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Economia / Opinioni

Previsioni di crescita “gonfiate”. Da che cosa dipende il vizio governativo

Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e il commissario europeo Pierre Moscovici - @ EU Council Eurozone

Le stime formulate dall’esecutivo di Matteo Renzi si sono recentemente scontrate, tra gli altri, con quelle dell’Ufficio parlamentare di Bilancio. Non è la prima volta che vengono commessi “errori” di programmazione di questa natura. E non solo da questo Governo. Per capirne le motivazioni occorre guardare anche alle “valutazioni” europee. L’analisi del professor Alessandro Volpi

Le recenti previsioni di crescita del Pil, formulate dal Governo, sono state oggetto di diversi rilievi perché ritenute troppo ottimistiche. Le riserve più significative sono provenute dall’Ufficio parlamentare di Bilancio che, per la prima volta da quando è stato istituito nel 2012, ha chiesto ulteriori chiarimenti rifiutando la propria “bollinatura”.

In realtà il tema della scarsa attendibilità delle previsioni economiche contenute nei diversi strumenti di programmazione pubblica non rappresenta una novità. Negli ultimi quindici anni, infatti, fatta eccezione per  il 2006 e il 2010, le stime formulate dai vari governi sono risultate decisamente più alte rispetto all’andamento effettivo del Pil; in alcuni casi, la differenza tra la stima e la realtà è stata persino imbarazzante. Così è avvenuto nel 2002, quando lo scarto tra le previsioni e il dato reale è stato di quasi due punti in meno, o nel 2009 allorché, a fronte di una stima del +0,9, si è registrata una recessione del 5,5, oppure nel 2013 con una previsione positiva dello 0,5 e un dato reale del -1,7. Più in generale, nel periodo compreso tra il 2002 e il 2016, secondo le stime dei vari governi il Pil italiano sarebbe dovuto crescere del 21,4% mentre, in concreto, la crescita reale è stata solo dell’1,7, con una pesantissima differenza di quasi venti punti percentuali.

Come mai sono stati possibili simili errori? Una prima risposta può essere costituita dall’estrema difficoltà di fare previsioni in un quadro macroeconomico così veloce e così complesso come quello generato dalla finanziarizzazione dominante. In questo senso è utile ricordare che sono risultate sbagliate tutte le previsioni fatte non solo dai governi, ma anche da Banca d’Italia, da Confindustria, dal Fondo monetario e dall’OCSE, che, pur essendo l’organismo più preciso nelle stime, ha comunque immaginato una crescita italiana di oltre 10 punti più alta dal 2008 al 2014. Il nodo centrale però è un altro. Come mai le previsioni sono state sbagliate, indistintamente da tutti i governi italiani, senza alcuna rilevanza del colore politico, tecnici compresi, gonfiando le stime al rialzo? E come mai nel caso italiano le previsioni sono risultate molto più errate rispetto a quanto avvenuto in Francia e in Germania, dove gli scostamenti sono stati di diversi punti inferiori? La risposta è rintracciabile nella evidente, maggiore dipendenza italiana dai vincoli europei e dai margini di flessibilità sui conti pubblici. Il problema vero nelle previsioni del governo italiano non si materializza nella definizione dello scenario tendenziale contenuto nel Documento economico e finanziario (Def), ma in quello programmatico. In altre parole, il governo fornisce una stima di crescita tendenziale, basata su dati molti vicini alla realtà, che poi ‘corregge’ con una stima programmatica, decisamente più ottimistica, legata agli effetti della manovra finanziaria e delle varie riforme in cantiere, destinata ad essere spedita alla Commissione europea per ottenere il via libera alla manovra stessa e alla richiesta di margini di flessibilità; l’obiettivo è quello di riuscire a rendere meno pesante la manovra stessa.

È qui che nasce spesso l’errore, dettato dall’esigenza di ridurre al minimo i sacrifici chiesti dall’Europa, le cui valutazioni si radicano proprio sulla stima del rapporto fra debito pubblico e Prodotto interno nominale, quello, appunto, basato sulla crescita programmatica e non su quella tendenziale. Per un Paese come l’Italia, dove il debito è stabilmente stellare, fare previsioni ottimistiche e, sulla scorta di queste, ottenere il via libera europeo, diventano dunque condizioni essenziali, al di là di ogni retorica politica del momento e della volontà di raccogliere immediati consensi. Purtroppo però una simile prassi tende a provocare una crasi sempre più marcata fra previsione e realtà che rischia di indebolire la credibilità del paese e sopratutto incontrerà censure di intensità crescente persino dagli uffici interni come è avvenuto nel caso dell’ufficio parlamentare di bilancio, con un inasprimento ulteriore dello scontro politico. In maniera paradossale l’Europa costringe ad artifici, e ad una buona dose di bugie, per ridurre l’impatto dei vincoli, con l’unico effetto però di annebbiare ulteriormente l’idea stessa di Europa.

Alessandro Volpi, Università di Pisa

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