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Diritti / Attualità

L’umanità tenuta al largo “sulla pelle delle persone”. La missione più difficile di Open Arms

A fine agosto 2019, Riccardo Gatti (Open Arms Italia) ha ricostruito nel dettaglio la “missione più difficile” nel Mediterraneo e gli effetti della “politica degli ostaggi” che ha portato al rinvio a giudizio di Matteo Salvini il 17 aprile 2021. “Se una cosa non si conosce -spiegò Gatti- finisce per non esistere”

“Totale persone salvate: 163. Persone sbarcate: 83. Persone evacuate: 41. Minori sbarcati tramite provvedimento Tribunale di Palermo: 27. Persone gettatesi in mare: 12”.
Nella serata di lunedì 26 agosto 2019, di fronte a centinaia di persone giunte ad ascoltarlo nella “sua” Calolziocorte (LC), presso il Circolo Arci Spazio Condiviso, Riccardo Gatti -direttore di Open Arms Italia nonché comandante della nave Astral e capo missione della Open Arms- decide di ripercorrere la “missione più difficile” procedendo giorno per giorno. Tra le mani ha il “recap” della “mission 65”, conclusa il 20 agosto con lo sbarco al porto di Lampedusa dopo oltre due settimane drammatiche in attesa di un luogo sicuro, e la relazione psicologica eseguita su oltre 150 migranti a bordo della Open Arms redatta il 13 agosto da Alessandro Dibenedetto, psicologo e psicoterapeuta di Emergency. “Se una cosa non si conosce -dice Gatti- finisce per non esistere”.

È una cronaca asciutta che racconta il Mediterraneo di oggi e che inizia il primo agosto, quando Open Arms effettua il primo salvataggio. “55 persone tratte in salvo di cui 39 uomini e 16 donne” a bordo di un’imbarcazione in legno. I minori sono 20, per “la maggior parte non accompagnati”. Poche ore dopo, viene effettuato un secondo salvataggio, questa volta di 69 persone (53 uomini e 16 donne, di cui 10 minori). “Da subito -annota Open Arms a proposito delle 124 persone provenienti da Eritrea, Etiopia, Egitto, Nigeria, Somalia, Ghana, Costa d’Avorio, Sudan, Ciad, Gambia, Mali, Guinea, Libia- presentavano evidenti segni di disidratazione e stanchezza fisica e mentale”.

Come ricostruito nel decreto di sequestro preventivo di urgenza della Procura della Repubblica di Agrigento (dott. Luigi Patronaggio) del 20 agosto scorso, il primo intervento di Open Arms avviene “a circa 70 miglia nautiche a Nord della costa africana e più in particolare dalla località libica di Zuwara”, il secondo in Area SAR maltese, sempre a seguito di informazioni ricevute via mail dalla rete di Alarm Phone.

“14.768, le persone morte nel Mediterraneo tra il 2014 e il 2019” (Amnesty International, 2 agosto 2019)

Il 2 agosto -continua a raccontare Gatti- Open Arms fa richiesta di un POS (Place Of Safety) a Malta e all’Italia. La prima lo nega, la seconda rimanda alle autorità maltesi. Non solo. Da Roma, via mail, giunge anche la comunicazione di un decreto di divieto di ingresso nelle acque territoriali firmato dai ministri dell’Interno (Salvini), della Difesa (Trenta) e delle Infrastrutture (Toninelli) il giorno prima, l’1 agosto. È un provvedimento interministeriale disposto “ai sensi” del “decreto sicurezza bis” licenziato dal Governo a metà giugno (Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, DL 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni dal Parlamento dalla L. 8 agosto 2019, n. 77).

Già allora, dunque, le autorità sanno che cosa è successo nell’area SAR intestata da 14 mesi alla Libia (tramite finanziamenti europei e decisivo contributo italiano). Lo sa il Governo -che pure sbaglia nel decreto il numero dei soccorsi, 52 invece di 55- e lo sa il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (MRCC).

Nel frattempo la situazione a bordo precipita. Il 4 agosto, sedici giorni prima dello sbarco e della conclusione delle operazioni di soccorso, due donne incinta e una familiare vengono evacuate dalla Open Arms tramite l’Ufficio circondariale marittimo di Lampedusa. A bordo rimangono in 121 le persone soccorse. I minori stranieri non accompagnati sono 28 e tutti, come gli altri minori con i genitori, “presentavano evidenti segni di violenza fisica e psicologica”. È in questo contesto che viene depositato un ricorso presso il Tribunale per i minori e alla Procura minorile di Palermo “affinché gli interessati siano fatti sbarcare e vengano nominati dei tutori per chi non è accompagnato, come previsto dagli articoli 6 e 11 della Convenzione dell’Aja”. L’8 agosto viene inviata una “comunicazione di respingimento alla frontiera” dei 28 minori stranieri non accompagnati all’attenzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà e del Garante per l’infanzia. Le “condizioni psico-fisiche delle persone” vengono definite dalla Ong come “precarie”.

Intanto, tra le persone adulte sulla nave, in 89 manifestano la volontà di richiedere asilo. Le istanze vengono raccolte e spedite all’UNHCR e al MRCC di Roma mentre il ministero dell’Interno italiano fa trapelare interpretazioni scorrette sulla presunta “competenza” della Spagna, Stato di bandiera di Open Arms. È una giornata decisiva. Mentre il neo-presidente del Parlamento europeo David Sassoli scrive al presidente uscente della Commissione europea Jean Claude Juncker chiedendo ufficialmente “che sia coordinato un intervento umanitario rapido” con “un’equa redistribuzione dei migranti”, il “decreto sicurezza bis” è promulgato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dal Quirinale giunge contestualmente una missiva diretta (anche) all’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “La limitazione o il divieto di ingresso -fa notare il presidente Mattarella- può essere disposto ‘nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia’”. È in quelle ore che Matteo Salvini, ministro dell’Interno, dopo un comizio a Pescara, “chiede agli italiani, se ne hanno la voglia, di darmi pieni poteri”.

Il 9 agosto Open Arms presenta alle Procure di Roma e Agrigento un esposto in cui chiede di “verificare se nella situazione corrente, in cui si sta determinando una prolungata presenza a bordo delle 121 persone salvate […] non si presenti una fattispecie di reato”. E di “individuarne i responsabili”.

Il terzo salvataggio della “mission 65” avviene il 10 agosto. Le persone soccorse sono 39. Quella mattina, all’aeroporto di Lampedusa, insieme a Gatti, Oscar Camps (fondatore Open Arms), l’attore Richard Gere e il cuoco-fotografo Chef Rubio convocano una conferenza stampa per denunciare la “privazione di libertà” in atto. La nave è in acque internazionali, tra Lampedusa e Malta, in attesa da oltre una settimana di un POS. L’11 agosto viene evacuato un “uomo tubercolotico” a Lampedusa, il 12 invece è la volta di due donne, una con un tumore al cervello e una con la polmonite, accompagnate da sei persone.

Gatti parla di una situazione che in quelle ore è paragonabile a una “bomba”. La prima risposta del Tribunale dei minori conferma la tesi di Open Arms e porta a chiedere al Governo “di conoscere quali provvedimenti le autorità in indirizzo intendano adottare in osservanza della normativa internazionale e italiana”: diritti fondamentali dei minori stranieri non accompagnati sarebbero stati “elusi”.

“1 su 6, nel 2018 moriva in mare 1 persona ogni 29 partite. Quest’anno per ogni 6 persone partite 1 è morta” (Amnesty International, 2 agosto 2019)

Un bambino di nove mesi, la sua gemella e i genitori, salvati durante la prima operazione di soccorso, vengono evacuati a Lampedusa il 13 agosto. Manca ancora una settimana allo sbarco. Open Arms fa due mosse. Da una parte presenta ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio contro il divieto d’ingresso, transito e sosta firmato dai tre ministri il primo di agosto, dall’altra inizia la collaborazione con Emergency per effettuare visite a bordo della nave. Emerge un quadro clinico devastante: persone con “alterazioni nella percezione di sé”, “senso della propria identità” modificato, “vissuti di colpa e vergogna e idee di essere indesiderati, deboli, impotenti”, “danneggiati”.

Il 14 agosto il Tar (Presidente della sezione prima ter) sospende il divieto di ingresso e assesta un primo colpo alla strategia di chiusura annunciata del Governo. L’istanza cautelare di Open Arms è accolta e la “situazione di eccezionale gravità e urgenza” è ritenuta “sussistente”. È la bomba di cui dà conto Gatti. La nave a quel punto si dirige verso l’Italia (entrerà alle 23.30), i medici di Emergency continuano le visite e verificano “le gravissime condizioni fisiche e psicologiche dei naufraghi a bordo da oltre 12 giorni”.

Alle 2.42 del 15 agosto l’IMRCC di Roma comunica alla Open Arms il “nulla osta” a che la nave “trovi ridosso presso l’isola di Lampedusa”. Il divieto di accesso, però, permane. L’organizzazione -spiega Riccardo Gatti- chiede con urgenza indicazioni rispetto al POS italiano. La situazione a bordo “è critica” ed è “pertanto necessario garantire al più presto alle 147 persone ancora sulla nave l’assistenza e le cure di cui necessitano”. Il messaggio è “inoltrato” a Roma. In mattinata i militari della Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto salgono a bordo della Open Arms con un medico e un infermiere del Corpo italiano di soccorso Ordine di Malta (CISOM). Le condizioni sono ritenute “pessime”. Altri nove naufraghi salvati vengono evacuati, nella notte del 16 agosto tocca ad altri quattro.

Il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo è nell’imbarazzo più assoluto. Con una nota del 16 agosto, infatti, comunica a Open Arms che “non ci sono impedimenti di sorta all’ingresso al porto di Lampedusa” ma aggiunge di essere in attesa di conoscere “gli intendimenti” delle autorità. È allora che il presidente del Tribunale per i minorenni di Palermo -come ricordato dal magistrato Patronaggio nel decreto di sequestro preventivo di urgenza- “con 28 provvedimenti, dichiarava aperta la tutela di tutti i 28 minori non accompagnati” presenti sulla nave. L’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, sempre il 16 agosto, scrive a Matteo Salvini ritenendo “necessario” lo sbarco “immediato” dei minori. La Commissione europea, peraltro, avrebbe ceduto alla “politica degli ostaggi” confermando la disponibilità di una “pluralità di Paesi europei” a condividere gli “oneri e l’ospitalità per tutte le persone di cui ci stiamo occupando”, aggiunge Conte.

I minori sbarcano il 17 agosto, giorno in cui, presso la Procura di Agrigento, Open Arms deposita una relazione aggiornata sulla situazione a bordo. L’ufficio, nel frattempo, ha firmato la delega della polizia giudiziaria per effettuare un’ispezione. Il fascicolo fotografico che viene trasmesso dalla Squadra mobile di Agrigento reca 19 fotografie a colori degli ambienti della nave. Il sovraffollamento è “evidente”, le condizioni sono “pessime”.

Come previsto, il 18 agosto si gettano in mare alcune persone con i salvagenti “nel tentativo di raggiungere la costa di Lampedusa” (quattro secondo Open Arms, cinque per la Procura di Agrigento). Vengono soccorse dall’equipaggio di Open Arms e riportate sulla nave. Le tensioni sono fortissime, alcuni dei salvati rischiano il linciaggio. Si diffonde la paura che per gesti di alcuni tutti gli altri possano essere riportati in Libia. Il governo spagnolo, con una mossa strampalata, offre alla Ong il porto di Algeciras per lo sbarco delle 107 persone a bordo. È il porto più lontano e le condizioni sono estremamente difficoltose.

Il comandante di Open Arms chiede di entrare in porto. Dal Viminale, tramite il vice capo di gabinetto, giunge una nota al MRCC di Roma dove si sostiene che il provvedimento del Tar Lazio non avesse fatto soccombere il divieto di sbarco. Il ministero vuole tenere il punto.
È il 19 agosto e la “soluzione” sembra irraggiungibile. Il “recap” di Open Arms reca l’evacuazione di altre nove persone per “ragioni di carattere psicologico e sanitario”. L'”opzione spagnola” è debolissima e la possibilità che altre persone saltino di nuovo in acqua è definita dalla Ong “concreta”.

Alle 7 di mattina del 20 agosto, con 98 persone a bordo, un uomo siriano salvato dieci giorni prima si lancia dalla Open Arms. Viene salvato dalla Guardia costiera italiana e portato a riva. Altre persone si gettano in acqua. Il procuratore della Repubblica di Agrigento sale a bordo per un’ispezione medica. Una donna viene evacuata con la sorella. La relazione dei consulenti del Pm fotografa “condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione”. Non c’è più possibilità di “arginare o contenere una ulteriore estensione di situazioni psicopatologiche di ‘dissociazione nevrotica e/o psicotica”. La Procura di Agrigento, ipotizzando la commissione del reato di rifiuto di atti d’ufficio (di cui all’art. 328 c.p.), dispone lo sbarco immediato a Lampedusa di tutte 83 le persone a bordo per “ragioni di sicurezza”. La missione, la “più difficile”, è finita. Con un’appendice. Il giorno dopo, il 21 agosto, il Tar del Lazio respinge l’istanza di revoca proposta dai tre ministeri di Interno, Difesa e Infrastrutture.

Gatti piega il plico e riceve l’abbraccio delle persone. Non nasconde la delusione di aver ricevuto insulti gratuiti via social anche da parte di persone con le quali è cresciuto. Persone alle quali avrebbero fatto il “lavaggio del cervello” in questi anni a proposito delle Ong. “Sulla pelle di altre persone”. In quel plico -e negli atti dei tribunali e delle procure- c’è la realtà, invece. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, è una frase di Primo Levi.

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