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Cultura e scienza / Attualità

La storia trasmessa per gioco. Così il sapere raggiunge nuovi pubblici

Nata negli anni Ottanta negli Stati Uniti, la multiforme “public history” inizia ad affacciarsi anche in Italia, da Torino a Bari. Alcuni la definiscono “storia fuori dall’accademia”

Tratto da Altreconomia 215 — Maggio 2019
Alcuin fondatori dell’associazione “PopHistory” nata nel marzo 2017 © PopUpHistory

Modena, aprile 1945. La città è ancora nelle mani dei nazi-fascisti, ma manca pochissimo alla liberazione. I partigiani sono scesi dalle montagne e sono già entrati in città, anche le truppe alleate sono vicine. Il Comitato di liberazione nazionale vuole evitare il rischio di un combattimento casa per casa con gli occupanti. Occorre quindi coordinare al meglio gli sforzi dell’insurrezione, ma per farlo serve un codice segreto. Un codice che non si trova più: Irma, la giovane staffetta partigiana che lo custodiva, è sparita. Bisogna trovarla, e per farlo è necessario superare una serie di prove aggirandosi per le strade della Modena di oggi, immaginando di trovarsi in quella di settant’anni fa.

Parte da questo racconto “Echi resistenti”, un urban game dedicato alla liberazione della città emiliana messo a punto da “PopHistory”, un’associazione senza scopo di lucro fondata il 4 marzo 2017 da un gruppo di storici, insegnanti, sociologi, scrittori, bibliotecari e antropologi. Una ventina di soci sparpagliati tra Torino, Milano, Piacenza, Modena, Reggio Emilia, Bologna, Rimini, Firenze e Bari. “Ci siamo conosciuti durante la prima edizione del master di secondo livello in public history promosso dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia -spiega Giorgio Uberti, libero professionista, public historian e vice-presidente di “PopHistory” -. Concluso il percorso formativo abbiamo dato vita all’associazione con l’obiettivo di tradurre in pratica gli insegnamenti di questa disciplina e farne un lavoro”.

Nata negli anni Ottanta negli Stati Uniti, la public history è arrivata in Europa negli anni Duemila e solo recentemente ha iniziato ad affacciarsi anche in Italia. Tracciare i contorni precisi di questa disciplina non è semplice. “Alcuni la definiscono ‘storia fuori dall’accademia’ -spiega Igor Pizzirusso, ricercatore presso l’Istituto nazionale Ferruccio Parri di Milano-. Per me è storia fatta in modo diverso rispetto a quello tradizionale. Oggi la trasmissione del sapere storico avviene ancora prevalentemente attraverso i canali del seminario o del convegno. Che si rivolgono a un pubblico di specialisti. Noi proviamo a immaginare forme diverse”. Ad esempio, la public history prevede il coinvolgimento di un pubblico nella realizzazione di un lavoro storico.

Un modello che combina l’approccio rigoroso alle fonti e la scientificità del metodo di ricerca con prodotti narrativi diversificati. Una risposta alla crisi che sta attraversando l’insegnamento delle materie storiche per andare alla ricerca di un pubblico nuovo, più ampio, e di nuovi modelli di trasmissione del sapere storico.

Le forme che possono assumere i progetti di public history sono le più diverse. Tra quelle scelte da “PopHistory” ci sono i progetti multimediali come “Pietre nella rete, un format di memoria virtuale che raccoglie le storie dei caduti della Prima guerra mondiale nei comuni dell’Emilia-Romagna. Nomi che, con il passare del tempo e delle intemperie, rischiavano di essere cancellati per sempre anche dai monumenti fisici che li commemorano. Ci sono poi le “storie in tavola”, pranzi o cene in cui all’elemento conviviale e al buon cibo si accosta una narrazione interattiva sulla storia di una specifica Regione, tracciata seguendo la storia degli ingredienti che compongono le ricette divenute con il tempo “tipiche” di quella determinata zona geografica.

Nonostante l’aspetto ludico, l’attenzione per l’accuratezza storica è massima: “Solo per realizzare ‘Milano 45’ abbiamo lavorato per circa cinquanta ore e consultato almeno un centinaio di fascicoli conservati presso l’archivio Parri”

“E poi ci sono i giochi urbani, l’elemento su cui ci stiamo specializzando”, aggiunge Giorgio Uberti. Oltre a “Echi resistenti”, il team milanese dell’associazione ha recentemente lanciato un nuovo progetto intitolato “Milano45”: divisi in tre squadre, i giocatori devono vestire i panni dei volontari delle brigate “Giustizia e libertà” e risolvere una serie di missioni per supportare lo sforzo della Resistenza nei primi, difficili, mesi del 1945. “Le brigate sono in competizione tra loro e vince quella che riesce a totalizzare il punteggio più alto, ovvero a reclutare alla causa della Resistenza il maggior numero di famiglie -spiega Pizzirusso-. Non è stata una scelta casuale: vogliamo fare in modo che i giocatori abbiano una percezione molto chiara dell’ambiente in cui vengono immersi. Nella Milano del 1945 era fondamentale per i combattenti avere il supporto delle famiglie, ad esempio per nascondere le armi o per dare protezione ai partigiani. Questo tipo di esperienza non può avere la profondità di un saggio, ma attraverso il gioco vogliamo far capire che la storia non è necessariamente un ammasso di date e personaggi”.

Nonostante l’aspetto ludico, l’attenzione per l’accuratezza storica è massima: “Solo per realizzare ‘Milano 45’ abbiamo lavorato per circa cinquanta ore e consultato almeno un centinaio di fascicoli conservati presso l’archivio Parri”, spiega Igor Pizzirusso, che nel gioco veste i panni di “Erre”, uno dei più abili “007” della Resistenza. “Partendo dalle fonti archivistiche abbiamo messo in scena una gamificazione che risponde a criteri diversi rispetto alla narrazione di un saggio, deve essere più appetibile e immediata. Il vantaggio di essere immersiva e quindi non viene fruita in maniera passiva come può succedere, ad esempio, al cinema”.

Ma che cosa ci si porta a casa al termine di un pomeriggio trascorso a decifrare messaggi in codice o copie di vecchie mappe recuperate dagli archivi della Resistenza? Per Giorgio Uberti -che nella fiction del gioco veste i panni di “Ugo”- l’obiettivo principale è quello di “dare delle chiavi di lettura. Vorremmo che chi torna a casa dopo un’attività svolta con noi fosse in grado di contestualizzare quello che ha vissuto, comprendendone meglio le dinamiche. Vogliamo essere una miccia, accendere curiosità: se alla fine di una giornata trascorsa giocando tre persone andassero in libreria a comprarsi un libro di storia, o si accostano a un altro tipo di prodotto storico, potremmo considerarlo un buon risultato”.

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