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Diritti / Attualità

“Prima le persone”: a Udine contro l’odio, il razzismo e i respingimenti dei migranti

Sabato 26 settembre oltre 60 associazioni scendono in piazza contro le politiche sull’immigrazione della Regione e del governo. Riammissioni illegali al confine italo-sloveno, smantellamento dell’accoglienza diffusa e ricorso ai Cpr. In Friuli-Venezia Giulia la situazione è “preoccupante”

“La situazione in Friuli-Venezia Giulia è preoccupante. Sul confine con la Slovenia continuano i respingimenti dei richiedenti asilo. Sul resto del territorio è stato smantellato il sistema dell’accoglienza diffusa, sostituito da strutture degradate e inadeguate dove i migranti vengono isolati. Un corto circuito che allarma e su cui è necessario riportare l’attenzione di tutti”. Gianfranco Schiavone, vice-presidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), parte dalla “drammatica” situazione nella Regione per parlare della manifestazione “Prima le persone” prevista sabato 26 settembre a Udine (alle 16.30 in piazza Primo maggio). Un appello lanciato dalla Rete diritti accoglienza solidarietà internazionale al quale hanno già aderito 60 associazioni, per mettere in evidenza le profonde criticità delle scelte in materia di politiche migratorie fatte dalle amministrazioni locali e dal governo.

Proprio Udine è un esempio della gestione dell’accoglienza da parte della Regione. Per decisione della prefettura locale, 30 persone provenienti dalla rotta balcanica, arrivate in città lo scorso 5 settembre, sono state costrette a effettuare la quarantena su due autobus parcheggiati nel parco cittadino di Sant’Osvaldo. Per il tempo previsto dall’isolamento Covid-19 non hanno potuto allontanarsi dal mezzo e hanno avuto a disposizione solo due bagni chimici e una pompa per lavarsi. Grazie all’intervento delle associazioni locali, un autobus è stato svuotato e le persone trasferite in altre strutture. “Ma il caso vergognoso non è finito. Nonostante le rassicurazioni del ministero dell’Interno, giovedì 17 settembre altri richiedenti asilo sono stati collocati negli autobus. Una beffa perché nella Regione ci sono strutture che potrebbero essere utilizzate per ospitare persone in isolamento fiduciario”, commenta Schiavone. “Nè ci sono motivazioni di sicurezza o di ordine pubblico per giustificare questa misura. A Udine non c’è nessuna emergenza ma una situazione gestibile. Anche se la città si è trovata di fronte a una situazione inedita finora, non mancano gli strumenti per poterla affrontare in modo dignitoso per le persone. Eppure non sta accadendo. È il segno del degrado sociale e politico che si è raggiunto nel Friuli-Venezia Giulia”.

Un sistema di mala gestione che negli ultimi anni ha portato allo smantellamento progressivo del sistema dell’accoglienza diffusa, sostituito da caserme e grandi strutture “concentrazionarie”, come le descrive Schiavone, senza alcun legame con il territorio, dove ai richiedenti asilo non è garantito alcun processo di inserimento, corsi di italiano o di qualificazione professionale. Sempre a Udine è il caso della ex caserma Caverzani, utilizzata per “accogliere” chi proviene dalla rotta balcanica dal 2015. A luglio nella struttura si trovavano 400 persone e, dopo alcuni casi di positività a Covid-19, il sindaco Pietro Fontanini (Lega) l’aveva dichiarata zona rossa. Per un mese nessuno è entrato o uscito. “In questo modo si alimenta la percezione sociale negativa dei richiedenti asilo perché si trasmette il messaggio che ci troviamo di fronte a una ‘bomba sociale e sanitaria’. Ma si stanno solo occultando le scelte irrazionali che hanno portato all’attuale situazione e gli errori di fondo nel volere confinare i migranti in strutture che sono luoghi di confinamento”, prosegue Schiavone. È anche il caso del Centro per la permanenza e il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo: riaperto nel dicembre 2019 nella stessa struttura che ospitava il Cie, al suo interno si sono ripresentate le stesse situazioni di degrado e in sei mesi due persone hanno perso la vita.

“La manifestazione serve a evidenziare tutto questo. Non solo per spingere il dibattito pubblico verso una maggiore umanità ma per capire le scelte irrazionali che hanno portato all’attuale situazione. A partire da quello che succede al confine”, afferma Schiavone. Da maggio sulla frontiera, in particolare a Trieste, le autorità italiane hanno aumentato i “respingimenti” e le “riammissioni informali” di migranti e richiedenti asilo verso la Slovenia da dove sono respinti a catena in Croazia e Bosnia ed Erzegovina, esposti a trattamenti inumani e degradanti lungo la rotta balcanica. Secondo la prefettura di Trieste, l’indicazione sarebbe giunta da una circolare del ministero dell’Interno firmata da Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto della ministra Lamorgese e da agosto nuovo prefetto di Roma. “Il confine è diventato quasi ‘un luogo di battaglia’ -commenta Schiavone- con l’esercito e le forze dell’ordine schierate con lo scopo dichiarato di fermare i richiedenti asilo, ben sapendo che i loro respingimenti sono vietati dalla normativa internazionale”.

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