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“Pace e disarmo siano al centro del Recovery plan”. L’appello dei movimenti

Aiuti allo sviluppo e alla cooperazione internazionale, educazione, servizio civile, risorse alla sanità, riconversione dell’industria degli armamenti: la Rete italiana Pace e Disarmo ha elaborato un documento con 12 progetti concreti come contributo al processo di formazione del programma “Next Generation Italia” per un’economia “disarmata”

© Richard Schunemann - Unsplash

Un’economia disarmata e sostenibile supportata da uno Stato che investa sulla formazione di una generazione ispirata ai valori della non-violenza. Pace, disarmo e giovani sono gli assi portanti delle 12 proposte presentate dalla Rete italiana Pace e Disarmo, movimento pacifista e disarmista (retepacedisarmo.org), come contributo al processo di formazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza finalizzato a utilizzare i fondi europei pari a 209 miliardi di euro. “Un’occasione importante -sottolineano le organizzazioni- in cui riteniamo prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi e ai valori della cooperazione, della solidarietà e del rispetto dei diritti umani”. 

La pandemia da Covid-19, i fenomeni migratori e il progredire del riscaldamento globale sono solo alcune delle sfide che dimostrano la necessità e l’urgenza di azioni pubbliche che siano globali e coordinate. Azioni incompatibili con un mondo in cui i rapporti tra gli Stati sono basati sull’uso della forza. Per questo motivo, la Rete auspica che l’Italia e l’Europa “assumano una posizione di neutralità attiva nel crescente conflitto tra grandi potenze per svolgere un ruolo da mediatore dei conflitti”. Occorre così ridisegnare una politica estera che miri a ridurre la diseguaglianza delle popolazioni del Sud utilizzando ogni mezzo possibile per favorire una soluzione negoziata dei conflitti che impegni tutti gli strumenti a disposizione: diplomatici, economici e di co-sviluppo.

In quest’ottica, la Rete propone la ricollocazione dei fondi attualmente utilizzati per le missioni militari, in aiuti allo sviluppo e alla cooperazione: l’impegno preso in sede Onu di destinare lo 0,7% del bilancio dello Stato a tale attività non è stato fino ad ora mantenuto. Alla ricollocazione dei fondi si affianca la riconversione dell’industria degli armamenti in un’industria civile e sostenibile. Il rapporto cita i casi dell’Ilva di Taranto e della fabbrica di armi Rwm di Domusnovas nel Sulcis, in Sardegna, come esempio delle conseguenze, sulla vita delle persone e dell’ambiente, dell’assenza di una politica economica ed industriale “attenta, lungimirante e responsabile”. Il Piano prevede a oggi lo stanziamento di 1,2 miliardi di euro per le due aree di crisi indicando generiche “strategie territoriali”. La Rete chiede che, nel caso del territorio del Sulcis, in cui a seguito della sospensione del Governo della licenza di esportazioni di armamenti verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti l’azienda ha licenziato numerosi dipendenti, la priorità resti la riconversione della produzione di armamenti “in altre produzioni ad uso civile garantendo occupazione e stabilità lavorativa”. Il documento propone, per facilitare tali attività di riconversione, la creazione di specifici fondi per sostenere lo sviluppo locale delle aree interessate e l’istituzione di un’Agenzia nazionale che possa svolgere gli studi e le ricerche necessarie per intervenire adeguatamente.

Un futuro di “pace e disarmo” passa inevitabilmente dall’introduzione di una diversa concezione di difesa, non ancorata al paradigma militare ma “moderna, civile, rivista alla luce dei nuovi bisogni e dei diritti, della convivenza pacifica tra i popoli”. È necessario, quindi, promuovere una riforma organica del sistema, riattivando il percorso di discussione della proposta di legge di iniziativa popolare, presentata alla Camera lo scorso 21 luglio 2020, che mirava a promuovere una difesa civile non armata e non violenta attraverso il potenziamento del servizio civile universale e della protezione civile, l’istituzione dei corpi civili di pace e la creazione di un istituto di ricerche per la pace e la soluzione dei conflitti. “Una vera difesa della Patria -si legge nel report- si può configurare solo come la salvaguardia della vita, dei diritti, delle aspirazioni positive di tutti i cittadini e delle comunità che la compongono. Una direzione contraria a quanto avvenuto negli ultimi anni, con una continua erosione di fondi per sanità, scuola, welfare, manutenzione e messa in sicurezza del territorio, erosione contemporanea ad una crescita della spesa militare per armi ed esercito”. 

I giovani rivestono un ruolo centrale nel documento sottoscritto dalla Rete che sottolinea l’impatto positivo del Servizio civile universale sulla riduzione delle ineguaglianze e sull’inclusione delle persone fragili nella vita sociale del Paese. Per questo motivo serve stabilizzare e potenziare il numero di posti disponibili annuali: il finanziamento di 650 milioni di euro (di cui 250 chiesti all’Europa) deve tradursi nell’aumento dei posti disponibili a 80mila, così che sia garantita una maggior partecipazione a fasce giovanili particolarmente a disagio. In quest’ottica, il Servizio civile può essere uno strumento importante per quei giovani oggi ancor più esclusi dai processi di autonomia personale e di lavoro. La Rete si augura che, in termini di riconoscimento dell’esperienza, siano adottate misure idonee a valorizzare le competenze acquisite dai giovani durante l’anno di servizio civile. Competenze civiche, trasversali e professionali che possono tornare utili nella sfida della ripresa dopo la pandemia. 

Infine, un investimento sull’educazione delle nuove generazioni. Un’educazione alla pace, dall’infanzia all’università, intesa non come specifica materia disciplinare ma come “approccio metodologico capace di illuminare i percorsi formativi gettando luce sugli aspetti che non si armonizzano con questo orizzonte” facilitata anche da un adeguato spazio ai temi della non-violenza all’interno dei canali radio-televisivi del servizio pubblico. “Ci vogliono coraggio e visione che, coniugati con un sano realismo -conclude la Rete- possano garantire un futuro amico ad un’Italia capace di immaginare e realizzare ‘pace e disarmo’”.

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