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Ambiente / Opinioni

Recovery Fund o Next Generation: stiamo confondendo le acque?

Nel domani c’è spazio solo per la transizione ecologica. Questo è l’unico patto di futuro di cui la politica può occuparsi. La rubrica del prof. Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 231 — Novembre 2020
© Markus Spiske - Unsplash

Se dico Next Generation a che cosa pensate? Alle future generazioni, ovvio. Se invece dico Recovery Fund pensate ancora alle future generazioni? Non credo. Dico questo perché in verità i miliardi di finanziamenti europei denominati Recovery Fund sono una costola di un pacchetto di finanziamenti che ha un altro nome: Next Generation. Questo legame ombelicale è stato silenziato e tutti noi lo abbiamo perso di vista. Il nuovo patto sociale inscritto in queste parole è sparito. Non si tratta di fare le pulci alle parole ma di salvaguardarne il messaggio originale. Recovery Fund non ha addosso odore di futuro, men che meno quello dei nostri figli e nipoti. Vi rendete conto del possibile danno concettuale di questo divorzio non dichiarato tra Next Generation e Recovery Fund? Lo slittamento rischia di farci perdere la bussola. Pensate che bello sarebbe ascoltare presidenti e sindaci, deputati e professori dire Next Generation al posto di Recovery Fund. Tutti schizzeremmo in avanti come mai ci è successo. Impareremmo a essere più generosi e a capire finalmente che le sfide ecologiche non sono quisquiglie buone per gli striscioni ambientalisti od ostacoli all’unica idea di sviluppo avido che abbiamo da anni.

Recovery Fund è una formula piegata su se stessa che ricorda di mettere una pezza sul presente. E siccome le parole giuste hanno un peso nel dibattito e influenzano la direzione e le posizioni dei diversi attori politici, non mi scandalizzerei se questa coppia di parole senz’anima la sentissimo presto parlare la lingua dei soliti compromessi tra il modello di sviluppo presente e quello futuro. Non mi stupirei se alcune urgenze climatiche iniziassero a traballare, scivolando in fondo all’agenda. La transizione ecologica e quella energetica non sanno che farsene di piccoli passettini. Sulla tutela della biodiversità siamo in ritardo e in questi anni ci siamo dedicati più a spostare le scadenze che a rispettarle. Azzerare il consumo di suolo al 2050 non è un buon programma per le prossime generazioni. La riduzione delle emissioni, la liberazione delle città dalla morsa delle auto vanno fatte subito. E invece ce la prendiamo con i monopattini. Next Generation è sinonimo di “non c’è più tempo” per cincischiare. Le liste delle questioni più urgenti a cui dedicarsi sono note.

Due: le parole che non valgono altre due. Recovery Fund sta soffocando Next Generation e così, senza neppur saperlo, rischiamo di trovarci a fare le cose di prima e non quelle che servono ai nostri nipoti

I nostri mari si stanno riempiendo di specie tropicali a furia di scaldarsi e si innalzano spingendo il sale nei fiumi e nella nostra pianura agricola (che vuole dire meno cibo in futuro). A breve chissà quali uragani, cicloni e tempeste avremo. La devastante acqua alta a Venezia dello scorso 12 novembre 2019 tornerà? E tornerà pure la terribile tempesta Vaia che ha distrutto 16 milioni di alberi alpini il 30 ottobre 2018? Nel solo 2019 abbiamo avuto cinque eventi estremi al giorno: è una follia. In Ue nell’estate 2003 sono morte in un solo colpo 70mila persone per il caldo (leggete “Terra Bruciata” di Stefano Liberti). Insomma non c’è solo Covid-19 da sconfiggere come dice chi parla di Recovery Fund, ma un sacco di cose che si sono accumulate sull’uscio delle nostre indecisioni culturali e politiche e su cui potremmo pure generare tanto lavoro. È venuto il tempo di smettere di fingere, usando una felice intuizione di Jonathan Franzen. Riprendiamoci le parole che più ci impegnano per il futuro. In “Dello scrivere oscuro” Primo Levi diceva che abbiamo una responsabilità grande finché viviamo: rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno. Ma vada a segno per le prossime generazioni, non per noi.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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