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Piovono dollari risorge l’afghano – Ae 24

Numero 24 – gennaio 2002Quando ero stata a Kabul, nel maggio del 1998, ero l’unica ospite all’hotel Intercontinental, i cui splendori del passato erano solo intuibili da alcuni dettagli -una lampada, un asciugamano firmato, qualche posata d’argento- sopravvissuti al passaggio dei…

Tratto da Altreconomia 24 — Gennaio 2002

Numero 24 – gennaio 2002

Quando ero stata a Kabul, nel maggio del 1998, ero l’unica ospite all’hotel Intercontinental, i cui splendori del passato erano solo intuibili da alcuni dettagli -una lampada, un asciugamano firmato, qualche posata d’argento- sopravvissuti al passaggio dei mujaheddin, prima, e dei taleban, dopo. L’albergo era ancora distrutto dalle bombe, ma alcune stanze erano state rese “agibili” per gli ospiti stranieri, che, obbligatoriamente, dovevano pernottare nell’albergo a loro riservato. Davanti la porta un solo usciere dalla livrea consunta e una vecchia auto.
Sono tornata a Kabul, dopo la caduta dei taleban, lo scorso novembre, e l’Intercontinental, più o meno restaurato, era invaso fino all’inverosimile da giornalisti occidentali e orientali, c’era persino chi dormiva per terra nei corridoi. L’Intercontinental è stato sì ricostruito ma non è ritornato ai vecchi splendori. Nel ‘98 avevo pagato 70 dollari a notte, ora, chi è riuscito a trovare una stanza -che veniva subaffittata da chi partiva agli ultimi arrivati- nell’ambìto hotel pagava più o meno la stessa cifra, a seconda se il bagno funzionasse oppure no.
Ma questo è stato l’unico prezzo relativamente “calmierato” a Kabul durante la guerra della coalizione anti-terrorismo. Ora davanti all’hotel sostano decine di taxi e di furgoncini. Anzi sostavano, perché visto l’affollamento, dopo i primi giorni, i mezzi di trasporto per “misure di sicurezza” sono stati bloccati ai piedi della collina ma con 6 dollari si ottiene il permesso per arrivare all’entrata dell’hotel per tutta la giornata.
L’Intercontinental è anche meta di più o meno improvvisati interpreti che chiedono come minimo un centinaio di dollari al giorno. (Uno stipendio decente che permette a una famiglia media di vivere dignitosamente a Kabul è di 70 dollari al mese, ed è quanto pagano le ong). Ancora più esoso l’esborso è per chi per esigenze di lavoro deve sforare nell’orario del coprifuoco (a partire dalle 22) e deve farsi scortare dai mujaheddin armati. Come armati sono gli altrettanto costosi guardiani delle case affittate dai giornalisti che non hanno trovato sistemazione altrove.
A Kabul, che è diventata un enorme bazar, si trova di tutto: dalla pasta, ai vari sughi, pesto compreso, fino alla Nutella, l’unico problema è controllare la data di scadenza. Naturalmente i prezzi sono quelli per occidentali, come tutti i prodotti di antiquariato e artigianato della Chicken street, la strada dello shopping, dove si trovano anche i supermarket più riforniti.
Ma gli aumenti di prezzi più vertiginosi si sono visti per l’acqua minerale, diventata quasi introvabile dopo che erano stati bloccati (per problemi di sicurezza) i convogli che arrivavano dal Pakistan e si erano esaurite le scorte di magazzino. La prima bottiglia l’avevamo comprata a 25 mila afghani (circa 1.500 lire). Dopo una settimana, se si riusciva a trovare un’acqua minerale Nestlé la si pagava anche 120 mila afghani (circa 7 mila lire). E l’acqua minerale non è certo uno sfizio.
Naturalmente questi prezzi erano assolutamente irrisori se paragonati a quelli necessari per entrare e soprattutto per uscire dall’Afghanistan.
Noi eravamo entrati via terra con il primo grande convoglio di giornalisti partiti da Peshawar e scortati dai pakistani fino alla frontiera di Torkham e poi fino a Jalalabad dagli uomini di Hajji Khadir. Da Jalalabad in poi avevamo sfidato la sorte: eravamo partiti, come tutti quelli che hanno viaggiato lo stesso giorno, su una macchina da soli e senza scorta. La strada sterrata e disastrata che scorreva per un lungo tratto attraverso uno stretto canyon non ci era apparsa particolarmente rassicurante, ma tant’è. Finché proprio il giorno dopo il nostro passaggio l’uccisione, sulla stessa strada, di quattro giornalisti ha reso impossibile il ritorno via terra.
Per giorni abbiamo vissuto l’incubo dell’isolamento, poi l’Onu ha istituito dei voli da Islamabad al “modico” prezzo di 2.500 dollari, per poter coprire -sostenevano- le spese dell’assicurazione di guerra di 50 mila dollari per ogni atterraggio a Baghram, la pista che si trova a una cinquantina di chilometri da Kabul.
Dopo il primo momento di repulsione per il ricatto morale ed economico, e dopo aver tentato di ottenere garanzie di sicurezza o scorte, tutti, anche i meno danarosi free lance (anche il fotografo autore degli scatti che corredano il servizio nelle pagine interne, ndr), hanno dovuto arrendersi. Anche perché l’altra via praticabile, quella attraverso il Tagikistan, non era certo più conveniente (un volo per Dushambé costava 2.300 dollari).
Una invasione di dollari (si dice che la Bbc spenda per i propri servizi dall’Afghanistan 9 milioni di dollari al mese, oltre 18 miliardi di lire) che ha rivalutato l’afghano: quando siamo arrivati un dollaro veniva scambiato con 39 mila afghani, quindici giorni dopo con 35 mila.
Anche la rupia pakistana si è rivalutata con la promessa di una pioggia di dollari in cambio dell’appoggio dato dall’autoproclaclamatosi presidente Musharraf alla coalizione antiterrorismo (da 67 a 55 rupie per un dollaro nel giro di tre mesi).

Ma anche in Pakistan e soprattutto a Islambad e a Peshawar, dove per mesi hanno bivaccato centinaia di giornalisti in attesa di entrare in Afghanistan, l’economia è stata drogata dall’invasione di dollari. I prezzi degli alberghi sono saliti alle stelle: per una camera nel più lussuoso albergo di Islamabad, il Marriott, che qualche tempo fa costava 100 dollari, ora ne chiedono 340. Anche tutte le guest house hanno adeguato i prezzi, pur restando infinitamente più convenienti (dai 30 ai 50 dollari). La parte del leone anche in Pakistan la fanno gli stringer o interpreti dei giornalisti che chiedono cifre esorbitanti dopo che è arrivata la Cnn, che li paga 300-350 dollari al giorno. Nelle pericolose zone tribali di frontiera, dove gli occidentali non potevano mettere piede, il compenso è salito fino a 1.000 dollari al giorno.

Giuliana Sgrena


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