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Più naturale di così – Ae 74

Il biogas, ottenuto dalla “digestione” batterica di letame, mais e altre colture, produce metano. Così, sempre più agricoltori e allevatori in crisi pensano di convertirsi all’imprenditoria energeticain inceneritori Mauro Mengoli guarda il vascone di cemento con un sorriso soddisfatto: “Sono…

Tratto da Altreconomia 74 — Luglio/Agosto 2006

Il biogas, ottenuto dalla “digestione” batterica di letame, mais e altre colture, produce metano. Così, sempre più agricoltori e allevatori in crisi pensano di convertirsi all’imprenditoria energeticain inceneritori


Mauro Mengoli guarda il vascone di cemento con un sorriso soddisfatto: “Sono nella cacca”. E per ben mille metri cubi, a voler fare i precisi: la “vasca di stoccaggio” è piena rasa di liquami bovini “digeriti”. La nuova sfida dell’Azienda agricola Mengoli a Castenaso (Bologna) sta qui dentro. Perché è vero, il core business è ancora quello chiuso nella stalla (230 capi di bestiame, di cui 100 in mungitura, che rendono 27 quintali di latte al giorno venduti alla Granarolo per la linea “Alta qualità”), ma il futuro potrebbe essere diverso: quattro anni fa Mauro Mengoli ha iniziato a costruire il suo impianto a biogas e oggi, a partire da liquami animali e da biomassa vegetale, è in grado di produrre energia elettrica e termica.

Una possibilità che -sebbene oggi costituisca ancora una nicchia- sta attirando sempre più l’attenzione di un mondo agricolo in difficoltà.



Per capire come sia possibile ottenere energia rinnovabile dallo sterco di vacca o di maiale, conviene tornare nei pressi della stalla di Mengoli, dove, proprio accanto ai silos in cui viene conservato il foraggio per le bestie, sorgono tre “fermentatori”:

in pratica, due cilindri di cemento da 1.200 metri cubi e uno da mille, chiusi ermeticamente. “Lavorano come degli stomaci”, spiega l’allevatore, che nei fermentatori scarica un mix di letame con mais, patate, cipolle, piselli, polpa di bietole e acqua. Il tutto viene mantenuto in assenza di ossigeno, a una temperatura costante di 36-38 gradi centigradi e rimescolato periodicamente. In questo habitat e grazie all’azione dei batteri “metanigeni” (microrganismi naturalmente presenti nei liquami), si avvia la “digestione anaerobica”, processo da cui si ottiene il biogas, una miscela composta in gran parte da metano (in proporzione variabile tra il 65 e l’80%) e anidride carbonica. Una volta depurato dallo zolfo volatile e dal vapore acqueo che contiene, il biogas viene convogliato ai cogeneratori: motori (due in questo caso) che, come suggerisce il nome, producono energia elettrica ed energia termica. Quel che resta dopo l’intervento dei metanigeni è il “digestato” (cioè la materia organica ormai digerita), che non va perso ma sistemato nella vasca di stoccaggio e, in un secondo tempo, sparso sui campi come fertilizzante.



Quello di Castenaso è un impianto di piccole dimensioni, da 350 kilowatt elettrici di potenza. L’energia prodotta viene utilizzata da Mengoli per alimentare l’impianto stesso, per l’illuminazione e il riscaldamento di casa e stalla (con un risparmio annuo di 14 mila euro e 3-4 mila euro rispettivamente) e, quella elettrica, in gran parte venduta a Enel. “Con una potenza del genere è possibile raggiungere una produzione vendibile pari a 400 mila euro l’anno, considerando anche gli incentivi pubblici dei certificati verdi. Ma io devo ancora andare a regime” (e ammortizzare, tra l’altro, l’investimento di 1,1 milioni di euro).

In prospettiva, però, la produzione di energia potrebbe costituire una valida integrazione al fatturato dell’azienda.

È quel che pensa anche Sergio Piccinini, del Centro di ricerche produzioni animali di Reggio Emilia: “Il settore zootecnico -conferma- può rappresentare la forza motrice per lo sviluppo su larga scala della digestione anaerobica in Italia”.

In altri Paesi europei accade già: per esempio in Germania, dove gli oltre 2.700 impianti di biogas sono in gran parte legati agli allevamenti. Anche se in Europa,

a livello di quantità prodotte, a guidare la classifica è il biogas originato dalle discariche: dei 5 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (tep) prodotte nel 2005, oltre 3 milioni provenivano dai rifiuti. Il resto è ottenuto dalla digestione anaerobica di fanghi da depurazione di acque reflue e, in parte minore, da altre fonti (liquami, scarti di zuccherifici e distillerie, scarti agricoli, “colture energetiche” come mais e sorgo zuccherino). I principali produttori del continente sono Regno Unito (con quasi 1,8 milioni di tep), Germania (1,6 milioni di tep) e Italia (al terzo posto, ma con 376 mila tep).

 

E se per gli allevatori come Mengoli la produzione di biogas è quasi un “effetto collaterale” dell’attività primaria, iniziano già a esserci agricoltori che stanno pensando di convertire parte dei propri terreni alle colture energetiche, sperando che questo possa garantire loro un’alternativa di reddito in tempi che si prospettano sempre più bui per il settore.

È il caso di Enrico Dall’Olio, titolare di un’azienda agricola individuale a Medicina (Bo) e delegato Coldiretti per le energie rinnovabili, che con altri otto “colleghi” ha fondato AgriBioEnergia, cooperativa agricola nata appositamente per produrre energia elettrica e termica da biogas, a partire principalmente da mais e sorgo zuccherino. “In Italia -sintetizza Dall’Olio- nel giro di qualche anno alcune colture verranno ridimensionate. Come il frumento, che costa molto meno in Polonia o Ungheria”. Per gli imprenditori agricoli si prospettano due soluzioni: le produzioni d’eccellenza (cioè i prodotti tipici) e le bioenergie agricole (oltre al biogas, anche biocombustibili come biodiesel o bioetanolo, per esempio). Otto mesi di viaggi e ricerche, di incontri con produttori di biogas tedeschi e austriaci, di riunioni con Coldiretti e Confcooperative, coinvolte nel progetto. Poi il piano economico: “All’inizio avevamo pensato a un impianto da 2 megawatt elettrici -racconta Enrico- ma ci sarebbe costato 5 milioni di euro”. Progetto ridimensionato: un megawatt di potenza e una spesa tra i 3 e i 3,5 milioni di euro, coperti per 400 mila euro dai soci della cooperativa, in parte (forse) da un finanziamento pubblico, e per la quota rimanente dalle banche. Ammortamento in 16 anni. Obiettivo: produrre e vendere a Enel 7 milioni di kilowattora di energia elettrica l’anno per un ricavo, compresi i certificati verdi, di 1,2 milioni di euro. E forse, in futuro, anche l’energia termica: “A Medicina sta per nascere una nuova zona industriale: si potrebbe proporre il teleriscaldamento alle aziende”. Salvo intoppi, la costruzione dell’impianto dovrebbe partire in autunno. Basta trovare il terreno adatto.



Se è agricolo conviene di più

Anche il biogas prospera grazie agli incentivi pubblici: in alcuni Paesi europei il biogas conviene perché lo Stato ha fissato prezzi interessanti per l’energia prodotta a partire da questa fonte. È il caso della Germania, che paga 21,5 centesimi di euro per kilowattora, o dell’Austria dove l’energia viene pagata fino a un massimo di 16,50 centesimi. Ma anche in Italia fare biogas conviene, soprattutto in virtù dei certificati verdi, ma anche perché l’ultima Finanziaria ha permesso di assimilare a reddito agricolo la produzione di bioenergia da parte di aziende agricole, rendendola “praticamente esentasse”, come sottolinea Francesco Cariello dell’Associazione produttori energia da fonti rinnovabili (Aper). Quanto ai numeri, gli impianti di biogas italiani sono difficili da mappare, molti producono energia per autoconsumo. Così, se quelli collegati alla rete elettrica sono 173 (dati Grtn 2004) e in gran parte discariche (148), secondo una stima degli addetti ai lavori soltanto gli impianti zootecnici sarebbero circa 120.



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