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Economia / Opinioni

Per il governo non è più possibile contrarre nuovo debito. Uno scenario pericoloso

L’inflazione galoppa, la speculazione è al rialzo e i flussi delle merci risentono della guerra in Ucraina. Senza una spesa pubblica mirata a ridurre le disuguaglianze e a impedire il crollo dei redditi, gli effetti di una politica di bilancio costruita sul contenimento del debito saranno dolorosi. L’analisi di Alessandro Volpi

Il ministero dell’Economia ha preparato il Def, il documento di programmazione, o almeno i numeri che ormai si limitano a comporlo perché, da tempo, purtroppo non esiste più uno strumento vero di politica economica pubblica. Neppure la legge di Bilancio può essere considerata tale. 

L’impressione è che si tratti di un esercizio puramente formale, peraltro caratterizzato ancora da un’impostazione antica. Prevedere il Prodotto interno lordo del 2022 è praticamente impossibile data la guerra in corso e le fiammate inflazionistiche; tuttavia il ministro Franco e i suoi tecnici ci stanno provando, fissando l’ipotetica crescita poco sotto il 3%, sfruttando proprio l’artificiale spinta nominale dell’inflazione e immaginando di “liberare” una ventina di miliardi di euro tra scostamento artificiale del deficit al 5,7%, maggiori entrate delle accise e qualche trascinamento dell’anno passato per concepire un ulteriore sostegno al paese. 

In sostanza, il Governo Draghi sembra voler fare piccolo cabotaggio, dando però un’indicazione chiara; non è più possibile contrarre nuovo debito, anzi l’azione di contenimento dell’indebitamento rispetto al Pil deve riprendere con convinzione in attesa dei voti delle agenzie di rating e delle politiche della Banca centrale europea. Se così fosse, sarebbe uno scenario molto pericoloso. La bolletta energetica salirà quest’anno di quasi 70 miliardi di euro e l’inflazione, vicina ad un probabile 7%, taglierà il potere d’acquisto e i risparmi in maniera drammatica. Peraltro è molto probabile che la stessa inflazione si avvicini, in corso d’anno al 10%. Sono tante, infatti, le motivazioni che spingeranno l’inflazione in tale direzione, di cui tre sono particolarmente evidenti. 

La prima è costituita dalla speculazione finanziaria al rialzo, la seconda è rappresentata dall’inevitabile trasferimento degli aumentati costi di produzione, che molte imprese stanno ora assorbendo, sul mercato e sui consumatori. La terza è connessa al “rimpicciolimento” del mondo. In questo momento sono praticamente chiuse quattro aree decisive per i traffici mondiali; è paralizzato il Mar Nero ed è limitato il passaggio dagli Stretti di Bosforo e Dardanelli per la guerra, è ridotto il traffico attraverso il golfo di Aden per il conflitto in Yemen, è insicuro il transito per il Corno d’Africa, e ora è di fatto chiuso anche il porto di Shangai per il colossale lockdown. Con simili chiusure, il flusso delle merci è già significativamente ridotto e dunque i prezzi saliranno ancora. Anche perché, come accennato, la speculazione non aspetta altro. 

In tali condizioni di inflazione galoppante, senza una spesa pubblica mirata a ridurre le disuguaglianze e a impedire il crollo dei redditi, gli effetti di una politica di bilancio costruita sul contenimento del debito, come intende fare il Governo Draghi, saranno dolorosi. Occorre, a questo riguardo, una strategia nazionale ed europea di sostegno al reddito che non blocchi gli acquisti dei titoli dei debiti pubblici degli Stati e che contrasti l’inflazione con un sistema straordinario e temporaneo di regolazione dei prezzi, volto prima di tutto a scoraggiare la speculazione oggi in atto su larga parte dei prezzi mondiali. Mettere tetti ai prezzi di una serie di beni a livello europeo vuol dire che l’area di mercato più ricca del pianeta e con una moneta solidissima intende dare un segnale ben preciso a chi pensa di scommettere al rialzo e vincere sempre. A ciò è possibile aggiungere un’ulteriore proposta. 

È evidente che l’applicazione di sanzioni “vere” alla Russia avrebbe un costo importante per imprese e famiglie italiane, soprattutto per le fasce più deboli, colpite dall’inflazione. Serve quindi un intervento diretto a sostegno di tali realtà che implica una spesa pubblica aggiuntiva importante. Al di là dell’appello all’emissione di bond europei per finanziare una sorta di Recovery plan in tale direzione, ciò che sarebbe possibile fare subito è l’emissione di titoli di Stato italiani, con scadenze medio-lunghe, con rendimenti non lontani dai Btp a 10 anni e legati all’inflazione in modo da essere appetibili per gli oltre 1.800 miliardi di euro presenti sui conti correnti degli italiani che proprio dall’inflazione rischiano di essere erosi in maniera profonda. Dunque, concepire emissioni per risparmiatori e investitori istituzionali residenti, che proteggono dall’inflazione, che hanno un discreto rendimento e che, magari, beneficiano di uno sconto fiscale potrebbe essere la strada per rintracciare risorse per alleviare l’impatto di eventuali sanzioni alla Russia; risorse naturalmente che non dovrebbero essere distribuite in modo uniforme su tutta la popolazione ma ai settori produttivi e alle fasce sociali più colpite. 

In tal modo si eviterebbe una duplice distruzione di valore, quella del risparmio, che riguarda soprattutto fasce medio alte di reddito, e quella della produzione e dei redditi. L’ombrello dell’euro e la quantità di risparmio immobilizzata nel nostro Paese consentirebbero una simile operazione senza impennate troppo brusche degli spread mentre l’impatto positivo sul Pil renderebbe sostenibile il maggior indebitamento.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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