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Referendum del 17 aprile, le buone ragioni del Sì

L’Associazione per lo studio del picco del petrolio (ASPO Italia) ha elencato quattro documentati motivi per votare "Sì" al quesito referendario del prossimo 17 aprile. Facendo luce sull’attività dei giacimenti entro le 12 miglia dalla costa, i tempi delle concessioni, il "peso" sulla produzione nazionale di gas naturale e petrolio

Per riassumere le ragioni del “Sì” al referendum del 17 aprile sulle trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, l’Associazione per lo studio del picco del petrolio (ASPO Italia, http://www.aspoitalia.it) ha usato poche e lucide parole: “Non possiamo più perdere tempo per uscire dal paradigma fossile”.
 
Siamo d’accordo, avendo in questi anni documentato -attraverso inchieste e approfondimenti- il fiato corto del paradigma delle “Trivelle d’Italia”, che è poi il titolo del bel libro che il nostro Pietro Dommarco ha dedicato al tema. Al lavoro di Dommarco, peraltro, rimandiamo coloro che comprensibilmente faticano ancora a destreggiarsi nel “guazzabuglio” normativo, nel contenuto del quesito e di quelli poi “risolti” dal Governo.
 
Per poter illustrare le buone ragioni del “Sì” è utile partire dal quarto punto del ragionamento di ASPO. Ovvero: di che cosa stiamo parlando? “I giacimenti interessati sono quelli entro le 12 miglia, tra i primi ad essere stati messi in produzione in Italia e quindi per la quasi totalità giacimenti in via di esaurimento, su cui insistono piattaforme la cui attività è ormai ridotta. Solo pochissime concessioni scadranno nei prossimi anni, molte hanno già richiesto proroghe con la vecchia normativa e le otterranno. Alcune non hanno richiesto proroghe perché comunque destinate alla chiusura delle attività. In totale meno del 26% della produzione di gas naturale, e il 9% di quella petrolifera, verrebbero chiuse progressivamente”.  
 
L’ASPO ha ricordato poi a tutti che già il presente è -e dovrà esserlo ancor di più- rinnovabile, e che la Conferenza mondiale sul clima a Parigi, COP21, ha prodotto in tal senso raccomandazioni precise. Citando ricerche autorevoli -pubblicate su Nature all’inizio del 2015- ha poi ribadito che “se si vuole
mantenere l’aumento di temperatura globale ben al di sotto dei 2°C, come raccomandato nel documento finale della COP21 di Parigi nello scorso novembre, un terzo delle riserve di petrolio e la metà di quelle di gas non dovrebbero essere estratte”.
 
“Per quale ragione le riserve italiane dovrebbero fare eccezione?”, si è chiesta l’associazione, smontando pezzo per pezzo la retorica di un’Italia simile ad “una specie di Arabia Saudita del Mediterraneo, che rinuncia ad una fortuna per motivi futili”. “La realtà dietro alle affermazioni pubblicitarie fatte da politici e agenti di pubbliche relazioni delle compagnie petrolifere travestiti da esperti -ha spiegato ASPO- mostra che i tanto auspicati aumenti produttivi possibili potrebbero essere mantenuti per un periodo non superiore agli 8 anni, e anzi quasi certamente inferiore ai 5”. 
 
Dunque, non toccare gli idrocarburi è un’azione saggia: “Tutti i benefici relativi agli idrocarburi non estratti (occupazione, proventi per la collettività) possono essere lasciati ai nostri figli e nipoti che ce ne saranno grati”, perché “gli idrocarburi non hanno solo usi energetici, ma sono materie prime fondamentali in vasti campi di applicazione dell’industria petrolchimica come la produzione di polimeri (plastiche), farmaci e fertilizzanti”.
 
Andare a votare e votare “Sì” il 17 aprile ci sembra utile, giusto e lungimirante. È un passo verso quella che ASPO ha chiamato una “svolta alla politica energetica del nostro Paese, dell’Europa e del mondo intero”.
 
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