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Ambiente / Opinioni

Quello spot sul Suv elettrico e chi ha capito poco o nulla della vera transizione che ci aspetta

© Nicolas Cool, unsplash

In queste settimane passa in tv e sui social la pubblicità della Jeep Renegade. Sfreccia indisturbata tra boschi e savane. Il titolo è emblematico di un certo approccio: “Do not disturb”. Come se comprare tecnologia, continuando a seguire un modello di sfruttamento, bastasse per essere ecologici. Il commento di Paolo Pileri

In queste settimane estive, mentre i fiumi sono quasi asciutti e le temperature bollenti, in televisione e sui social passa lo spot della Jeep Renegade. La si vede sfrecciare a tutta velocità tra boschi che potrebbero essere dei nostri Appennini e foreste tropicali, tra savane e deserti australiani (o forse americani). Ma la novità è che grazie agli incentivi statali e alla transizione energetica la jeep sfreccia silenziosissima sotto lo sguardo “indisturbato” di scimmie, gorilla, leoni dormienti e pure tartarughe in accoppiamento (perché un po’ di voyerismo innalza l’audience).

Il titolo è perfetto per l’ipocrisia: “Do not disturb” (“Non disturbare”). Già perché lo spot vuol farci credere che un Suv, purché sia elettrico, non reca alcun disturbo alla natura. Così se noi rivestiamo le nostre peggiori e spocchiose abitudini con rimedi tecnologici “green’” possiamo sgommare senza disturbare la natura e fare liberamente quel che ci piace. Vi sembra possibile? Ma se un Suv entrasse -zitto zitto- nel giardino di una residenza presidenziale, o nei boschi della tenuta di uno dei nostri tanti presidenti o sui prati intonsi di una magione di qualche onorevole, super cantante o super amministratore delegato, davvero loro continuerebbero a sorseggiare il loro tè freddo come se nulla fosse?

Quello spot entra in tutte le nostre case e fa un gran casino, mettendo sottosopra quel poco di sensibilità ambientale che (nel chiasso del consumismo che dura da decenni) era già precaria, soprattutto nei giovani e in quanti hanno fragilità culturali. Non credo infatti che aiuti nessuno ad avere più rispetto per la natura. Né fa crescere la coscienza ecologica. Ma nemmeno aiuta a capire cosa sia un habitat o aumenta la consapevolezza sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici. Non spiega neanche la resilienza, così cara al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Suggerisce piuttosto come cavalcare la transizione ecologica: basta un Suv elettrico e siamo legittimati a danneggiare la natura come e più di prima. Spot del genere consacrano sempre più l’idea di un uomo che può tutto e non si ferma davanti a nulla. La natura è ridotta a un corpo al nostro completo servizio che, con una spinta elettrica high tech, si può violare silenziosamente. E lo può fare chiunque, con comode rate e incentivi governativi, senza che la coscienza ne esca turbata, anzi lo spot finisce inneggiando alla libertà così conquistata. Che cosa imparano i nostri ragazzi da tutto questo? Che i pruriti e gli egoismi hanno più cittadinanza del rispetto e della cura dei luoghi. Che se compri tecnologia, diventi ecologico e libero. E vale per tutti i boschi: da quelli dietro casa a quelli sull’Appennino o nella foresta calabrese di Caulonia, dove si è tenuto il raduno dei jeepers 2021. Siamo legittimati a distruggere.

Davanti a messaggi martellanti i governi e quanti hanno un ruolo pubblico (e soprattutto politico) dicono qualcosa? Io non ho trovato nessuna presa di distanza pubblica, nessun messaggio di indignazione. Potremmo riempire tristissime pagine di possibili ragioni. Forse neppure più si accorgono della gravità di spot del genere. Tutto scorre via. Qualcuno penserà che sia il naturale evolversi dei tempi e delle cose. E poi il mondo dei motori non si tocca: può dire tutto e far quel che vuole. E, invece, ancor più con i tempi che corrono, mi sarei aspettato una presa di posizione pubblica, soprattutto da parte di quanti hanno una responsabilità culturale o politica. Non sarebbe stato fuori luogo un comunicato stampa (rumoroso come un vecchio diesel) di quel che rimane del partito dei Verdi, o dei residui ambientalisti dei vari partiti, o delle associazioni ambientaliste unite. Magari anche dei rappresentanti del mondo della scuola pubblica. Fantastica sarebbe stata una presa di distanza -o almeno un pensiero di inopportunità- da parte del ministro della Transizione ecologica o di qualche assessore all’Ambiente regionale o comunale, o di intellettuali, artisti e influencer vari. E invece: silenzio, più assordante e violento di quello del Suv elettrico nel bosco. Spero che un comunicato stampa ci sia stato e che sia stato io ad essermelo perso.

Forse il titolo “Do not disturb” è proprio il marchio di fabbrica che si appiccica non a chi ha inventato lo spot, ma a chi lo guarda. E pur avendo responsabilità pubbliche non disturba e passa oltre, lasciando che il disastro/mercato faccia il suo corso, indisturbato. Capite bene che messaggi del genere preparano il campo ad assalti alla natura ben peggiori, perché se ci abituiamo a quelle immagini, ne accetteremo di peggio o tenderemo a considerare di poco conto le “normali” sopraffazioni ambientali locali. Tutto questo mi spaventa più dello spot. Il servilismo a un modello che dovrebbe essere archiviato, e che invece è più vivo e arrogante che mai, mi fa disperare. Un’indifferenza che mi lascia senza fiato ma non senza l’energia per indignarmi e chiedere a chiunque di non aver timore di indignarsi pubblicamente. C’è troppo silenzio e la natura, come spesso dico, può salvarsi con la nostra voce. Alziamola.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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