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Proactiva Open Arms: un occhio scomodo sul Mediterraneo

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“L’associazione per delinquere ipotizzata dalla Procura di Catania è paradossale e è infamante”, spiega Alessandro Gamberini, avvocato della Ong spagnola accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E la contestata violazione del codice di condotta “non vuol dir nulla”. I prossimi giorni decisivi per il dissequestro della nave a Pozzallo

Per il sostituto procuratore di Catania, Fabio Regolo, non ci sarebbero dubbi sulla contestazione del reato di immigrazione clandestina in associazione a carico del capitano, del capo missione e del coordinatore generale dell’ong ProActiva Open Arms. Del resto, ha scritto il pm negli atti d’accusa, sarebbero stati i tre a continuare “arbitrariamente” la ricerca e il soccorso in mare di oltre 200 migranti nonostante la “Guardia Costiera Libica” -le maiuscole sono del magistrato- avesse “assunto il comando e quindi la responsabilità” delle operazioni. Il tutto in acque e (quindi zone) che secondo il procuratore erano di competenza Search and Rescue (SAR) libica. Dunque, iscrizione nel registro degli indagati e sequestro preventivo dell’imbarcazione nel porto di Pozzallo.

Ci ha già pensato l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) a smontare l’impianto di Catania: “Anche in ragione della mancanza di adeguati requisiti per essere riconosciuta dall’International Maritime Organisation (IMO) si deve ritenere che un’area SAR libica non esista”. Ma il risultato di rimuovere (per il momento) uno dei pochi occhi rimasti aperti sul Mediterraneo è stato in parte raggiunto. Il provvedimento del Pm, in questo senso, “parla”: i libici avrebbero chiesto “esplicitamente e per iscritto di non voler nessuno nella zona teatro dell’evento per garantire la sicurezza delle fasi di soccorso”. Ragione smentita dalle immagini di Xavier Bertral e della giornalista di Ara.cat Cristina Mas poi rilanciate da Repubblica.it: “Dateci i migranti o vi uccidiamo” nella realtà, che diventa “voler garantire la sicurezza delle fasi di soccorso” nell’atto del pm.

Riccardo Gatti, già capo della missione dell’Ong spagnola, l’ha sempre ripetuto in passato, ai media o durante le tante iniziative pubbliche alle quali ha preso parte in giro per l’Italia. “Ci fanno la guerra perché siamo lì”. Lo ripete anche oggi, rientrato a Roma, mentre annoda la cravatta in vista della conferenza stampa indetta dal senatore Luigi Manconi insieme a Oscar Camps, fondatore della Ong spagnola. Prima si è tentato con il fango sui finanziamenti, sulle bandiere di Paesi non collaborativi, poi con gli accordi sottobanco con gli scafisti, poi con i sospetti di patti a danno degli italiani con chissà quale altro Stato straniero.

“Non sussistendo la responsabilità di alcuno Stato sull’area del mar libico a Sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia -ha chiarito Asgi- la prima centrale MRCC contattata ha la responsabilità giuridica di attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo e per condurli in un porto sicuro”.

L’avvocato Alessandro Gamberini del foro di Bologna tutela l’Ong e ha da poco terminato di scrivere una lunga memoria. È in treno verso Roma, giovedì 22 marzo scenderà a Catania. “L’associazione per delinquere ipotizzata dalla Procura di Catania è paradossale ed è infamante come tale. Noi ora siamo impegnati a cercare di evitare la convalida del sequestro, o comunque se venisse anche convalidato a impugnarlo al Tribunale del riesame. Battagliando sul tema della competenza territoriale”. In che senso? “Quello che trascina la competenza a Catania, alla Direzione distrettuale antimafia e quindi alla competenza del procuratore capo Carmelo Zuccaro, è l’aver ‘inventato’ un’imputazione che non sta né in cielo né in terra. Se non ci fosse stata questa, infatti, il tutto sarebbe rimasto di competenza della Procura di Ragusa. Il tema quindi è far tornare la competenza nell’alveo fisiologico e ottenere il dissequestro della nave”.

Nella sua memoria si concentra sulla Libia, protagonista dei passaggi più “raccapriccianti” (Gamberini) del provvedimento di Regolo. “Su questo ho citato miriadi di valutazioni di organismi internazionali sulle condizioni dei migranti in Libia, non ultima Amnesty International, dichiarazioni che sono nel giudiziario oggi filtrate attraverso una sentenza della Corte d’Assise di Milano del dicembre 2017 o quelle dei lavori del Tribunale permanente dei popoli -che è un organismo dalla valenza più politica che giurisdizionale ma che ha forte peso in questo campo-, e poi ancora valutazioni che già avevano fatto parte di una lunga relazione fatta dalla commissione del Senato nel 2017”. A questo si aggiunge l’ultimo rapporto Onu di cui ha scritto Avvenire il 20 marzo.

Avvocato, la tesi degli accusatori è che ProActiva non si è rivolta al proprio Stato di bandiera, la Spagna. “La pretesa che i tre dovessero rivolgersi allo Stato di bandiera -e cioè andare in Spagna- non sta in piedi: ci sono norme che implicano l’obbligatorietà di dare soccorso e di darlo nel luogo sicuro più vicino, senza deviare in altri posti di altra natura, in particolare quando ci sono navigazioni complesse e che mettono a rischio la vita di chi è a bordo”. Dov’è il dolo? “Non lo vedo. Semmai noto un’infondatezza radicale rispetto al presunto dolo di immigrazione clandestina, quando in realtà quello in discussione è il dolo di soccorrere ed evitare che questi poveracci andassero incontro a dei problemi, punto e basta”. Il pm sottolinea la violazione del cosiddetto “codice di condotta” per le Ong, che ne pensa? “Che non vuol dir nulla. Il codice di condotta italiano non è una fonte che ha rango normativo legale sulla cui inosservanza si possa invocare come presupposto la violazione di una norma penale”. Della stessa idea anche Gianfranco Schiavone (ASGI): “La cosa che ha dell’incredibile per un magistrato è che il codice di condotta viene trattato come se fosse una norma violata, e invece non è nulla”.

C’era il pericolo che la “libera disponibilità” della nave, secondo il pm, potesse “aggravare e protrarre le conseguenze del reato”. Anche questa tesi è particolare. “Non c’è nessun pericolo di proseguimento della condotta -spiega Gamberini-. Che pericolo c’è oggi che quei migranti sono sbarcati? Come dire: semmai ci fosse stata, la frittata sarebbe stata già fatta; poi vedremo se è una frittata fatta male, ma non c’è alcuna ragione di bloccare la nave. Le cose che ha fatto le ha fatte, punto e basta”.

Il giudice per le indagini preliminari di Catania ha dieci giorni per poter convalidare il sequestro. “Mi recherò lì domani (giovedì 22 marzo) -conclude l’avvocato Gamberini-. Mi auguro che la decisione non precipiti prima”.

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