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Economia

Quando il crimine punta in alto

La ‘ndrangheta non si accontenta più dei subappalti sui grandi cantieri del Nord ma acquisisce aziende in difficoltà per poi vincere le gare. Il caso Perego Antonino Belnome guidava i camion nei cantieri. Aspettava che le ruspe riempissero la ribalta…

Tratto da Altreconomia 120 — Ottobre 2010

La ‘ndrangheta non si accontenta più dei subappalti sui grandi cantieri del Nord ma acquisisce aziende in difficoltà per poi vincere le gare. Il caso Perego

Antonino Belnome guidava i camion nei cantieri. Aspettava che le ruspe riempissero la ribalta con il materiale di scavo e partiva per scaricarlo altrove, poi tornava e ricominciava da capo. Lavorava in subappalto per la Perego, una delle più importanti ditte di movimento terra della Lombardia. Secondo l’antimafia di Milano, però, il 14 luglio del 2008 il trentaseienne di origine calabrese, ma nato in Brianza, non è alla guida del suo camion. È in un bar di San Vittore Olona, un paese tranquillo a metà strada tra Milano e Varese. Dove, insieme a un complice, tira fuori una pistola e uccide Carmelo Novella, 57 anni, boss della ‘ndrangheta che, lo si scoprirà due anni dopo, si era messo in testa di svincolare le cosche lombarde dal controllo della “casa madre”. Queste ultime non hanno gradito e lo hanno licenziato a modo loro.
Gli sviluppi dell’inchiesta “Crimine”, quella che a luglio ha portato a circa 300 arresti tra Calabria e Lombardia, diranno se le cose sono andate davvero così. Certo che per com’è stata ricostruita finora, questa storia è un simbolo del matrimonio tra criminalità e grandi affari celebrato dalla ‘ndrangheta in terra lombarda. La Perego Strade, poi Perego General Contractor, è la prima grande azienda lombarda scalata dalle cosche calabresi, o almeno la prima di cui si possa raccontare la storia. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano, coordinata da Ilda Boccassini, la ‘ndrangheta ha cercato il salto di qualità, per sedersi da protagonista al tavolo del grande gioco delle opere pubbliche del Nord. Non si accontentava più di qualche subappalto strappato con le buone o con le cattive dai tanti “padroncini” legati ai clan calabresi. Con la Perego poteva vincere in prima persona i lavori più grossi, e poi spartire le fette della torta agli amici. Le tante conversazioni intercettate dagli investigatori sono dense di riferimenti all’Expo 2015. Per un po’ il gioco ha retto. L’azienda brianzola e i suoi soci occulti hanno fatto viaggiare i loro camion, e quelli delle ditte in odore di ‘ndrangheta, in cantieri pubblici importanti: sulla Paullese tra Crema e Spino d’Adda, committente la Provincia di Cremona; all’Ospedale Sant’Anna di Montano Lucino, appena fuori Como, committente la Regione Lombardia; nella metanizzazione di Erba, committente Snam Rete Gas. E ancora in aree prestigiose come Portello e CityLife di Milano e persino nella costruzione di nuovi uffici giudiziari vicino al Palazzo di giustizia, proprio sotto le finestre dei magistrati dell’antimafia.  
La sede della Perego è a Cassago Brianza, un paesino sulle colline del lecchese. Nel piazzale chiuso da un grande cancello grigio si vedono ancora dei camion e degli escavatori con le insegne bianche rosse e blu, i colori sociali. Come nella migliore tradizione locale, il capannone è attaccato alla villa di famiglia, dove nessuno ha voglia di parlare. All’alba del 13 luglio Ivano Perego, uno dei figli del fondatore, è finito in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Un imprenditore brianzolo doc, amante della bella vita, brutalmente descritto nelle carte come “cocainomane”. È accusato di aver spalancato le porte ai colletti bianchi della ‘ndrangheta, pienamente consapevole di chi fossero i suoi nuovi soci. Soci che, per parecchi mesi, sono rimasti misteriosi.
Le prime voci sul cattivo stato della casse della Perego strade srl si diffondono nel 2008. Ne parlano i giornali locali, intervengono i sindacati, perché l’azienda dà da vivere a 125 lavoratori e alle loro famiglie. A ottobre dello stesso anno la bella notizia del salvataggio. Nasce la Perego General Contractor (Pgc), con 10 milioni di euro di capitale: la famiglia Perego detiene il 51 per cento, l’altro 49 per cento è nascosto dietro lo schermo di due società fiduciarie milanesi, Carini e Comitalia. La vecchia Perego strade non scompare, ma viene “affittata” dalla Pgc. Dipendenti e mezzi tornano al lavoro con una certa serenità. Promettenti piani di rilancio sono presentati da un nuovo manager che si affianca ai Perego, il ragionier Andrea Pavone, di origine pugliese. Resta invece nell’ombra il personaggio nascosto dietro la fiduciaria Carini. Si chiama Salvatore Strangio, ha 55 anni, è originario di Natile di Careri, in provincia di Reggio Calabria, e residente a Desio, in Brianza. Ha precedenti per vari reati, compreso un arresto nel 1999 per traffico di droga. Diversi rapporti investigativi gli attribuiscono stretti contatti con le cosche dell’Aspromonte. Anche Pavone e Strangio finiranno in carcere per associazione mafiosa. Tutto questo, però, verrà fuori dopo. Nell’autunno del 2008, con l’ingresso dei nuovi soci l’azienda torna ad assumere e a muovere mezzi in ben 64 cantieri del Nord Italia. Tenta persino la scalata della Cosbau, un’importante società trentina gravata da debiti ma assegnataria di alcuni lotti della ricostruzione post terremoto a l’Aquila. Il gioco di carte false e società svizzere messo in piedi dalla Perego crolla a un passo dal traguardo.
Anche la fase di boom dura poco. La Perego strade è dichiarata fallita dal Tribunale di Lecco il 14 settembre 2009. La Perego General Contractor fa la stessa fine due mesi dopo, il 21 dicembre. Che cosa è successo? Qualcosa che ricorda la famosa storia della rana e dello scorpione: la rana poteva traghettare lo scorpione verso i favolosi lidi dell’Expo e delle grandi opere pubbliche, ma lo scorpione non è riuscito a reprimere la propria natura e l’ha uccisa, affogando insieme a lei. Il buco in bilancio è di almeno sei milioni di euro.

Nell’ordine di custodia cautelare firmato dal gip Giuseppe Gennari si legge per esempio che una società immobiliare di Strangio, la Sad Building srl, “intrattiene rapporti contrattuali sistematici con il gruppo Perego, dal quale riceverà altrettanto sistematici pagamenti preferenziali per centinaia di migliaia di euro”. Nei bilanci restano tracce di spese folli. Il parco delle autovetture utilizzate da soci e collaboratori è principesco: una Ferrari 430, una Lamborghini Gallardo, un Hummer H2, una Porsche Cayenne Magnum, un’Audi RS6, una Mercedes R320, una Bmw M6, una Bmw 525 Touring. Totale dei leasing: 325mila euro più Iva. La Perego General Contractor, scrive il giudice Gennari, è ormai “una vera e propria società mafiosa, con una diretta partecipazione sociale di capitale mafioso”. O, in modo più suggestivo, è diventata un’azienda “zombie”. Si favoleggia dei colletti bianchi della mafia educati nelle migliori business school, ma non è questo il caso. I soci calabresi hanno spolpato la società, “non hanno versato una lira del capitale dovuto e non sembravano in grado di gestire un’azienda”, sintetizza il curatore fallimentare Guido Puccio. Questi “colletti bianchi”, in realtà, non fanno cose molto diverse dai mafiosi “coppola e lupara”. Ne sa qualcosa Andrea Pavone, il manager che andava spiegando i mirabili progetti dell’azienda risanata. Il 23 febbraio Strangio e un complice lo aspettano sotto casa e lo riempiono di botte. Pretendono soldi che, dopo il fallimento delle aziende, sono molto difficili da ottenere. Come in una “Pulp Fiction” padana, dopo averlo pestato lo caricano in macchina. Pavone capisce che potrebbe essere il suo ultimo viaggio e si gioca il tutto per tutto. Convince i due sequestratori a raggiungere una certa discoteca, dove una persona avrebbe potuto prestargli i soldi richiesti. La persona, in realtà, è un uomo di rispetto: Umberto Cristello, secondo gli investigatori un pezzo grosso del “locale” di Mariano Comense, cugino di quel Rocco Cristello assassinato sotto casa a Verano Brianza la sera del 27 marzo 2008. Di fronte a una tale offerta di mediazione, Strangio non può far altro che accettare e Pavone la scampa. La Perego è “cosa” della ‘ndrangheta, ai massimi livelli. In diverse conversazioni intercettate è l’oggetto del desiderio dei cugini Oppedisano (entrambi di nome Michele), che vorrebbero entrare direttamente nella gestione dell’azienda e nella spartizione dei subappalti. Sono i nipoti di Domenico Oppedisano, l’anziano rosarnese indicato come il capo del “Crimine”. Cioè il boss supremo della mafia calabrese.

Operai al servizio delle cosche
Come si lavora in un’azienda scalata dalla ‘ndrangheta in terra lombarda? Le testimonianze rese dai dipendenti della Perego ai magistrati dell’antimafia restituiscono un misto di stupore e paura. Agli autisti dei suoi camion, Ivano Perego ordinava di smaltire illegalmente i materiali di demolizioni provenienti dai cantieri, amianto compreso (la Procura di Como contesta la gestione illegale di oltre due tonnellate di rifiuti speciali). Nei briefing che ogni mattina intorno alle cinque e mezzo si tenevano nel cortile della ditta a Cassago Brianza, il titolare raccomandava di caricare i camion oltre i limiti regolamentari, spiegava come falsificare le bolle di accompagnamento e come occultare la vera natura del carico, spargendo un dito di terra sopra le macerie. Chi obiettava poteva anche andarsene, visto che era lui che pagava. Un camionista ha ammesso di aver compiuto diversi scarichi abusivi, ma di non aver mai denunciato nulla per non perdere il posto di lavoro e perché certi nuovi arrivati in azienda avevano facce “che mettevano paura”. Quanto ad Andrea Pavone, nel suo primo discorso ai lavoratori schierati sul piazzale avverte che è meglio non rivolgersi mai più ai sindacati, pena il licenziamento.
Le impiegate storiche dell’azienda sono disorientate quando vedono spuntare dal nulla Salvatore Strangio e altri sconosciuti, che pur non avendo alcun ruolo formale in ufficio assumono un “atteggiamento da padroni”. Strangio, accusato di essere uomo dei clan, è l’unico che può entrare nell’ufficio di Perego senza farsi annunciare. A un certo punto, lui e altri due sono assunti come geometri pur non avendo il diploma, mentre altri calabresi vengono inseriti nell’organico, ma non svolgono “nessun tipo di attività”. Anche nei cantieri le cose cambiano. Un tempo la Perego utilizzava per lo più camion ed escavatori propri, racconta un dipendente, ma dal 2007 in poi, senza motivo apparente, i lavori vengono sempre più spesso affidati a “padroncini” esterni. Tutti calabresi.

Seduti sulla poltrona del capo
Hanno capitali puliti e credito dalle banche. Intervista al sostituto procuratore Mario Venditti*

“Gli imprenditori del Nord devono stare attenti a non fare la fine della nobiltà terriera siciliana, che pensava di usare la mafia e invece ne è stata inghiottita”. Mario Venditti, sostituto procuratore a Milano, ha coordinato diverse inchieste su ‘ndrangheta ed economia per conto della Direzione distrettuale antimafia. Il caso Perego strade è eclatante ma non isolato, afferma, “una parte del sistema economico lombardo è sceso a patti con la criminalità organizzata, questo è un fatto assodato”. Sono molti gli imprenditori che “pensano di potersi servire degli uomini della ‘ndrangheta e, senza neanche rendersene conto, un giorno se li ritrovano dietro la scrivania al posto loro”.
Oltre alla Perego, quali altri casi le vengono in mente?
Il processo Cerberus sul settore del “movimento terra” nella zona di Buccinasco, l’inchiesta Parco Sud sui rapporti tra ‘ndrangheta, imprenditori immobiliari e politici. Tra le indagini che ho seguito io, il caso della famiglia Paparo di Cologno Monzese, che aveva ottenuto subappalti nell’Alta velocità ferroviaria grazie al rapporto con aziende importanti come la De Lieto e la Locatelli. Queste sono imprese di rilievo, ma spesso l’incontro tra economia e criminalità avviene in società del tutto sconosciute.
Per esempio?
Una storia da manuale è quella della Makeall, in cui ci siamo imbattuti nell’inchiesta su ‘ndrangheta e usura a Lonate Pozzolo, in provincia di Varese. Era una società immobiliare ignota al pubblico, ma proprietaria di alcune centinaia di appartamenti tra Lombardia e Liguria. Il suo titolare, l’ingegnere milanese Agostino Augusto, era entrato in contatto con Nicodemo Filippelli e Fabio Zocchi, attualmente sotto processo per associazione mafiosa. Augusto aveva bisogno di soldi, ha cominciato a farseli prestare in modo più o meno lecito. Poi il prestito è diventato usura. L’ingegnere a un certo punto non poteva più pagare, ha subito intimidazioni, quindi l’estorsione. Alla fine, Filippelli e Zocchi si sono seduti al suo posto. Non è una metafora, andavano fisicamente in ufficio e dirigevano di fatto l’azienda, che sulla carta restava di proprietà di Augusto.
E una volta seduti a quella scrivania che cosa hanno fatto?
Hanno dimostrato un buon fiuto per gli affari. Si sono concentrati sulle attività più promettenti della Makeall, le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) per anziani non autosufficienti. Ne stavano realizzando una a Novara, una in provincia di Brescia, e tre in provincia di Pavia. Naturalmente puntavano a far accreditare queste ultime dal sistema sanitario, per ottenere i rimborsi dalla Regione Lombardia. Dalle nostre indagini risulta che erano abbastanza sicuri di riuscirci.
Una visione imprenditoriale che va al di là del semplice riciclaggio, quindi?
Si è sempre detto che la ‘ndrangheta accumulava soldi in Calabria, con il traffico di droga e altri affari illeciti, e li riciclava in Lombardia. Non è più così, o almeno non solo così. Oggi in Lombardia la ‘ndrangheta fa investimenti in settori che danno profitto, con capitali la cui provenienza è sempre più lontana dall’origine illecita. Capitali già ripuliti, potremmo chiamarli di “seconda generazione”.
Ricevete molte denunce di imprenditori lombardi che vengono in contatto con la ‘ndrangheta?
Nessuna. Molti imprenditori non si rendono neppure conto di quello che succede. Non è semplice paura, questi ti entrano nel cervello, ti dicono che cosa devi fare, ottengono tutto quello che vogliono. Una sorta di plagio.
Se non ci sono denunce, che cosa si può fare per contrastare l’assalto? Servono nuove leggi? Dovrebbero vigilare la banche?
Le leggi sono già abbastanza, le banche non sono esenti da colpe. Spesso, grazie a qualche funzionario locale, sono complici dell’usura e fanno finta di niente di fronte a movimenti di denaro più che sospetti. Nel caso della Makeall, una filiale della Deutsche Bank era un ingranaggio del meccanismo.
A quella società era consentito di andare in rosso di milioni di euro, come mai? Credo che invece dovrebbero fare qualcosa le associazioni imprenditoriali e professionali del Nord, a partire dall’Assolombarda. Noi magistrati diamo l’allarme, ma tocca a loro sensibilizzare i soggetti economici sul rischio che stanno correndo.

* Mario Venditti ha 57 anni e lavora alla procura di Milano dal 2000, dopo esperienze a Pavia e Messina. È in forza dal 2003 alla Direzione distrettuale antimafia.
Come pm, rappresenta l’accusa in due processi legati alle infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’economia lombarda, quelli scaturiti dalle operazioni “Isola”, di Cologno Monzese, e “Bad Boys”, sul “locale di Lonate Pozzolo e di Legnano”, radicato nell’alto milanese (vedi Ae 109)

I tre politici dell’inchiesta
La ‘ndrangheta, l’imprenditoria e la terza gamba che tiene in piedi il tavolo: la politica. Nelle carte dell’inchiesta sulla ditta Perego emergono nomi di peso. L’unico ufficialmente indagato è Antonio Oliverio, ex assessore provinciale milanese dell’Udeur passato al Pdl, accusato di bancarotta fraudolenta. Oliverio avrebbe partecipato alla spoliazione dell’azienda nelle operazioni più controverse, dal leasing delle auto di superlusso alla scalata Cosbau, ma avrebbe curato anche i rapporti politici dell’organizzazione, necessari per ottenere appalti. È Oliverio, si legge negli atti, che introduce Ivano Perego nella Compagnia delle Opere. In cambio, Perego punta a sostenere la sua carriera politica: lo vedrebbe bene alla direzione dell’Expo2015. Un altro nome che emerge è quello di Massimo Ponzoni, il ras del Pdl in Brianza, ex assessore regionale all’Ambiente coinvolto in diversi scandali, definito dal gip “parte del capitale sociale dell’organizzazione”. Il terzo politico lombardo che si sarebbe dato da fare per Perego e soci è Emilio Santomauro, ex An passato all’Udc, già in attesa di processo con l’accusa di aver fatto da prestanome al clan camorristico dei Guida.

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