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Perché le risorse destinate a Frontex non proteggono la vita e la sicurezza

© Flickr - Kancelaria Premiera

Ventidue organizzazioni chiedono alle istituzioni europee di interrompere i finanziamenti all’Agenzia europea che sorveglia le frontiere esterne per istituire invece un programma di ricerca e salvataggio in mare. “L’azione calcolata dell’Ue ha condannato alla morte migliaia di vite innocenti”, spiegano i promotori dell’iniziativa

Togliere fondi a Frontex e utilizzarli per proteggere le vite in mare. È la richiesta che arriva da 22 organizzazioni internazionali che chiedono alle autorità europee di interrompere i finanziamenti all’Agenzia dell’Unione europea che sorveglia le frontiere esterne per investire queste “preziose risorse” in un programma di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. “Rafforzando incessantemente le capacità della polizia di frontiera ed esternalizzando i controlli alle frontiere attraverso pericolosi accordi con Paesi terzi -spiegano i firmatari del documento-, l’azione calcolata dell’Ue ha condannato migliaia di vite innocenti”. Dal 2015 all’agosto 2021, le morti accertate sono 18.709.

Le richieste avanzate dalle Ong, tra cui figurano, tra le altre, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Open arms, Borderline Sicilia e Baobab experience, si basano su uno studio pubblicato nell’agosto 2021 da Frag den staat, un gruppo di giornalisti che si occupa di promuovere campagne su temi specifici con l’obiettivo di aumentare la pressione sui decisori politici e promuovere la libertà di stampa, in collaborazione con Sea Watch, organizzazione attiva nel soccorso in mare. Secondo i ricercatori uno dei principali problemi è il duplice mandato assegnato all’Agenzia che ha sia il compito di evitare che le persone attraversino illegalmente i confini esterni del territorio europeo ma anche l’obbligo, sancito dal diritto internazionale, di soccorrere le persone in situazione di pericolo e aiutarle a raggiungerle un porto sicuro. Due missioni inconciliabili nel Mediterraneo. “Di fronte a questa contraddizione -sottolineano nel documento- tra seguire l’agenda anti-migrazione dell’Europa e rispettare il dovere di prestare assistenza, Frontex ha fatto la sua scelta: il controllo delle frontiere prevale sul salvare le vite umane”. 

Lo dimostrano le modalità con cui l’Agenzia ha utilizzato i fondi ad essa destinata. Solamente dal 2011, Frontex può noleggiare da aziende private le risorse necessarie per le proprie operazioni: fino a quel momento, le operazioni erano finanziate interamente dagli Stati membri e l’obiettivo era quello di coprire, man a mano, i vuoti lasciati dalle contribuzioni insufficienti di alcuni Paesi dell’Unione europea. Questo potere è aumentato a dismisura proprio negli anni in cui la rotta del Mediterraneo diventava la più mortale del mondo, l’Agenzia vedeva ampliarsi poteri e budget. Come raccontato anche su Altreconomia, con il nuovo regolamento adottato nel 2019, Frontex può dotarsi autonomamente delle risorse di cui necessita: si prevede che, entro il 2027, indipendentemente dai contributi dei singoli Paesi, sarà in grado avrà un proprio corpo di polizia -formato da 10mila agenti- con mezzi sufficienti per tutte le operazioni. Un’esplosione di poteri accompagnata inevitabilmente dall’aumento di budget che raggiungerà, sempre nel 2027, i 5,6 miliardi di euro.

Anno dopo anno, il divario tra le risorse richieste dall’Agenzia e quelle fornite dai Paesi europei è sempre stato più ampio per le risorse marittime che non per le risorse di terra. Dal 2016 al 2018 i Paesi europei hanno coperto il 100% del fabbisogno aereo di Frontex, con percentuali molto più basse rispetto alle navi richieste: il 48% nel 2016, il 73% nel 2017 e il 71% nel 2018. Nel 2019, complice l’aumento del potere d’acquisto dell’Agenzia le percentuali sono rimaste più basse ma continuando sulla stessa lunghezza d’onda: i singoli Stati hanno contribuito per l’11% sulle navi e il 37% sugli arei. Nonostante queste percentuali, dal 2015 Frontex ha investito 100 milioni di euro nel leasing e nell’acquisizione di mezzi aerei da impiegate nelle sue operazioni (charter, areostati, droni di sorveglianza). Nello stesso periodo non c’è stato nessun investimento per l’acquisizione o il leasing per beni marittimi. “Frontex ha dato grande priorità alla sua flotta aerea, che gli permette di svolgere compiti di sorveglianza e di controllo delle frontiere -si legge nel documento- ma l’Agenzia non è in grado di salvare le persone in difficoltà”. 

“Le mancanze di risorse marittime dispiegate in mare comportano che, nel momento in cui un aereo di Frontex individua un’imbarcazione che necessita di salvataggio –continuano i ricercatori- Frontex deve fare affidamento su terzi per intervenire”. La decisione su “chi” contattare fa la differenza: vengono allertate la Guardia costiera italiana e maltese ma anche -“la maggior parte delle volte”- la cosiddetta Guardia costiera libica. Il risultato è evidente. Secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) dal primo gennaio al 31 agosto 2021 delle oltre 41mila persone che hanno tentato di raggiungere l’Unione europea tramite la rotta del Mediterraneo centrale, ben 23.550 sono state intercettate in mare e riportate in Libia. Per ogni persona arrivata in Europa, una veniva respinta verso le coste libiche. Luoghi in cui la violenza sistematica dei diritti delle persone, migranti e richiedenti asilo, è stata denunciata da svariate inchieste giornalistiche, sentenze di tribunali e report di organizzazione attivi sul campo.

I firmatari del documento sottolineano come in numerosi casi, “nonostante la presenza di Ong nella zona in cui veniva individuata l’imbarcazione in pericolo, l’Agenzia non ha richiesto il loro intervento dando ‘priorità’ alle autorità libiche”. Respingimenti, spesso violenti che vengono poi “ripuliti” attraverso la narrazione che Frontex fa delle sue attività sui social network indossando il vestito di garante dei diritti umani che ha come obiettivo primario il salvataggio in mare. Come spiegato, la realtà è ben diversa. “La narrazione che descrive Frontex come un’Agenzia che ha a cuore i diritti umani è pericolosa -spiegano i ricercatori-. Fino a quando verrà presentata come un organismo incaricato e degno di fiducia di rispettare e garantire i diritti umani, compresa la ricerca e il salvataggio, non sono necessarie alternative”. 

“Serve un’organizzazione con una sola missione: garantire la sicurezza in mare e preservare la vita delle persone in pericolo, guidato dal pubblico, condotto e gestito solo da attori non militari e non appartenenti alle forze dell’ordine”, ha spiegato l’Asgi aderendo all’appello. Tale programma, secondo gli autori del report, richiederebbe solo un terzo del budget che l’Unione europea sta destinando all’Agenzia. “Occorre fare una scelta politica per proteggere le vite in mare -conclude Asgi-. A tal fine, Frontex non può e non garantirà la sicurezza. Le sue risorse invece sì”. 

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