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Quando lo Stato diventa aguzzino

La memoria non si ferma al G8

Ci hanno fatto perfino un gruppo su Facebook: "la giustizia diventa ingiustizia", un titolo che racchiude in quattro parole la delusione e lo sconforto di fronte a vite di ragazzi spezzate dai rappresentanti in divisa di quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli. Sono ragazzi dalle storie e dai percorsi più vari, accomunati dalla catena di omertà, vilipendi, reticenze, menzogne che accompagna puntualmente queste vicende, dove lo stato si rivela arrogante con le vittime e le loro famiglie e conciliante con i potenti.

Tra le tante questioni aperte nel decennale del G8, quella che brucia maggiormente sulla pelle è proprio quella della repressione, un nodo gordiano che nessun partito ha avuto il coraggio di spezzare e che non riguarda solamente gli scontri di piazza.

Le "colpe" di queste vittime sono le più varie: aver reagito a soprusi o atti di violenza "istituzionale", essere culturalmente, esteticamente o politicamente "diversi" o comunque non omologati alla massa dei loro coetanei, appartenere a minoranze non protette e senza santi in paradiso, o più semplicemente trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato senza nessun amico da chiamare per farsi scarcerare, magari spacciandosi per nipoti di Obama.

Federico Aldrovandi, Niki Aprile Gatti, Aldo Bianzino, Sami Mbarka Ben Gargi, Carmelo Castro, Giuseppe Casu, Stefano Cucchi, Angelo Raffaele De Palo, Manuel Eliantonio, Stefano Frapporti, Carlo Giuliani, Simone La Penna, Marcello Lonzi, Francesco Mastrogiovanni, Riccardo Rasman, Francesco Romeo, Luca Rossi, Giuseppe Saladino, Gabriele Sandri, Aldo Scardella, Giuseppe Turrisi, Giuseppe Uva: il luglio genovese sarà un’occasione di memoria anche per loro, e per tutte le vite stroncate da "uomini delle istituzioni" in nome di "sicurezza", "legalità" e "ordine pubblico".

Alcuni hanno perso la vita mentre erano in "custodia" di agenti, con fermi di polizia che diventano pestaggi e si trasformano in omicidi, altri hanno subito ricoveri psichiatrici coatti, altri sono morti in carcere lasciando dietro di sé quintali di misteri, suicidi poco credibili, referti medici tutti da chiarire e soprattutto famiglie a cui è stata negata la verità sui loro cari. Altri ancora sono morti colpiti da proiettili che hanno violato tutte le leggi della fisica, con improbabili rimbalzi e carambole che hanno fatto studiare sette camicie ai periti incaricati di giustificare queste traiettorie.

E alla violenza fisica si aggiungono gli schiaffi in faccia alle famiglie fatti di indagini archiviate, perizie che sfidano l’incredibile, palesi menzogne pronunciate dai più alti scranni istituzionali, interrogazioni parlamentari finite nel nulla, dichiarazioni oltraggiose di sottosegretari e ministri che aggiungono alla violenza di stato l’insulto postumo e vigliacco rivolto a chi non può più difendersi perché è morto.

Molti di loro sono stati descritti come drogati, criminali, esagitati, in preda a deliri violenti, tutto pur di negare che questi ragazzi non sono la parte malata di una società forte, ma una parte debole di una società malata

Storie di violenza istituzionale che sarebbe impossibile raccogliere in un articolo, ma che in rete trovano dei luoghi dove i frammenti di memoria vengono conservati e custoditi. Come il sito reti-invisibili.net – fortemente voluto da Haidi Giuliani – dove tante esperienze e misteri italiani si uniscono a formare un mosaico inquietante, lasciandoti la convinzione che nessuno è al sicuro. Indipendentemente da come si veste, dal suo credo politico, da quello che fa, dalle leggi che sceglie di violare o rispettare, nessun ragazzo può considerarsi immune al tritacarne della repressione e della violenza, che spesso colpisce nei modi più impensati, arbitrari e casuali.

La cronaca di queste vicende rimane confinata tra gli addetti ai lavori: al momento di chiudere questo pezzo, un amico che lavora come assistente sociale mi segnala una omissione contenuta nel mio elenco di vittime. Si tratta di Carlo Saturno, morto lo scorso marzo nel carcere di Bari, ufficialmente per suicidio. Il 6 aprile avrebbe dovuto testimoniare, come parte lesa, al processo per le violenze degli agenti penitenziari del carcere minorile di Lecce dove era detenuto qualche anno prima. Ma in Italia questa non è una notizia. E probabilmente l’elenco non è ancora completo.

 

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