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Altre Economie / Opinioni

Che cosa insegna la Polveriera di Reggio Emilia

Gli interni della Polveriera di Reggio Emilia

Consumo di suolo zero, inclusione, bellezza, rigenerazione urbana e finanzia etica. L’Italia avrebbe molto da imparare

Tratto da Altreconomia 203 — Aprile 2018

Se dico polveriera, pensate a esplosivi, militari e guerre. A Reggio Emilia invece vuol dire pace, inclusione sociale e rigenerazione urbana. L’ex deposito di munizioni e carri armati è oggi un gioiello di solidarietà, economia sana e luogo per i cittadini. Come altre città, anche Reggio si trova in pancia una tonnellata di aree demaniali e caserme militari di cui non sa che farsene. L’istinto avido della speculazione suggerirebbe di incassare subito (1,5 milioni di euro) in cambio di concessioni edilizie per palazzi trendy e spazi commerciali, utili a qualche elucubrazione finanziaria e architettonica.

A Reggio invece vince l’idea del Pil della città pubblica. Nel 2009 fanno due conti e scoprono che con 4-5 milioni si può recuperare e fare cose più intelligenti e pure più vantaggiose. La sfida viene raccolta. Anziché dividersi in mille fazioni conflittuali, le cooperative del sociale mettono insieme le forze e parte un gruppo virtuoso a cui aderiscono finanziatori, donatori, partner tecnici e istituzionali (lapolveriera.net, consorzioromero.org). Arrivano i 5 milioni e partono i lavori.

A fine 2017, i 2.900 metri quadrati della polveriera tornano alla comunità dei cittadini e inizia una storia urbana dove la fragilità è strappata alla sua sorte grigia. I detenuti lavorano a elementi di arredo assieme ad artigiani esperti. Le donne vittime di tratta ricuciono pezzi della loro vita confezionando magliette e borse sotto la guida di designer di moda. Disabili di ogni disabilità assemblano oggetti per aziende del territorio e lavorano ai servizi che nel frattempo sono nati dentro la polveriera e sono aperti a tutti: bar, ristorante, bottega.

Oltre 1.000 “utenti fragili” coinvolti. Oltre 150 lavoratori (pagati!) tra baristi, cuochi, commessi di negozio, sarti, operatori culturali e sociali, amministrativi. Una cosa, però, mi ha abbagliato: qui tutto è semplicemente e terribilmente bello a partire dai nomi dei progetti di inclusione: semiliberi/cucirepericucire/nessun escluso. La bellezza ti salta addosso appena entri. Davanti a un centro sociale ti aspetti la litania delle cose raffazzonate, degli accostamenti insopportabili ma obbligati dalla mancanza di soldi, delle pareti sporche e scrostate e persino il cattivo odore. E invece qui è di scena il contrario. Qui si è fatta bellezza pubblica.

Gli interni sono disegnati splendidamente da un collettivo molto speciale di designer e non solo, alle pareti oggetti e fotografie d’autore, gli arredi sono delle migliori mani artigiane, le maglie in vendita sono disegnate da stilisti come Marras. La bellezza riscatta la fragilità e nessuno qui è sfigato. La sovversione ha cambiato il paradigma e dimostrato che se si vuole, si può: al diavolo i compromessi dettati dall’avido profitto. Nella ricca Milano di Expo, governata dal suo ex amministratore, il profitto invece è imperativo e con la piazza d’armi e le sue polveriere bisogna farci più soldi possibile: non c’è tempo per visioni alternative e grandi progetti sociali. Se l’Inter se la prende e ci fa la sua bellezza privata, va bene così. E tutti già ne parlano. E i politici ne parleranno.

435  milioni non di euro ma di punti bellezza&felicità dati da: 2.900 (metri quadrati recuperati) x 150 (persone che ora ci lavorano) x 1.000 (utenti fragili salvati dal progetto)

A proposito, perché della Polveriera di Reggio Emilia e del suo successo la politica sta zitta? Perché non si lascia contagiare da quell’esperienza e non contagia i cittadini in ogni comizio, in ogni intervista? Perché Reggio non diviene modello per l’Italia? Dove sta l’inceppamento? Perché un’esperienza di consumo di suolo zero, inclusione, bellezza pubblica, rigenerazione urbana, finanzia etica non diventa subito la cifra di un pensiero politico da diffondere in Italia per renderla più bella, inclusiva e per generare occupazione e felicità? Perché? E poi ci domandiamo quali sono i guasti della classe politica…

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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