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Pelati alla meta – Ae 35

Numero 35, gennaio 2003Dopo la Fiat è il gruppo Cirio ad andare in pezzi: ma qui il capitalismo italiano dà il meglio di sè. Si comincia con 150 milioni di obbligazioni che Cragnotti dichiara di non potere onorare. A restare…

Tratto da Altreconomia 35 — Gennaio 2003

Numero 35, gennaio 2003

Dopo la Fiat è il gruppo Cirio ad andare in pezzi: ma qui il capitalismo italiano dà il meglio di sè. Si comincia con 150 milioni di obbligazioni che Cragnotti dichiara di non potere onorare. A restare con il cerino acceso in mano sono però migliaia di risparmiatori: le banche, che sapevano, si sono sfilate prima. Eppure sono state proprio loro a vendere le obbligazioni spazzatura ai loro clienti. Dov'è l'etica del mercato?17 mila posti di lavoro adesso sono in pericolo

Oltre 2.150 miliardi di vecchie lire di obbligazioni non onorate. Quasi tutte nelle mani di privati. Il caso Cirio non entrerà nella storia della finanza mondiale: il recente fallimento della società telefonica statunitense Worldcom ha coinvolto crediti quasi 30 volte superiori. Ma di Cirio i risparmiatori italiani se ne ricorderanno per un bel po'. Dalle nostre parti, infatti, non era mai accaduto nulla di simile. Nei primi anni '90 era fallita la Ferruzzi, ma la società guidata da Raul Gardini aveva debiti solo nei confronti di banche. Tra i manager di spicco di Ferruzzi c'era, anche allora, Sergio Cragnotti, amministratore delegato e principale azionista di Cirio. Poi nessun'altra azienda di dimensioni medio-grandi era fallita. E, pochi mesi fa, un tragico ed enorme fallimento straniero, quello dell'Argentina, aveva già inflitto un duro colpo ai risparmi di molti italiani che detenevano titoli di credito emessi dal governo sudamericano.

Lunedì 4 novembre un'agenzia di stampa comunica che un'obbligazione Cirio da 150 milioni di euro, scaduta il giorno precedente, non è stata rimborsata. Comincia un balletto di notizie. Prima la società di Cragnotti annuncia che, dato che l'obbligazione è scaduta di domenica, c'è tempo comunque fino al mercoledì successivo per rimborsarla: comunicazione quantomeno singolare. Poi che il rimborso sarà effettuato per metà grazie alle disponibilità di cassa societarie e per l'altra metà grazie all'emissione di una nuova obbligazione convertibile in azioni Cirio. Ma non c'è tempo per trovare i compratori della nuova obbligazione e le banche non sembrano volersi accollare il rischio di invenduto.

Si arriva a mercoledì 6 e del rimborso delle obbligazioni scadute nessuna traccia. Secondo alcuni quotidiani pare che ci fossero problemi anche per trovare i 75 milioni di euro di liquidità promessi da Cragnotti. Scatta il default, l'inadempimento, sulle obbligazioni in questione. E pochi giorni dopo il trustee, l'organismo che cura gli interessi degli obbligazionisti, fa scattare il cross default, l'inadempimento a catena su tutte le restanti obbligazioni del gruppo Cirio. L'anticamera del fallimento.

Per i non addetti ai lavori è il classico fulmine a ciel sereno. Cirio è un marchio conosciuto da tutti nel nostro Paese: esiste da decenni, è ben visibile sui banconi di tutti i supermercati. Chi non ha mai acquistato un barattolo di pelati Cirio? Come è potuto accadere?

In realtà, almeno per una parte degli analisti finanziari il caso Cirio è la cronaca di un fallimento annunciato. Già nel 1999 l'indebitamento del gruppo era spaventosamente elevato, se confrontato con la capacità industriale di generare incassi per soddisfare i creditori. In quell'anno le vendite ammontavano a 1.125 miliardi di euro, il margine operativo lordo (un'approssimazione degli incassi al netto delle spese) a 48 milioni di euro, i debiti a 1.078 miliardi di euro. Il margine operativo lordo era a mala pena sufficiente a pagare gli interessi sui debiti ed era meno del 5% del totale dei debiti. In pratica se le banche avessero chiesto a Cirio di ripagare i propri debiti, la società avrebbe avuto bisogno di molti anni di fortunata attività per farlo.

Bastavano questi numeri a qualificare Cirio come una società ad altissimo rischio, con un merito di credito (il cosiddetto “rating”) implicito che avrebbe impedito a molti tra i più importanti investitori professionali di acquistare questi titoli. Ecco cos'era Cirio: una società attiva in un settore poco redditizio, ma anche poco rischioso, quale la produzione di conserve di pomodoro e di ananas per la vendita al dettaglio; ma oberata da un livello di debito tale da non consentirle il benché minimo errore.!!pagebreak!!

Dopo aver acquistato la Finanziaria Cirio Bertolli De Rica Spa dallo Stato italiano nel 1994, Sergio Cragnotti aveva intrapreso tutta una serie di compravendite aziendali per trasformare una tranquilla impresa domestica in un gruppo multinazionale ad alta crescita. Con operazioni non sempre fortunate e a volte poco limpide, visto che la Borsa canadese lo ha bandito dal detenere qualunque partecipazione industriale in Canada, e che anche il Consiglio di Borsa brasiliano ha condannato Cragnotti ad una multa. Risultato di questa riorganizzazione del gruppo: aumento esponenziale del livello debitorio. Chi aveva permesso tutto questo? Alcune banche italiane, dato che alla fine del 1999 tutto il debito Cirio era nelle mani del sistema bancario. Quali banche non è dato sapere: i contratti di finanziamento sono privati. Si sa che storicamente la banca principale di Cragnotti è stata la Banca di Roma (oggi Capitalia), affiancata dalla Banca Nazionale del Lavoro.

Ad aumentare la scarsa trasparenza di un gruppo sempre più complesso, la rinominata Cirio Finanziaria Spa, quotata alla Borsa di Milano, risultava concedere prestiti per centinaia di milioni di euro a società di Cragnotti di cui poco si sapeva: come impiegavano questi soldi e, soprattutto, sarebbero state in grado di restituire i quattrini? Anche la Consob, il Consiglio di Borsa, richiamava più volte Cirio.

Il 1999 è anche l'anno dell'avvento dell'euro e della forte espansione del mercato delle obbligazioni societarie, che vengono vendute a fondi ed assicurazioni, ma anche direttamente ai privati. Alcune delle banche di Cragnotti, insieme ad altri istituti di credito alla caccia di ricche commissioni di collocamento, pensano di ricorrere ad emissioni obbligazionarie per rifinanziare i debiti in scadenza o per accenderne di nuovi. Questi titoli consentono, fra l'altro, di dare un po' di ossigeno al gruppo industriale, avendo una durata media di 3 anni. Nel maggio 2000 viene collocata la prima obbligazione Cirio: 150 milioni di euro, da rimborsare nel 2003. Nel giro di 22 mesi vengono vendute altre 5 obbligazioni, per un controvalore di 1.125 miliardi di euro (circa 2.178 miliardi di lire).

Nel frattempo la situazione finanziaria del gruppo continua a peggiorare. A fine 2000, a fronte di risultati aziendali in miglioramento (un fatturato di 1.327 miliardi di euro e un margine operativo lordo di 134 milioni di euro), il debito sale di oltre 200 milioni a 1.419 miliardi di euro, per poi riscendere a 1.283 miliardi a fine 2001. E i crediti ad altre società facenti capo a Cragnotti crescono oltre i 500 milioni di euro.

Il 3 novembre 2002 scade la prima delle 6 obbligazioni in circolazione: 150 milioni di euro. E cade il castello di carte. Cirio non ha i soldi per rimborsare; le banche, che in 3 anni hanno ridotto la propria esposizione complessiva a circa 350 milioni di euro, non se la sentono di concedere altri prestiti, visto anche il momento di crisi economica che le attanaglia.

I privati che possiedono obbligazioni Cirio vengono presi dal panico. Non si sa esattamente quanti siano. L'associazione di consumatori “finanziari” Adusbef (www.adusbef.it) stima che siano oltre 40 mila. Che ne sarà dei loro soldi? C'è chi ha investito parte della pensione, chi aveva parcheggiato del denaro per comprare un'attività. Adesso dovranno aspettare, con la quasi certezza di non rivedere indietro che una minima parte dei soldi investiti e chissà poi quando. Oggi chi volesse sbarazzarsi delle obbligazioni Cirio incasserebbe circa il 25% del capitale.

Certo le obbligazioni della società di Cragnotti promettevano cedole più remunerative di quelle di Bot e Btp: e questo avrebbe dovuto far pensare ad una forte rischiosità dell'investimento.

Ma, a ben vedere, i rendimenti offerti non erano poi così clamorosamente più alti di quelli dei titoli di Stato: in media 3 punti percentuali in più all'anno. E poi, francamente, quanti tra i non addetti ai lavori, e non solo, sono in grado di valutare la bontà di un investimento in obbligazioni societarie prive di rating ufficiale (vedi box). Dove se guadagni prendi il 6-7% e se perdi, perdi tutto o quasi: ma quale è la probabilità di perdere?

Oggi le banche devono cercare di accontentare quella massa di risparmiatori che non si rassegna a cedole inferiori al 5% sui titoli di Stato, dopo che per decenni i rendimenti erano stati ben più alti (a fronte però di tassi di inflazione molto più elevati di quelli odierni).

Così ogni investimento che promette rendimenti potenziali superiori diventa allettante. Una legge fatta per proteggere il risparmiatore dice che i dipendenti bancari non possono proporre obbligazioni societarie (“Sollecitazione del pubblico risparmio”); deve essere il cliente a richiederle esplicitamente.

È credibile che migliaia di italiani abbiano chiesto di comprare obbligazioni Cirio? Eppure i contratti di acquisto dei titoli sono formalmente ineccepibili. Così una legge nata per proteggere i risparmiatori rischia adesso di proteggere le banche.!!pagebreak!!

Cosa succederà al gruppo Cirio, che impiega oltre 17 mila dipendenti? La società di consulenza di Ubaldo Livolsi, ex amministratore delegato Fininvest, sta preparando un piano di ristrutturazione aziendale. In pratica: verifica della sostenibilità industriale del gruppo e proposta di rinegoziazione del debito ai creditori, che potrebbe sfociare in uno scambio delle obbligazioni con azioni Cirio.

Il tutto per ridurre l'ammontare del debito, considerato insostenibile. Da notare che in questo processo le banche saranno in una posizione privilegiata rispetto agli obbligazionisti, in quanto detengono crediti a fronte dei quali vi sono pegni ed altre garanzie. La proposta di ristrutturazione dovrà essere approvata da un'assemblea degli obbligazionisti.

Per il momento Cirio non è fallita, è solo inadempiente. I creditori potrebbero anche richiedere il fallimento, aprendo così una procedura che potrebbe portare alla vendita del gruppo o alla liquidazione dei suoi stabilimenti.

Per i privati che detengono obbligazioni non è facile organizzarsi. Per questo alcune associazioni di consumatori stanno raccogliendo adesioni per condurre i negoziati con i vertici di Cirio. Adusbef ha anche minacciato di citare le banche in tribunale per il comportamento tenuto in questa vicenda.

È probabile che le banche temano un'eventuale richiesta di fallimento fatta con rapidità, in quanto questa procedura farebbe scattare la cosiddetta “revocatoria fallimentare”, una legge con cui il giudice annulla tutte le operazioni finanziarie degli ultimi 12 mesi e quelle transazioni poco chiare degli ultimi 24 mesi, in attesa dell'esito del fallimento. In pratica, alcune delle ultime emissioni obbligazionarie e i rimborsi di alcune linee di credito bancarie rischierebbero di essere annullati.

Intanto Cirio prosegue la propria attività, anche se le risorse finanziarie per lavorare sono ridotte. La crisi dell'azienda rischia di incrinare i rapporti con i propri fornitori, principalmente agricoltori, che potrebbero temere di non essere pagati. È questa la preoccupazione del ministro delle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, che propone di prendere in affitto l'attività industriale di Cirio in questa fase di incertezza. Vi sono anche voci che parlano di possibile commissariamento dell'azienda (la nomina di un commissario manager).

Ministero e consulenti stanno anche facendo pressioni sulle banche perché concedano un finanziamento ponte, che consenta a Cirio di far fronte alle esigenze di liquidità del periodo. Ma le banche chiedono che Sergio Cragnotti si faccia da parte: lui, a parole, si è impegnato ad accontentarle.

Cattive azioni
Tra 1997 e 1998 le azioni Cirio registrarono un aumento superiore al 100% in seguito agli accordi di distribuzione negli Usa e in Francia, all'acquisto di Bombril in Brasile e del marchio Del Monte Royal. Poi il crollo. A ristrutturazione avvenuta, le azioni avranno probabilmente un valore molto vicino a zero.

Tangentopoli: chi sopravvive si rivede
Romano, classe 1940, Sergio Cragnotti è laureato in economia e commercio.
A cavallo della fine degli anni Ottanta, Cragnotti è responsabile per le attività sudamericane di Montedison, gruppo Ferruzzi. Nel 1991 fonda la Cragnotti & Partners Capital Investment NV, una società di partecipazioni. Nel frattempo viene coinvolto nel fallimento della Ferruzzi. Nel novembre 1993 Cragnotti rientra dal Brasile e si consegna alla giustizia, confessando di aver versato 10 miliardi di lire in tangenti Enimont a Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani,

in nome e per conto di Raul Gardini, amministratore delegato di Montedison (suicidatosi nel luglio 1993). Quella tangente era stata versata allo scopo di ottenere sgravi fiscali per la fusione tra Eni e Montedison. Cragnotti patteggia un anno e cinque mesi di reclusione per falso in bilancio, appropriazione indebita e finanziamento illecito ai partiti. Ma sopravvive a Tangentopoli. E un anno dopo si presenta allo Stato italiano con i quattrini per acquistare il gruppo Cirio Bertolli De Rica. Prima di togliersi lo sfizio di comprarsi anche la società di calcio Lazio.

Anatomia di un impero di conserve. Col verme
Cirio è la più antica impresa conserviera italiana, fondata dal piemontese Francesco Cirio a metà dell'Ottocento. Entrata alla fine degli anni '70 nel gruppo a partecipazione statale SME Finanziaria, la società ha acquisito nel 1986 il marchio e gli stabilimenti della storica industria conserviera De Rica. Nel 1993 Cirio viene privatizzata e dall'anno successivo entra a far parte del gruppo Cragnotti & Partners, guidato da Sergio Cragnotti. Allora il gruppo Cirio era attivo nella produzione e distribuzione di latte, conserve di pomodoro, olio, tonno e verdure; principalmente in Italia. Con una serie di acquisizioni e dismissioni Cragnotti trasforma il gruppo: mantiene i prodotti alimentari Cirio, acquista la proprietà del marchio Del Monte Royal (conserve di ananas), vende il latte alla Parmalat, compra in Brasile la società di detergenti Bombril e acquisisce la società di calcio Lazio. Cirio cambia pelle e si trasforma in un gruppo multinazionale. Ma la galassia di società si fa sempre più complicata.

E i conti non tornano. Le entrate e le uscite di acquisizioni e dismissioni non si compensano e fanno crescere a dismisura il livello di indebitamento.!!pagebreak!!

Obbligazioni per tutti
Le obbligazioni sono titoli di credito, rappresentativi di prestiti contratti da una persona giuridica (Stato, ente pubblico, istituto di credito, società per azioni o in accomandita per azioni) presso il pubblico. Sono regolati dal codice civile agli articoli 2410-2420. I titoli obbligazionari incorporano un diritto di credito del sottoscrittore verso l'emittente, riguardante il pagamento di una somma nominale che risulta dai titoli a una data scadenza, nonché il pagamento degli interessi sull'importo dato a credito.

Le obbligazioni convertibili in azioni si pongono in una posizione intermedia tra un'azione e un'obbligazione: offrono al sottoscrittore la facoltà di rimanere creditore o di convertire, entro determinati tempi e in base a rapporti di cambio prefissati, le obbligazioni in azioni della società emittente.

Se fallimento deve essere
In un'economia di mercato i fallimenti sono episodi drammatici, ma in parte inevitabili. Le aziende falliscono principalmente per due ordini di motivi: o perché l'attività è decotta, ormai superata dalla concorrenza; o perché l'impresa ha scelto di ricorrere aggressivamente all'uso del debito e l'attività, sostanzialmente profittevole, non è però in grado di far fronte alle forti scadenze debitorie. Quest'ultimo è il caso di Cirio. Inoltre in periodi di crisi economica, quale quello attuale, le banche sono restie a prorogare i crediti considerati più rischiosi, mettendo in difficoltà le aziende già in bilico.

Rating d'impresa, non per tutti
Il rating è una valutazione del merito di credito di un'impresa effettuata da un'agenzia specializzata. Ha l'arduo compito di cercare di calcolare la probabilità che un'azienda possa fallire in un certo arco di tempo (circa 5 anni).
I rating sono sintetizzati da sigle complicate, che vanno da AAA (tripla A), il miglior merito di credito, a D, azienda insolvente.
Lo spettro dei rating si divide in investment grade (rischi medi o medio-bassi, da AAA a BBB) e speculative grade (rischi molto alti, da BB a C, quelli delle cosiddette obbligazioni spazzatura).
Le più importanti agenzie di rating a livello mondiale sono Moody's, Standard & Poor's e Fitch. I rating vengono assegnati su richiesta delle imprese che emettono obbligazioni e permettono loro di accedere ad un pubblico di investitori più vasto. A volte però le società emittenti preferiscono farne a meno. A oggi sono una cinquantina i bond (obbligazioni)sul mercato italiano senza rating (anche di marchi famosi: Benetton, Impregilo, Alitalia, Stefanel, Italenergia…) per un totale di 6,5 miliardi di euro. Investimenti ad alto rischio.

Quella volta che l'uomo del monte disse sì
Nel 1999 il Centro Nuovo Modello di Sviluppo lancia una campagna contro Del Monte Royal in Kenya.
7 mila cartoline di protesta vengono spedite a Sergio Cagnotti per denunciare le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti keniani: salari troppo bassi, misure igieniche insufficienti, nessuna tutela sindacale (ne parlammo sul primo numero di AE, a lato). All'inizio Cirio si chiama fuori dalla vicenda, dicendosi estranea alla gestione diretta della Del Monte Kenya e incolpando i soci africani della Immerman. Poi la convocazione di una conferenza stampa a Milano, per smentire tutte le accuse mosse dal Centro nuovo modello di sviluppo, confermate però dal rapporto di una società di ricerca. Nella storia entra anche Coop, che dalle piantagioni kenyote si rifornisce per i suoi supermercati. Non vuole rischiare il certificato SA 8000 sulle clausole sociali, che impone a chi ne è titolare di avere tra i propri fornitori solo aziende che rispettino standard lavorativi adeguati. Dopo le pressioni di sindacati e opinione pubblica (e di fronte all'ormai palese evidenza dei fatti), si arriva finalmente al passo indietro: a gennaio 2000 l'azienda riconosce la situazione e si impegna in un piano di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nelle piantagioni.

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