costi della pianificazione urbanistica, varianti e variantine pagate con i soldi di tutti per aggiungere cemento laddove non ne serve, possono farlo (ma non lo fa nessuno). Quanto si potrebbe fare con l’autonomia che la politica ha già tra le mani da anni. Ma si vede che non è quella giusta: ne vogliono un’altra anche se nessuno spiega bene quale, nonostante i milioni già spesi per la campagna informativa. Sul web si trovano solo dichiarazioni che parlano di soldi (che noia). Qualcuno dice che ogni Regione incasserà da Roma tra i 7 e i 12 miliardi all’anno. Una cifrona che solletica la pancia. Ma sono i soldi ciò di cui abbiamo bisogno? Mi viene a mente l’intuizione dell’economista Franz Josef Radermacher che già anni fa diceva che la vera questione non è ottenere sempre più soldi, ma come spenderli. E così per l’autonomia: come si usa quella che abbiamo? L’alpinista esperto prepara la scalata pensando al tempo della discesa e non solo dell’ascesa. Ottenere più autonomia per non fare le cose giuste, non serve a nessuno. Piuttosto abbiamo bisogno di più capacità di cooperazione e coordinamento. Gli alpinisti si salvano con le cordate. E poi occorre imparare a spendere ecologicamente quel che si ha, evitando di consumare risorse non rinnovabili (come il suolo) o spendere in cose che generano impatti ambientali che poi richiedono altri soldi per essere sanati. Di come si useranno i soldi dell’autonomia nessuno parla. La questione, di nuovo, è culturale. Troppo facile agitare la parola “autonomia”, che il ventre del Nord conosce bene, evitando così di discutere criticamente sull’uso che si è fatto e si farà dell’autonomia.

Paolo Pileri è professore ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il suolo sopra tutto” (Altreconomia, 2017)

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