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Diritti / Attualità

Ovs rinuncia al cotone prodotto dal lavoro forzato degli uiguri. Chi manca all’appello

A fine marzo il marchio di moda italiano ha aderito alla campagna “End Uyghur Forced Labour”. Lanciata da Abiti Puliti insieme a 300 realtà internazionali, l’iniziativa preme sulle aziende perché interrompano l’approvvigionamento dallo Xinjiang. Nella regione è prodotto il 20% della fibra mondiale a scapito dei diritti della popolazione uigura. Le organizzazioni attendono impegni da Gucci, Prada, Armani, Diadora

© Coalition to End Forced Labour

Il marchio italiano della moda Ovs ha aderito, a fine marzo 2021, alla campagna “End Uyghur Forced Labour”, organizzata da 300 organizzazioni internazionali tra cui Abiti Puliti, impegnandosi a dismettere gli approvvigionamenti di cotone proveniente dalla regione autonoma dello Xinjiang nel Nord della Cina. Ovs infatti dichiara di utilizzare cotone proveniente da altri Paesi o dalla Better Cotton Initiative, che ha sospeso da tempo tutte le licenze ai coltivatori dello Xinjiang. Lanciata nel luglio 2020, l’iniziativa è volta a fare pressione sui marchi della moda per spingerli a monitorare la loro filiera di produzione nello Xinjiang e ad abbandonarla nel caso in cui fossero ravvisati collegamenti con imprese che sfruttano il lavoro forzato della popolazione uigura. Dallo Xinjiang infatti viene l’84% del cotone prodotto in Cina e il 20% della produzione mondiale: un abito su cinque è realizzato tramite il ricorso al lavoro forzato.

“Si tratta di un risultato importante perché Ovs è il primo marchio italiano che si impegna ad aderire alle nostre linee guida ma abbiamo scritto anche a diversi altri nomi come Gucci, Prada, Armani, Diadora da cui ci aspettiamo lo stesso impegno pubblico”, spiega ad Altreconomia Deborah Lucchetti, portavoce di Abiti Puliti. “Potenzialmente tutti i marchi che utilizzano cotone sono coinvolti data la forte incidenza a livello mondiale della produzione che arriva dalla regione”.

Le organizzazioni in difesa dei diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno documentato le sistematiche violazioni dei diritti umani subite dagli uiguri, insieme ad altre popolazioni turche e a maggioranza musulmana, discriminate sulla base della loro religione ed etnia. Le organizzazioni hanno documentato la detenzione arbitraria di massa di 1,8 milioni di persone e le Nazioni Unite hanno denunciato “pratiche crescenti di detenzione arbitraria, sparizione forzata, assenza di controllo giudiziario, garanzie e restrizioni procedurali” delle libertà fondamentali.

L’obiettivo della campagna è spingere i marchi della moda e i distributori tessili ad abbandonare in modo definitivo la regione, tutelando così la vita e la dignità della popolazione degli uiguri, interrompendo l’approvvigionamento della materia prima e di filati, tessuti e prodotti ultimati per porre fine ai rapporti con i fornitori che supportano il sistema del lavoro forzato. “La nostra è una chiamata all’azione per chiedere di monitorare tutta la filiera facendo un’attenta valutazione della catena produttiva per verificare se ci sono contatti con fornitori e subfornitori coinvolti in episodi di lavoro forzato. Se così fosse, chiediamo di recidere qualunque collegamento in modo immediato”, aggiunge Lucchetti. “End Uyghur Forced Labour” chiede inoltre di interrompere le relazioni anche con le aziende che hanno accettato sussidi governativi e manodopera dal governo cinese. “Siamo di fronte a una battaglia per salvare la dignità umana e ci auguriamo che la scelte di Ovs convinca altri marchi a fare altrettanto”.

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