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Redistribuzione dei migranti: disinnescare nuove crisi è possibile. In attesa della riforma del Regolamento di Dublino

Dopo il caso dei 49 naufraghi sbarcati a Malta, i governi europei hanno presentato l’accordo di ricollocamento come una straordinaria novità. In realtà, il Regolamento di Dublino prevede già oggi la possibilità di realizzare un accordo di cooperazione tra Paesi dell’Unione, anticipando casi “eccezionali”. “Uno strumento che permetterebbe di anticipare la riforma del Regolamento, che resta l’unica strada per uscire dalla crisi attuale”, commenta Gianfranco Schiavone (ASGI)

Il caso dei 49 naufraghi salvati nel Mediterraneo prima di Natale da due Ong e rimasti in balìa del mare, senza approdo, fino al 9 gennaio, si è “risolto” con un accordo tra diversi Paesi europei che ne ha previsto lo sbarco a Malta e la successiva redistribuzione nel continente. Il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, l’ha definita una “soluzione eccezionale” per una “circostanza eccezionale”. Ma quella che è stata salutata come una straordinaria novità politica altro non è che una possibilità già prevista dalle regole europee, in particolare dal Regolamento di Dublino III del giugno 2013. E che se correttamente applicata, come ricorda Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI, www.asgi.it), potrebbe anticipare la effettiva riforma del Regolamento Dublino III e disinnescare nuove “crisi” o “emergenze” destinate a sicura strumentalizzazione elettorale.

Di che cosa si tratta? Nello stabilire i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, il Regolamento di Dublino in vigore prevede infatti tra le sue “Clausole discrezionali” (articolo 17) alcune importanti deroghe. Ad esempio quella per cui “ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete”. Non solo: esiste già la possibilità di “chiedere a un altro Stato membro di prendere in carico un richiedente al fine di procedere al ricongiungimento di persone legate da qualsiasi vincolo di parentela, per ragioni umanitarie fondate in particolare su motivi familiari o culturali, anche se tale altro Stato membro non è competente”.

Schiavone aiuta a comprendere la portata di queste “clausole”. “Quanto stabilito dall’articolo 17 del Regolamento significa che già oggi esiste la possibilità di realizzare un accordo di cooperazione tra Paesi dell’Unione europea (anche attuabile solo tra un gruppo di Paesi) al fine di attuare una redistribuzione dei richiedenti asilo -riflette lo studioso-. Senza perciò attendere nuove situazioni ‘eccezionali’. L’attivazione di quelle clausole permetterebbe di anticipare la riforma del Regolamento di Dublino che è ormai evidente non verrà mai realizzata nella legislatura in corso”.
“Naturalmente -prosegue Schiavone- c’è una fondamentale differenza tra tali accordi e la effettiva riforma del Regolamento Dublino votata dall’inascoltato Parlamento europeo a fine 2017 perché gli accordi di redistribuzione attualmente possibili tra gli Stati sono del tutto discrezionali mentre nella riforma sopraccitata la redistribuzione avverrebbe dentro un preciso quadro di garanzie giuridiche nel quale le persone non sarebbero solo destinatari passivi delle decisioni degli Stati ma titolari di precisi diritti”.
Tenendo dunque ben fermo l’ obiettivo di arrivare il prima possibile a una vera riforma del Regolamento Dublino III, in uno scenario politico “disastroso” come Schiavone definisce quello attuale, “l’accordo di cooperazione tra Stati, se realizzato sulla base di criteri non arbitrari (popolazione, Pil, percentuale di rifugiati sulla popolazione, etc) potrebbe avere comunque una sua importanza, perché contribuirebbe ad avviare il superamento del principio attuale in base al quale il primo Paese di arrivo è quello competente all’esame della domanda in favore di una redistribuzione che tenga in debito conto i legami significativi dei richiedenti asilo”.

“Il conseguimento di qualsivoglia accordo di redistribuzione parziale dei richiedenti asilo tra alcuni Stati Ue -continua Schiavone- non giustifica in alcun modo quanto sta avvenendo in questi mesi, ovvero lo spregio del diritto internazionale del mare in materia di ricerca, soccorso e approdo in un porto sicuro, tenendo letteralmente in ostaggio i migranti in attesa di conseguire di volta in volta un accordo ad hoc tra gli Stati come è avvenuto nel caso della Sea Watch e anche in casi precedenti.  Le normative sul soccorso vanno applicate con rigore e le persone salvate vanno fatte sbarcare quanto prima e solo dopo che sono al sicuro e hanno avuto la possibilità di accedere pienamente alla procedura di asilo, l’opzione del trasferimento in un altro Stato Ue può essere proposta agli interessati. La Commissione europea dovrebbe richiamare con più forza gli Stati ai loro obblighi e ribadire che nessuna redistribuzione è possibile se non sulla base del primario rispetto delle normative internazionali sulla ricerca e il soccorso in mare”.

Volendo solo per un attimo sospendere il giudizio sulla tragedia umanitaria causata dal blocco dei flussi dalla Libia, e soffermandosi ai freddi numeri pubblicati da Eurostat sugli arrivi e sulle domande di protezione internazionale presentate nell’Unione europea, Schiavone osserva come la situazione attuale sia pienamente gestibile. Confrontando il terzo trimestre 2017 a quello dello scorso anno, infatti, emerge una riduzione, nell’Unione europea, del 13% dei richiedenti asilo in prima istanza (169mila contro 146mila). A fronte di un crollo degli arrivi: 172mila arrivi dal Mediterraneo nel 2017 contro i 138mila del 2018 (dati UNHCR).

“Perché -si domanda a voce alta Schiavone- nessuno vuole compiere questa redistribuzione utilizzando uno strumento che c’è già? Perché nessuno parla più della riforma del Regolamento Dublino e non invoca la redistribuzione utilizzando i limitati ma esistenti strumenti previsti dal diritto vigente quale parziale sperimentazione in vista della riforma del Regolamento?”. La risposta è semplice: “Gli Stati, Italia in particolare, che si presentano pubblicamente come i più esposti, sacrificati, impegnati o ‘appesantiti’, quelli della formula ‘Abbiamo già dato’, in realtà sono quelli che più dovrebbero contribuire secondo la redistribuzione per quote. La celebrazione della recente soluzione dei 49 naufraghi, quindi, pare più una bufala”. L’Italia è infatti il Paese europeo che ha registrato la diminuzione più sensibile di richiedenti asilo tra 2017 e 2018 (dati al terzo trimestre), -72%, seconda solo all’Ungheria. 32mila contro circa 9mila. Per non parlare degli sbarchi: 119mila nel 2017, poco più di 23mila lo scorso anno. O della quota di richiedenti asilo sulla popolazione residente al terzo trimestre 2018: 148 ogni milione di residenti contro una media dell’Ue a 28 di 286. Come in passato, quindi, non c’è alcuna emergenza. Da parte dei Paesi europei, però, non c’è ancora alcuna intenzione di affrontare il tema “redistribuzione” facendo ricorso ai limitati strumenti che ci sono ma che si finge di non conoscere. “Probabilmente -conclude Schiavone- perché non c’è nessuna intenzione di muoversi realmente nella direzione della riforma del Regolamento Dublino sopra indicata”.

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