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Cultura e scienza / Opinioni

Paleoclimatologia: che cosa può raccontarci il clima del passato

Dalla misura degli anelli nel tronco alle analisi delle calotte glaciali. Gli appunti preziosi sul nostro sistema climatico. La rubrica del prof. Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018

L’idea è semplice: studiare il clima del passato per capire come potrebbe cambiare il clima del futuro. La paleoclimatologia è la scienza che si occupa di questo. Le tecniche utilizzate sono tante: dalla misura degli anelli nel tronco degli alberi multi-secolari si risale alla temperatura del passato (lo spessore è maggiore quando l’anno è più caldo); dalle bollicine d’aria intrappolata nei ghiacci delle calotte glaciali si ricavano le concentrazioni di tanti gas fra cui la CO2 (si arriva a 80.000 anni fa) e indirettamente si risale alle temperature e al livello dei mari. Ci sono inoltre le analisi dei pollini, dei coralli, dei sedimenti, etc; spiegare i dettagli richiederebbe troppo spazio. Insomma, una scorpacciata di dati affascinanti, raccolti con fatica, in alcuni casi con vere e proprie imprese scientifiche; dati condivisi nella comunità dei climatologi, utilizzati in migliaia di pubblicazioni scientifiche.

6 metri era più alto il livello del mare 120.000 anni fa, quando le temperature del Pianeta non erano molto diverse da quelle attuali

Uno dei primi lavori di paleoclimatologia a fare scalpore fu quello che vedeva come primo autore Michael Mann, che di recente ha fatto un tour di conferenze in diverse università italiane ed ha partecipato alla festa del decennale di Climalteranti.it. Mann vent’anni fa pubblicò un lavoro in cui ricostruiva le temperature di sei secoli precedenti e mostrava come quelle del XX secolo erano insolitamente alte. Il grafico che mostrava il deciso incremento delle temperature diventò famoso con il termine “hockey stick” (“mazza da hockey”): la lunga prima parte in cui i valori erano sostanzialmente stabili era il manico, la parte finale più breve di brusca crescita era la lama. Per quel lavoro, Mann fu pesantemente attaccato dai repubblicani di Bush e Cheney, fu sottoposto ad una sorta di inquisizione. Ne uscì vincente, aveva ragione.

Oggi in paleoclimatologia si è andati oltre, si cerca di capire cosa il passato può dirci sul futuro. Un grande lavoro appena pubblicato, firmato da 59 scienziati di 47 istituti di ricerca, ha raccolto una quantità colossale di dati, e ha confrontato il periodo in cui viviamo con altri periodi caldi del nostro Pianeta: ad esempio il periodo più caldo dell’Olocene 5mila-11mila anni fa; oppure l’ultimo periodo “interglaciale” 116mila-129mila anni fa. I confronti non sono facili perché le cause erano diverse (oggi, i gas serra; in passato la variazione dei parametri orbitali) e le velocità del riscaldamento oggi sono molto maggiori. Ma si può cercare di capire quanto il nostro Pianeta sia “sensibile” alle variazioni delle temperature, ossia quanto siano stabili le sue calotte glaciali, il suo livello del mare, la sua copertura vegetale. I risultati di questo lavoro ci dicono che il sistema climatico è molto sensibile e ha una grande inerzia.

In quei periodi del passato in cui le temperature medie globali raggiunsero livelli simili agli attuali, ci furono significative variazioni nei ghiacci montani e polari, nelle precipitazioni, nell’estensione delle foreste e delle aree più aride. 120mila anni fa, quando il livello del mare divenne circa 6 metri più alto di oggi, le decine di migliaia di Sapiens viventi non faticarono ad adattarcisi. Da 11mila a 5mila anni fa l’altezza dei mari aumentò di circa 50 metri raggiungendo i livelli attuali. I 4-5 milioni di abitanti umani del Pianeta non avevano città sulle coste di cui preoccuparsi o grandi distese di territorio coltivato in cui produrre il cibo. Misero in atto la loro millenaria strategia, quella di spostarsi. C’era un mondo a disposizione, non c’erano muri, non c’erano frontiere, non c’erano ministri dell’Interno.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2016)

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