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Cultura e scienza / Opinioni

Perché istituire una “Giornata della vergogna”

L'arresto di Omar al-Mukhtar, imam e guerrigliero che guidò la resistenza libica contro l'occupazione italiana (pubblico dominio, Wikimedia commons)

Durante la Seconda guerra mondiale l’Italia ha commesso gravi crimini, ricordarli è importante per evitare una retorica consolatoria. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 248 — Maggio 2022

Il prossimo 26 gennaio, alla vigilia della Giornata della memoria dedicata allo sterminio degli ebrei europei, in Italia celebreremo la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli alpini. Così ha deciso il Parlamento, con il voto finale del Senato quasi all’unanimità (nessun contrario, un solo astenuto). La data scelta, come quella della Giornata della memoria, rimanda alle tragedie della Seconda guerra mondiale, la più grande carneficina della storia umana: il 27 gennaio 1945 i soldati dell’Armata rossa presero possesso del campo di sterminio di Auschwitz in Polonia, liberando i pochi prigionieri rimasti e rivelando al mondo gli orrori che vi erano stati compiuti.

Il 26 gennaio degli alpini è riferito invece al 1943, quando l’Armata italiana in Russia (Armir), ormai sconfitta, ruppe l’accerchiamento dei militari sovietici (ancora loro) in una sanguinosa battaglia nei pressi di Nikolajewka e cominciò la più rovinosa ritirata che la storia militare europea ricordi, con migliaia e migliaia di soldati morti nel gelo e negli stenti. Fu un evento terribile, di indicibili sofferenze, degno, (ossia indegno) epilogo di una missione militare scellerata e velleitaria: l’Armir fu inviata in Russia da Mussolini per sostenere la guerra di aggressione cominciata nel giugno 1941 dalla Germania nazista. Fu un disastro sotto ogni punto di vista.

Nel mondo militare come in quello politico i più si sono detti sorpresi per le polemiche (in verità abbastanza contenute) suscitate dalla decisione presa dal Parlamento: la Giornata del 26 gennaio, secondo loro, non intende affatto sminuire o mettersi in competizione con quella celebrata il giorno dopo. Né generali e politici sembrano ravvisare alcun problema nel desiderio di onorare un “sacrificio” che ha pur sempre a che fare con una sciagurata guerra di aggressione decisa dalla dittatura fascista. Eppure un problema c’è, sia per il sovraffollamento di ricorrenze legate al secondo conflitto mondiale (nel conto va messa anche la Giornata del ricordo del 10 febbraio, a dir poco controversa e oggetto di forti strumentalizzazioni politiche), sia perché il registro delle “celebrazioni”, nel dedicare grande attenzione alle vittime, non concede spazi di riflessione sui carnefici, sulle responsabilità individuali e collettive di determinati eventi.

I civili erano il 93% delle vittime di guerra curate nell’ospedale di Emergency a Kabul nel 1991. Scrive Gino Strada in “Una persona alla volta” (Feltrinelli): “Avevo prima di allora un’idea diversa della guerra. […] Se nove vittime su dieci sono civili, però, non è più la stessa guerra”.

Noi italiani, per esempio, siamo stati spesso vittime di grandi crimini commessi durante la Seconda guerra mondiale e i nostri soldati hanno certo sofferto enormi pene (come gli alpini prima, durante e dopo la battaglia di Nikolajewka), ma siamo stati di frequente anche carnefici, per esempio nell’invasione dell’Urss. 

Se le politiche della memoria assumono un’impronta vittimista e nazionalista si corre il rischio di proporre un’immagine edulcorata della storia, tutta interna a una retorica patriottarda e consolatoria, centrata su un equivoco eroismo bellico. Per smorzare quest’effetto e arrivare a un maggiore equilibrio, si dovrebbe allora istituire almeno una Giornata della vergogna, nella quale ricordare i crimini compiuti dalle nostre forze armate durante la seconda guerra mondiale: tra Grecia, Jugoslavia, Albania, Etiopia, senza dimenticare l’Italia e le stragi compiute dalle milizie della Repubblica sociale, non mancherebbero certo le date fra le quali scegliere. Il punto finale è che non ci sono guerre etiche: tutte le guerre del Novecento sono state principalmente guerre ai civili. È una terribile verità che tendiamo a ignorare troppo facilmente.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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