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Ambiente

Problemi al Centro oli di Viggiano?

Il 5 aprile 2011, tra le 17:30 e le 18:00, una ventina di operai della Elbe Italia Sud srl – una fabbrica vicina al Centro oli di Viggiano – hanno avvertito capogiri e nausea, in seguito ad una fuga di…

Il 5 aprile 2011, tra le 17:30 e le 18:00, una ventina di operai della Elbe Italia Sud srl – una fabbrica vicina al Centro oli di Viggiano – hanno avvertito capogiri e nausea, in seguito ad una fuga di gas dallo stabilimento dell’Eni, nel cuore della Val d’Agri. La multinazionale di San Donato Milanese smentisce categoricamente l’accaduto e la Regione annuncia “la costituzione di una Commissione d’inchiesta interna con il compito di appurare la verità sui casi di intossicazione” costituita “da esponenti dei dipartimenti Ambiente e Salute”. Intanto gli intossicati restano sotto stretta osservazione e nella serata di ieri l’ufficio stampa della Regione Basilicata annuncia addirittura i primi dati della Commissione, i quali parlano di un livello di H2S presente nell’aria di un terzo della soglia stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

A fronte di questo ennesimo incidente petrolifero avallato con le teorie istituzionali del “tutt’apposto” la OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista) – premettendo che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) stabilisce che le emissioni di H2S non debbano superare i 0,005 ppm (parti per milioni) mentre, in Italia, alle società minerarie (Centro olio Eni di Viggiano compreso), vengono concesse emissioni 6 mila volte superiori, fino a 30 ppm – rigetta perentoriamente ogni affermazione fuorviante che arriva dagli uffici regionali. Vista la dimensione del fenomeno che ha provocato l’intossicazione degli operai distanti almeno 150 metri dal luogo dell’incidente, secondo dati scientifici e gli studi condotti dalla ricercatrice Maria Rita D’Orsogna (esperta di inquinamento da idrocarburi e docente di fisica all’Università statale della California) gli effetti clinici (vomito e malesseri diffusi) manifestati dai lavoratori della Elbe Italia Sud srl, avvengono solitamente a concentrazioni intorno ai 10-100 ppm. Col sospetto che, per intossicare a 150 metri di distanza, la fuoriuscita di particelle, sul luogo della perdita all’interno del Centro olio (fatto questo tra l’altro inspiegabilmente non confermato dall’Eni), deve essere stata di molto superiore ai 10-100 ppm.

Da anni cittadini ed associazioni della Val d’Agri denunciano la carenza di centraline di monitoraggio intorno al Centro olio ed, in generale, in tutta la Basilicata e dunque l’impossibilità per l’Arpab (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) e i suoi dati di rilievo di essere attendibile. Per queste ragioni da anni si sollecita una moratoria sulle nuove attività di ricerca ed estrazioni di petrolio in Basilicata chiedendo, oggi ancor più di ieri, cosa accadrà nel prossimo futuro quando il Centro olio dovrà ripulire dallo zolfo e dai mercaptani (altre sostanze altamente inquinanti) non gli 80.000 barili quotidiani di oggi, ma i 175.000 al giorno voluti dal governatore Vito De Filippo in un clima di concertazione bipartisan, per una scelta energetica fossile che porta vantaggi solo alle compagnie minerarie e non certo alla collettività lucana. Una scelta che si traduce in rischi aggiuntivi per la salute che sono confermati da questo ennesimo incidente, noti da tempo, già dal rapporto Basilicata Sanità del 2000, quando in Val d’Agri si rilevarono patologie cardio-respiratorie civette intorno al 44%, contro un 19% tra i cittadini nel resto della regione (indagine medica poi impropriamente sospesa).

Sempre gli attivisti della OLA ricordano alle forze politiche lucane, “spesso in un imbarazzante silenzio democratico in tema di effetti collaterali della filiera del petrolio” che da tempo si battono “affinché in Italia e in Basilicata si adeguino, ai minimi valori europei e dell’OMS, i livelli di inquinanti dell’aria, della terra e delle acque emessi da industrie e società minerarie”. Ma le risposte non ci sono mai state, nemmeno quando nel corso della conferenza su Petrolio e Ambiente organizzata da Eni e Regione (Copam 2011, ndr) veniva chiesto “un giudizio sulle emissioni elevate del Centro olio di Viggiano in difformità da quanto stabilito dal’OMS”.

L’incidente del 5 aprile 2011 arriva a pochi giorni dall’aggiornamento dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) rilasciato dalla Giunta regionale – con Deliberazione n.313 – proprio al Centro olio incidentato. AIA, valida per altri sei anni, che non comprenderebbe l’incremento di emissioni di sostanze inquinanti conseguenti al previsto aumento di produzione del greggio. Eni, infatti, prevede un ampliamento del Centro, suscettibile di causare incidente rilevante, in base alla normativa Seveso. Ritorna così di forte attualità il problema della sicurezza di tutti gli impianti e pozzi attivi dell’indotto petrolifero e l’incompatibilità con Parchi e territorio. In proposito Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani, ricorda come il presidente Vito De Filippo “oltre ad istituire una commissione d’inchiesta sulla vicenda, dovrebbe riflettere sull’impatto che le attività estrattive producono sulla salute dei residenti della Val d’Agri e sull’ambiente”, perché “gli interessi dell’Eni, della Total e della Shell mal si conciliano con la tutela della salute, dell’ambiente e delle preziose risorse idriche lucane. La Commissione d’inchiesta la si faccia per indagare a fondo sui danni prodotti dalle estrazioni”.

 

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