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Economia

Precari per contratto – Ae 72

Un’asimmetria insostenibile tra dipendente e datore di lavoro. Una questione di democrazia, spiega Philippe Frémeaux, direttore del mensile francese Alternatives Economiques Ci sono voluti due mesi di mobilitazioni per far cambiare idea al primo ministro francese, ma alla fine i…

Tratto da Altreconomia 72 — Maggio 2006

Un’asimmetria insostenibile tra dipendente e datore di lavoro. Una questione di democrazia, spiega Philippe Frémeaux, direttore del mensile francese Alternatives Economiques

Ci sono voluti due mesi di mobilitazioni per far cambiare idea al primo ministro francese, ma alla fine i manifestanti hanno avuto la meglio: il 9 aprile Dominique de Villepin ha ritirato la proposta di un “contratto di primo impiego” (Cpe, contrat de première embauche), contratto che permetteva ai datori di lavoro di licenziare senza giusta causa i giovani sotto i 26 anni. “Mobilitarsi serve” spiega Philippe Frémeaux, direttore di Alternatives Economiques (www.alternatives-economiques.fr), mensile che dal 1980 pone l’accento sugli effetti sociali dell’economia e che oggi vende oltre 100 mila copie.

Due mesi di manifestazioni e di scioperi, con l’adesione di due terzi delle università francesi, tra cui anche l’illustre Sorbonne di Parigi, di quasi trecento licei sparsi in tutta la Francia e della totalità dei sindacati, hanno mosso le istituzioni.

È confortante vedere che anche i giovani, considerati chiusi nell’individualismo, sono stati in grado di scendere in piazza.

Questa legge minava un principio base del diritto del lavoro: la facoltà di licenziare non può essere arbitraria.

Tecnicamente, che cos’era il Cpe?

Era un contratto simile al contratto a tempo determinato, con una sola caratteristica: il datore di lavoro poteva licenziare quando voleva anche senza motivo. Si rivolgeva a tutti i lavoratori con meno di 26 anni e aveva durata massima di due anni. Per il giovane dipendente non vi era alcuna garanzia di essere assunto alla fine del percorso. Al momento del licenziamento riceveva una liquidazione.

Gli imprenditori avevano però assicurato che non l’avrebbero usato per licenziare senza motivo ma solo per aumentare la flessibilità…

Sì, è vero, gli imprenditori hanno assicurato che non era loro obiettivo licenziare. D’altra parte chiedono il diritto di poter rompere il contratto in ogni momento e si aspettano che i giovani credano nelle imprese e si fidino di loro. Ma il Cpe creava un’asimmetria totale, in cui di fatto il datore di lavoro poteva chiedere ciò che voleva e il salariato non aveva alcuna garanzia sulla durata della collaborazione. Il rapporto di lavoro nasce come rapporto ineguale. Il diritto cerca di correggere il potere del datore di lavoro sul dipendente proprio limitando l’arbitrarietà della sua azione e riconoscendo alcune garanzie per lavoratore. Questa legge doveva essere ritirata non per motivi economici, ma per una questione di democrazia.

Per migliorare questa legge sarebbe stato sufficiente aumentare i sussidi di disoccupazione, come aveva proposto lo stesso de Villepin?

Si ritorna sempre sulla stessa questione. Avere uno Stato sociale molto generoso come nei Paesi del Nord sicuramente aiuta, ma non risolve la questione centrale: il datore di lavoro non può avere un potere assoluto sui suoi dipendenti. In Danimarca, ad esempio,

le imprese non sono obbligate a versare la liquidazione ai lavoratori, licenziare non costa niente, ma esiste un accordo con i sindacati che impone di fornire sempre la motivazione

del licenziamento.

Ma si può pensare a una riforma del mercato del lavoro?

Non ho paura a dire che secondo me il mercato del lavoro in Francia dovrebbe essere più flessibile.

Ma riformare, in Francia come in Europa, non può voler dire una regressione dei diritti: deve essere un cambiamento basato sulla negoziazione, sul consenso di parti sociali che non hanno sempre i medesimi interessi.

Se si vuole aumentare la flessibilità si può abbassare il costo della liquidazione dell’impresa, ma al lavoratore deve essere offerta una contropartita: ad esempio un miglior sistema formativo, dei percorsi che gli permettano di trovare l’occupazione che cerca e uno sistema sociale che si faccia carico del periodo di inattività.

Con la concorrenza dei Paesi del Sud e dell’Est del mondo, le delocalizzazioni, la globalizzazione

e il libero scambio dobbiamo rassegnarci all’erosione del modello di Welfare?


Oggi credo ci sia una grande strumentalizzazione dell’apertura economica per giustificare misure regressive, che rompono la solidarietà tra cittadini. Viviamo in Paesi molto ricchi, basta farsi una passeggiata a Parigi, o a Roma, la ricchezza spunta da ogni angolo. Macchine di lusso, ristoranti in cui non si capisce come si possa pagare il conto, vini da 150 euro alla bottiglia… Chi compra queste cose? I soldi ci sono. Ma poi si va dai più poveri a dire loro “state troppo bene, bisogna diminuire i vostri diritti”. La gente non accetta questo e scende in piazza.

Ma c’è anche un altro rischio: tutto ciò alimenta anche la nascita degli estremismi.

Si riferisce anche al “no” alla Costituzione europea al referendum?

Certamente, ma non solo. Anche la vittoria del Front National (partito di estrema destra, ndr) alle presidenziali in Francia e la rinascita in tutta Europa di partiti, di sinistra e di destra, che propongono la chiusura delle frontiere. Se si dice “bisogna accettare la precarietà per stare in Europa e per

la globalizzazione”; non ci si può stupire poi che vinca il no alla Costituzione Ue.

Al posto di affrontare le difficoltà interne con un sistema più solidale che rafforzi i legami interni della società, si dice “è colpa degli altri”. Ma non è anche colpa di una sorta di individualismo moderno, in cui ognuno pensa per sé, preferisce non avere vincoli e promuove un’idea

di libertà un po’ opportunista?


Secondo un’inchiesta di Alternatives  Economiques, il motto dell’individualismo moderno potrebbe essere “ad ognuno la sua scelta”, piuttosto che “ognuno per sé” nel senso della lotta di tutti conto tutti. La società francese contemporanea ad esempio ha interiorizzato il motto “liberta, uguaglianza, fratellanza”, nella convinzione che un essere umano rimanda sempre ai diritti di un altro essere umano. Se si legittimano privilegi o ineguaglianze tra cittadini, la gente

le sa riconoscere e scende in piazza. Nella vita moderna è vero che c’è meno aggregazione. Ma nello stesso tempo si ha un’idea chiara di ciò che giusto.

Da 26 anni l’alternativa parla francese

Alternatives Economiques nasce come bimestrale nel novembre 1980 e si propone fin da subito di osservare i meccanismi economici e del mercato con uno sguardo diverso: l’attenzione è infatti posta sugli effetti dell’economia sulla società e sulle persone. Il linguaggio è semplice e divulgativo, senza perdere il rigore analitico. Il pubblico apprezza l’esperimento: oggi la rivista è un mensile che vende più di 100.000 copie. La casa editrice è una cooperativa indipendente, la redazione è a Parigi.  www.alternatives-economiques.fr

Una sconfitta per il Primo ministro

Il Cpe (contrat de première embauche – contratto di primo impiego) è stato ideato

dal primo ministro francese Dominique de Villepin (nella foto) per favorire l’assunzione

di giovani.

La legge prevedeva la possibilità per l’impresa di licenziare nel corso dei primi due anni

di lavoro i dipendenti con meno di 26 anni, senza addurre motivazioni. In base agli altri contratti francesi, invece, è obbligatorio per chi assume fornire la causa della fine

del rapporto di lavoro. Ed è proprio su questo punto che si è incentrata la rivendicazione

degli studenti e dei sindacati: secondo i manifestanti per licenziare bisogna fornire una motivazione, altrimenti il lavoratore è alla mercé del suo “padrone”. Dopo le imponenti manifestazioni, la proposta di legge è stata ritirata il 9 aprile. In Francia è disoccupato

il 21,6% della popolazione attiva maschile sotto i 25 anni, il 26,4% di quella femminile.

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