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Quel consenso sociale che rafforza le mafie

Da Palermo a Milano, gli imprenditori si rivolgono ai boss per avere protezione, offrire servizi, fare affari. Il nodo dei controlli sui fondi per il rilancio del Paese. La rubrica di Pierpaolo Romani (Avviso Pubblico)

Tratto da Altreconomia 237 — Maggio 2021
© Ndr - Unsplash

“Molte cose sono cambiate, ma buona parte della borghesia ritiene ancora che l’illegalità sia più conveniente”. A pronunciare queste parole è stato Umberto Santino, fondatore del Centro siciliano di documentazione intitolato a Peppino Impastato, dopo l’arresto del presunto boss mafioso Giuseppe Calvaruso. Considerato il nuovo capo del mandamento di Pagliarelli, da tempo viveva in Brasile e si era recato in Sicilia a Pasqua per una visita alla famiglia. Secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, in realtà, Calvaruso stava tentando di proseguire la riorganizzazione di Cosa nostra avviata dal boss Settimo Mineo, arrestato nel 2018. Le accuse sono pesanti: associazione mafiosa, estorsione, lesioni personali, sequestro di persona e intestazione fittizia di beni.

20: secondo un calcolo effettuato dal Sole 24 Ore, entro il 2023 nel Mezzogiorno arriveranno quasi 20 miliardi di euro tra fondi europei, fondi strutturali e finanziamenti del Fondo sviluppo e coesione

Dalle intercettazioni che sono state rese pubbliche emerge come Cosa nostra siciliana, seppur fortemente colpita dall’azione repressiva delle forze di polizia e della magistratura, non solo non abbia mai smesso di tentare di ricostruire la famosa “cupola” -l’organo di coordinamento composto dai capi mafiosi e destinato a stabilire accordi per distribuire gli affari ed evitare guerre tra i clan- ma continui a svolgere una funzione storica: quella del controllo del territorio e dell’ordine pubblico su di esso.

I magistrati palermitani, infatti, raccontano di come diversi imprenditori palermitani anziché rivolgersi alle autorità ufficiali, si sono rivolti alla mafia per chiedere l’autorizzazione ad aprire delle attività commerciali oppure per domandare protezione e recuperare la refurtiva sottratta dai loro negozi da alcuni rapinatori. Anche una giovane donna si è rivolta ai mafiosi. Lo ha fatto per recuperare l’auto che le era stata rubata alcuni giorni prima sotto casa. Sia la refurtiva sottratta ai negozi sia l’auto sono stati recuperati in breve tempo e i responsabili di questi furti sono stati sanzionati con il compimento di azioni violente tipiche dei clan mafiosi. In poche parole, non per dei poveracci ma per diversi imprenditori la mafia è riconosciuta come più efficiente dello Stato: agisce in tempi brevi e garantisce il raggiungimento del risultato.

Questa pericolosa e sbagliata mentalità si è trasferita anche in alcune zone del Nord Italia dove imprenditori, liberi professionisti ed esponenti del mondo bancario e finanziario non sono affatto vittime delle cosche ma complici e conniventi. I mafiosi vengono cercati come clienti cui offrire dei servizi oppure come soci per realizzare degli affari o, ancora, come banche per chiedere capitali. Ai boss si chiede di tenere lontani i concorrenti che potrebbero ottenere un appalto e questo viene fatto con minacce e intimidazioni.

In un recente dibattimento svoltosi al tribunale di Venezia è emerso come alcuni baristi e cittadini del litorale che dal Veneto va verso il Friuli-Venezia Giulia abbiano dichiarato al figlio di un boss camorrista che quando sul territorio c’era suo padre si poteva vivere con maggiore tranquillità: non servivano allarmi e telecamere. Si è visto come questo consenso sociale, dietro al quale si cela la caduta di fiducia verso le istituzioni, possa trasformarsi in consenso elettorale.

Negli ultimi tempi, infatti, sia al Sud sia al Nord sono stati arrestati sindaci, assessori e consiglieri comunali e sono già tre i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa dall’inizio del 2021. Nel Mezzogiorno, entro il 2023, arriveranno quasi 20 miliardi di euro tra fondi europei, fondi strutturali e finanziamenti del Fondo sviluppo e coesione. Chi e come controllerà l’impiego di questi fondi destinati a rilanciare non solo il Sud ma l’Italia intera?

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie

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