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Ambiente / Intervista

Cristiana Pasça Palmer. La biodiversità necessaria

© Natalia Mroz/ IISD

Estinzioni di massa, perdita di habitat, distruzione degli ecosistemi: la causa è l’uomo. Per fermare il degrado “Dobbiamo agire e dobbiamo farlo subito”

Tratto da Altreconomia 210 — Dicembre 2018

“Gli obiettivi della presente Convenzione […] sono la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle sue componenti e la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse”. A dicembre, l’entrata in vigore della Convenzione Onu sulla biodiversità compie 25 anni. Oggi conta 196 “parti” aderenti, con le assenze degli Stati Uniti e della Città del Vaticano. I suoi 42 articoli sono poco conosciuti e soprattutto poco praticati. Oltre il 77% della superficie del Pianeta, oggi, tolta l’Antartide, è stato modificato dall’uomo, rispetto al 15% di un secolo fa. Le popolazioni di vertebrati sono diminuite del 60% rispetto ai livelli del 1970 e i tassi di estinzione sono mille volte superiori ai loro livelli -preindustriali- naturali. Ecco perché Cristiana Paşca Palmer, già ministro dell’Ambiente della Romania e oggi segretario generale della Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità, è preoccupata.

Segretario, quanto è sentita l’importanza della conservazione della biodiversità?
CPP
Le considerazioni che riguardano la biodiversità non sono ben comprese dall’opinione pubblica e le attività economiche di importanti settori della nostra economia e delle nostre società non includono pratiche che conservino o utilizzino in modo sostenibile la biodiversità. Per questo alla Conferenza delle parti di Cancún, in Messico (COP 13), nel dicembre 2016, è stata data grande attenzione all’integrazione della biodiversità nei settori economici. Ci siamo concentrati sui settori dell’agricoltura, della pesca, della silvicoltura e del turismo. Cui si affiancano l’energia, l’industria estrattiva, le infrastrutture, la produzione e trasformazione, e la sanità. Si prevede infatti che la maggior parte di questi settori crescerà in modo significativo fino al 2050 e oltre.
Nei prossimi 15 anni è previsto inoltre che i Paesi investano circa 90mila miliardi di dollari in infrastrutture e circa 25mila miliardi in energia, con potenziali impatti molto rilevanti sulla biodiversità. L’obiettivo, o la sfida, è quello di evitare, ridurre o attenuare gli effetti negativi, massimizzando al tempo stesso i potenziali benefici per la biodiversità.

Come si misura la biodiversità?
CPP Il Piano strategico per la biodiversità 2011-2020, adottato dalle Parti della Convenzione nel 2010 a Nagoya, in Giappone, comprende gli “Obiettivi di Aichi”, venti target da raggiungere entro il 2020. Ne misuriamo i progressi utilizzando diversi tipi di informazioni, fornite dalla comunità scientifica e dai Paesi attraverso i rapporti nazionali. I report dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), recentemente pubblicati, sono un elemento chiave della revisione scientifica globale dei progressi compiuti nell’attuazione degli obiettivi globali e degli obiettivi del vigente Piano strategico. Le conclusioni confluiranno direttamente nella preparazione del Global Biodiversity Outlook 5, che sarà pubblicato nel 2020. Tutte queste fonti di informazione hanno punti di forza e limiti, ma se considerate nel loro insieme forniscono una buona valutazione dei progressi compiuti.

Qual è la diagnosi?
CPP Le valutazioni effettuate finora, comprese quelle delle Parti della Convenzione, e la quarta edizione del Global Biodiversity Outlook, indicano che, sebbene si stiano compiendo progressi nell’attuazione del Piano, ciò non avviene a un ritmo tale da consentire il raggiungimento degli obiettivi di Achi entro il 2020, a meno che gli sforzi non siano notevolmente aumentati. Ad esempio la Conferenza ha già riconosciuto che gli obiettivi 10 (Ecosistemi vulnerabili colpiti dai cambiamenti climatici) e 17 (Strategie e piani d’azione per la biodiversità) non sono stati raggiunti. Scadevano nel 2015. Altri target che si rivelano particolarmente impegnativi da raggiungere sono il 5 (Perdita di habitat), 12 (Estinzione di specie) e 14 (Servizi ecosistemici). Inoltre, diversi obiettivi relativi a questioni socio-economiche, tra cui il 2 (Valori della biodiversità integrati nei processi nazionali) e 3 (Incentivi), sono difficili da raggiungere in quanto richiedono che la Convenzione vada al di là della sua circoscrizione tradizionale, vale a dire i ministeri dell’Ambiente.

Quali sono le cause del degrado?
CPP Il cambiamento degli habitat, i cambiamenti climatici, le specie aliene invasive, l’inquinamento e il consumo insostenibile. E la perdita continua ad aumentare in tutte le regioni. Se non controllata questa inciderà sulla capacità della natura di sostenere l’uomo e il Pianeta. Quasi la metà delle specie vegetali e animali delle aree naturali più ricche del mondo, come l’Amazzonia e le Galapagos, potrebbe affrontare l’estinzione locale al passaggio di secolo a causa del climate change.

È possibile invertire la tendenza?
CPP Sì ma dobbiamo agire e dobbiamo farlo subito. La buona notizia è che si stanno adottando misure. Al summit sulla biodiversità tenutosi a Sharm el Sheikh a metà novembre 2018, i ministri dell’Ambiente africani, insieme alle organizzazioni partner, si sono impegnati in un ambizioso programma d’azione in tema di biodiversità. Inoltre, l’estensione delle aree terrestri protette è aumentata al 14,9% e 91 Parti hanno raggiunto almeno il 17%. Le aree marine protette hanno raggiunto il 7,3% degli oceani globali, il 16,8% delle acque nazionali e l’1,8% delle zone al di fuori della giurisdizione nazionale (ABNJ). Detto questo, il raggiungimento dei nostri obiettivi richiede cambiamenti profondi nella società: un uso molto più efficiente di terra, acqua, energia e materie, ripensando le nostre abitudini di consumo, a partire dai sistemi alimentari.

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