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Ecco le nuove filiere del pomodoro: solidali, trasparenti, biodiverse

Anche l’estate 2018 è stata segnata da fatti drammatici nelle campagne del nostro Paese. Dalla Campania alla Brianza, viaggio tra i progetti che coltivano giustizia, per offrire un’alternativa bio ed equa alla Grande distribuzione organizzata

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018

Dalle passate al futuro, il passo è breve. Soprattutto se gli ingredienti lungo il percorso sono trasparenza, solidarietà e biodiversità: i tre pilastri su cui poggia “La buona terra”, un progetto di agricoltura sociale avviato in Campania dalla scorsa primavera per sostenere filiere agricole eque. La Campania è “il maggiore bacino di produzione di pomodoro trasformato, sia per numero di aziende (65 stabilimenti su 110 italiani sono campani), sia per fatturato: 1,5 miliardi di euro su un giro d’affari nazionale di 3,1 miliardi”, dice l’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali. E proprio sull’oro rosso “La buona terra” ha iniziato il suo primo progetto di rete, per coltivare pomodoro biologico, pagato il giusto agli agricoltori, da trasformare in laboratori artigianali locali e distribuire sul territorio nazionale attraverso i circuiti dell’economia solidale.

Sono cinque le realtà unite nell’associazione temporanea di scopo “La buona terra campana”: l’associazione Altro Modo Flegreo di Pozzuoli (NA), l’azienda agricola Luigi Daina a San Marzano sul Sarno (SA), “L’orto conviviale” di Miriam Corongiu a Sant’Anastasia (NA), la cooperativa sociale Stalker di Eboli (SA) e l’associazione “Effetto larsen” di Castelvolturno (CE), che gestisce dei terreni confiscati alla camorra a Cancello ed Arnone (CE). Su 2mila metri quadrati di queste terre liberate, si coltivano 5mila piante di pomodoro bio della varietà Vesuvio tondo per circa 100 quintali di frutti, trasformati in passata dalla cooperativa “Al di là dei sogni” di Sessa Aurunca (CE, coopaldiladeisogni.it). Altre 7.500 piantine di pomodoro delle varietà San Marzano e Corbarino sono state messe a dimora su 3mila metri quadrati dell’azienda Daina, per 150 quintali di prodotto fresco trasformati dall’azienda agroalimentare Saf sas, a Castel San Giorgio (SA).

Su 1.200 metri quadrati di terra de “L’orto conviviale” -accanto al “giardino degli alberi dimenticati”, con piante come il pero cotogno, l’azzeruolo, il corbezzolo- 4.800 piantine di pomodoro del Piennolo sono cresciute nell’orto. “È una varietà tipica del Vesuvio, zuccherina”, racconta Miriam Corongiu. Il raccolto è stato di quasi 20 quintali e si sta trasformando nel laboratorio “Antichi sapori”, a Somma Vesuviana (NA). Da tre anni Miriam gestisce con il marito “L’orto conviviale”, il cui nome è una dedica a Ivan Illich: “Diceva che la convivialità è l’unica arma contro l’industrializzazione -spiega lei-. Abbiamo fatto nostro questo invito, coltivando relazioni per la tutela della terra”. Per raccogliere il pomodoro de “La buona terra”, l’azienda di Miriam (come le altre aderenti alla filiera) ha ospitato dei lavoratori migranti, pagati il giusto in base a un regolare contratto. Secondo Anicav, ogni anno nelle aziende di trasformazione del pomodoro campane vengono avviati al lavoro circa 12mila stagionali, su 20mila impiegati a livello nazionale. “Non si tratta solo di vendere i pomodori a un prezzo dignitoso -aggiunge Miriam-, ma di trovare delle strategie comuni per uscire dalla grande distribuzione, che alimenta il caporalato con la logica del sottocosto”.

Un altro punto di forza del progetto, infatti, sta nella distribuzione dei prodotti, organizzata grazie a un patto di economia solidale stretto con il Distretto di economia solidale (Des) della Brianza. Così, se dal campo al vasetto la filiera resta nel giro di 200 chilometri, per arrivare alla tavola ne fa altri 800, ma entro circuiti solidali. “In base al patto, abbiamo prefinanziato al 40% l’acquisto di 5mila vasetti, per 4.800 euro”, spiega Roberto Bossi del DesBri. Il restante 60%, fino ad arrivare ai 12mila euro riconosciuti ai produttori, sarà pagato al momento della consegna, prevista per la fine dell’anno. Il DesBri ha deciso di investire energie in questo progetto di cooperazione per “contribuire a ricostruire una filiera etica del pomodoro, dando visibilità a piccoli produttori bio”, con un progetto prima di tutto “politico, inserito in un percorso di consapevolezza” che dura da più di dieci anni per i Gruppi d’acquisto solidale brianzoli. 700 grammi di passata costano al Des 1,94 euro, ma il prezzo finale ai Gas è di 2,22 euro: la differenza di 28 centesimi a vasetto copre le spese sostenute dal Des per il magazzino e la distribuzione e l’1% destinato a un fondo di solidarietà, che per quest’anno sarà devoluto al Tavolo Res, che rappresenta il movimento dell’economia solidale nazionale.

“Non si tratta solo di vendere i pomodori a un prezzo dignitoso ma di trovare delle strategie comuni per uscire dalla grande distribuzione” – Miriam Corongiu

L’Italia è il terzo trasformatore di pomodoro del mondo (dopo Stati Uniti e Cina), ma questa è solo una delle filiere insostenibili per le dure condizioni di vita dei braccianti agricoli in sud Italia. Nel report “Sfruttati”, pubblicato da Oxfam Italia e Terra! lo scorso giugno, emerge come nel 2015 fossero 430mila i lavoratori irregolari in agricoltura e potenziali vittime di caporalato, e 100mila i lavoratori in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità. Di questi, l’80% erano cittadini stranieri; il 42% donne. “È una fase pericolosa per la legge sul caporalato (la 199 del 2016, ndr)”, afferma Fabio Ciconte di Terra! onlus (terraonlus.it). Il Governo, infatti, vorrebbe modificare le “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura” attualmente in vigore, “dimenticando che si tratta di una buona legge che ha bisogno di tempo per funzionare al meglio -dice Ciconte-. Sono già in corso diversi processi penali e la legge sta funzionando anche come deterrente: i contratti di lavoro stanno aumentando”. E si moltiplicano anche i progetti dal basso per la giustizia sociale nei campi del sud Italia. “In Campo! Senza caporale” è il nuovo percorso di Terra! dedicato alla formazione e all’inserimento lavorativo per i lavoratori migranti che vivono nei ghetti attorno a Cerignola (FG).

A Cerignola (FG) “Ciascuno cresce solo se sognato” è anche un ciclo d’incontri. Il 14 settembre è in programma l’ultimo appuntamento con Gianni Bianco, giornalista, e Giuseppe Gatti, sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione distrettuale Antimafia di Bari.

“Vogliamo dimostrare che è possibile avere una vita dignitosa anche lavorando nei campi”, dice Ciconte. Tre aziende agricole e due cooperative sociali stanno accogliendo dieci ragazzi tra i 24 e i 33 anni, del Ghana, Senegal, Togo e Burkina Faso: grazie a un contributo di 145mila euro dal fondo di solidarietà di Intesa Sanpaolo spa, hanno una borsa lavoro retribuita per dieci mesi e il raccolto sarà trasformato e messo sul mercato per avere i fondi necessari a dare continuità al progetto il prossimo anno.

La cooperativa sociale “Pietra di scarto” di Cerignola (FG) -che dal 2010 gestisce tre ettari di terreno confiscato alle mafie e un bene dedicato a Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia assassinato il 31 marzo 1995-, ospita uno dei ragazzi del progetto “In Campo!”: Yusuf, nato in Ghana 22 anni fa. Qui si coltivano olive della cultivar “Bella di Cerignola” e ortaggi, tra cui i pomodori: dal 2013 la cooperativa ne fornisce 500 quintali all’anno ad Altromercato per la filiera “Tomato revolution”, della linea “Solidale italiano”, che coinvolge quattro cooperative e 30 piccole aziende del Sud nella produzione di 100mila vasetti l’anno (la passata da 400 grammi costa in bottega 1,95 euro).

La filiera “Tomato revolution”, della linea “Solidale italiano” (Altromercato), coinvolge 4 coop e 30 piccole aziende del Sud nella produzione di 100mila vasetti l’anno

Altromercato è partner di “Pietra di scarto” anche in un altro progetto di filiera equa e solidale del pomodoro, dal titolo “Ciascuno cresce solo se sognato” (citazione di Danilo Dolci), sostenuto da “Fondazione con il Sud” con 319mila euro. L’obiettivo è ristrutturare il bene confiscato per convertirlo in un laboratorio per la trasformazione del pomodoro, creando così nuove opportunità per i lavoratori del territorio di Foggia. “Chiudendo il ciclo produttivo potremo creare una filiera che valorizzi sia i piccoli produttori che i lavoratori agricoli stagionali, italiani e stranieri”, spiega Pietro Fragrasso di “Pietra di scarto”. Per aumentare i volumi di produzione, con l’aiuto di Flai Cgil Foggia e Allpa Puglia, “si sta creando una rete di 15 produttori locali, che contribuiranno a creare condizioni di lavoro tutelate per la manodopera impegnata nella raccolta”. E mentre la comunità locale viene coinvolta con momenti di informazione e produzione condivisa, nascono nuove relazioni sul territorio: sei donne saranno formate per imparare a produrre la passata, in collaborazione con il Centro antiviolenza “Titina Cioffi” di Cerignola.


Altre filiere solidali del pomodoro

Puglia: “Sfruttazero”, un progetto nato nel 2014 per rivendicare i diritti dei braccianti agricoli, dalle associazioni Solidaria e “Diritti a Sud”, che coltivano 4 ettari di pomodoro a Bari e Nardò (LE). La distribuzione della passata (3 euro, 520 gr) è fatta con il sostegno della rete Fuori Mercato, attraverso i Gas e clienti privati. Nel 2017 ha distribuito 17mila vasetti, quest’anno la produzione è stimata in 20mila passate.

Campania: “Funky Tomato” è la società agricola che dal 2015 -in seguito alla morte di Paola Clemente ad Andria (BT) durante la raccolta del pomodoro- ha avviato una filiera etica del pomodoro, dignitosa per i lavoratori e accessibile per i consumatori grazie al metodo del preacquisto (700 gr di passata costano 1,90 euro, 1,50 in preacquisto). Nel 2017 sono stati coltivati 6 ettari in Campania, per 40mila vasetti prodotti. Un progetto anche culturale che è diventato un documentario: “La ricetta”.

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